Si parla in questa sede di “pratiche di arrendevolezza” allo scientifico, asso- luta, totale; si parla di un consilium giuridico nutrito di un indifferentismo tec- nico che si dimostra, sul piano della sostanza delle cose, l’autentico e “segreto padrone” del processo penale di cui è chiamato ad esser parte; di un consilium che si fonda sullo statuto scientifico della cultura accademica (settecentesca), posta innanzi all’autorità dei responsabili del giudizio. A questa cultura essi appaiono (sul piano delle evidenze) del tutto pronti a rimettersi.
Il caso di Padova nel secondo Settecento si presenta così di non secondario interesse (forse solo a causa dei vuoti della ricerca europea, come faceva balugi- nare anche J.J. Plenck nella sua opera del 1781 nel rimandare in tema a prassi berlinesi1, e nell’attesa che gli studi ci aiutino anche a comprendere cosa accade- va nelle podesterie europee che non erano sedi di università). È un caso che mostra di configurarsi in un profilo di stabile continuità, nel contesto del rap- porto tra Studium e archivio del Maleficio, anche nel suo intatto dispiegarsi nei mutamenti istituzionali post-repubblicani. Esso prende la sua forma da una ricerca sistematica sulle fonti penali in relazione agli anni 1778-1801, affiancata da alcune altre indagini archivistiche, non sistematiche, negli anni Venti, e negli anni Quaranta e Cinquanta del Settecento.
Il consultor a cui ci troviamo innanzi, in tale composito spettro analitico, partecipa del rivolgimento epistemologico europeo post-galileiano in ordine alle forme della conoscenza e della interpretazione scientifica del dato. Il consultor in oggetto, è evidente, non è il giurista e non è il peritus in iure, così come non è il consultore in materie di Stato, ma ha le specificità invece, e precisamente, del docente di materie scientifiche dello Studium; e non affianca in alcun modo e in
* Abbreviazioni: AMHP: Acta medicae historiae patavina»; ASPd: Archivio di Stato di Padova; BCB- Vi: Biblioteca Civica Bertoliana, Sezione Antica, Vicenza.
1J.J. Plenck, Elementi di medicina e chirurgia forense, appresso Francesco di Nicola Pezzana,
Venezia 1783 (ed. or. Vienna 1781), p. 14 nota d, su cui G. Buganza, Iatromeccanica post galileiana,
amministrazione della giustizia veneta e discussione internazionale (1727-1801), in «Historia et
alcun senso, come talvolta i giurisperiti medievali, la Corte, mantenendo un pro- filo generale molto solido ed evidente di lontananza, di terzietà, di radicalmente altro.
L’estrema seduttività di questo tipo di competenza è un vento silente che sof- fia alle spalle del processo. Essa ha motivazioni molteplici (anche di tipo sempli- cemente umano, ed anche per interessanti questioni di tipo lavorativo) e si nutre di “fede” nella misurabilità delle cose, di oggettivazione, ovvero di superiorità della novitas interpretativa. Il perno della sua questione risiede nelle qualità e nelle complessità della ricezione nel processo dello status dell’esperto.
1. «Colui che è superiore nell’arte». Indifferentismo del consultor e arretra- mento del giudice
Lo statuto indifferentista e terzo del consultor2che si tiene «alto, volando in modo imparziale in mezzo ai problemi e a soluzioni»3, informa completamente le risultanze, quando presente, del processo penale di Padova4.
Le configurazioni non sono quelle del consilium sapientis iudiciale, ma quelle della chirurgia, della botanica, della medicina, della chimica e dell’astro- nomia forense. Il problema dell’intersecarsi dei due profili, quello della tradi- zione del giurisperito trecentesco e quello dello scienziato (tradizionalmente e molto sbrigativamente identificato nel medico), si connota di pensiero giuridi- co medievale5e di una non risolta somiglianza che è ben lungi da essere identi- tà, oltre che di vari silenzi, pratiche, slittamenti. La domanda cardinale del nostro breve discutere era ed è la seguente: come reagiscono – nel riscontro concreto – le corti pretorie di questa città (negli anni oggetto di ricerca) innan- zi alla sostanza di quanto espresso nel consilium da «colui che è superiore nel- l’arte» (che sia esso quello preteso ex officio o il periglioso pro parte)? Ovviamente la risposta, che argomentiamo, risiede già compiutamente nell’in- cipit di questo nostro contributo.
Gianni Buganza
2Si veda M.R. Damaška, Il diritto delle prove alla deriva, Bologna 2003 (ed. or. New Haven-London
1997), pp. 114-115 e in molte altre parti del suo studio.
3Le parole (che ovviamente fanno specifico riferimento ai giurisperiti, ma in quel gioco di specchi
che è parte non secondaria di questa vicenda) sono di M. Ascheri, I diritti del Medioevo italiano.
Secoli XI-XV, Roma 2000, p. 230 sulle quali anche V. Piergiovanni, Tra difesa e consulenza: tipolo- gie professionali degli avvocati nelle società di antico regime, in G. Alpa, R. Danovi, Un progetto di ricerca sulla storia dell’avvocatura, Bologna 2003, p.75.
4Si veda G. Buganza, Il moto accelerato del sangue. Consulenza scientifica, avvocatura e società
nella Padova di fine Settecento, in «Terra d’Este», 37 (2009), pp. 7-48, e Omicidio e rivoluzione. Avvocatura penale e consulenza scientifica universitaria nella Padova rivoluzionaria (1796-1799),
in «Terra e storia. Rivista estense di storia e cultura», 1 (2012), pp. 81-124.
5Si veda R.C. van Caenegem, I signori del diritto, Milano 1991, pp. 89-90 e p. 189, ma soprattutto
M. Ascheri, Diritto medievale e moderno. Problemi del processo, della cultura e delle fonti giuridi-
che, Rimini 1991, pp.181-255 e Introduzione storica al diritto moderno e contemporaneo. Lezioni e Documenti, Torino 2007, pp. 29-36, che ricostruisce le «lontane premesse» dottrinali della questio-
ne anche negli slittamenti semantici e nell’accavallarsi delle reciprocità e dei rimandi tra medico e giurisperito.
I consulenti di questo magistrato penale sono i figli locali della cultura anti- aristotelica del dubbio, e nel loro indifferentismo rivestono la funzione, solo apparentemente paradossale, di “portar certezza” nel processo attraverso ciò che connota maggiormente il loro tratto interpretativo generale, ovvero la dimensio- ne della misurabilità delle cose6. E questi protagonisti del consulere – nella Padova forense del secondo Settecento – non sono una nebulosa vaga, da pren- dere all’ingrosso, ma sono (ovviamente), e sulle carte, i precisi responsabili delle docenze scientifiche di vertice dello Studium, proprio quelli. E precisamente: Marcantonio Caldani in primis, e in misura assai minore Andrea Comparetti tra i medici, Pietro Sografi in primis e Luigi Calza tra gli ostetrici, Marco Carburi per la chimica, Giuseppe Antonio Bonato per la botanica, Vincenzo Chiminello per l’astronomia forense. Ai quali occorre aggiungere, per gli anni Cinquanta, Sografi padre, Girolamo Vandelli, Giacomo Scovolo7.
A questo punto si tratta però di chiarire sul piano culturale l’esistenza di un rapporto da scindere, e sul quale la ricerca non si è adeguatamente confrontata8: quello tra consultor e peritus (che era colui che faceva le “visioni” forensi sui corpi). Appiattire infatti la consulenza sulla perizia è frutto di una frequentata sbrigatività interpretativa. I due mondi, pur confinanti, non vanno confusi solo per il semplice fatto di una medesima (per i medici) provenienza culturale, per quanto le fonti stesse talvolta alimentino tale genericità nei rimandi di attribu- zione (dare del peritus al consulente per es.) nella superficialità che qualche volta denota lo scrivere brutale dei notai del Maleficio, o per l’occasionalità di qualche prestazione – del resto solo, e comodamente, intra muros (come faceva Pietro Sografi9).
La prevalenza del lessico scientifico nei consilia padovani
6Si veda Buganza, Iatromeccanica post galileiana cit., che in molte parti si sofferma sulle opere di
Cospi e Melchiorri come esemplificazioni in tema.
7Indagini e riscontri archivistici in G. Buganza, La scienza strumento dell’interesse. Avvocatura,
medicina e produzione di certezza nella Padova giudiziaria del secondo Settecento, in «Terra
d’Este», 16 (2006), fasc. 32, pp. 111-139; Buganza, Il moto accelerato del sangue cit.; G. Buganza,
Zorzi Marenzi e lo Studium. Un avvocato penale nella Padova scientifico-forense, in «Società e sto-
ria», 33 (2010), fasc. 130, pp. 689-720; G. Buganza, Tra scienza, avvocatura e diritto. Zeffirino
Giovan Battista Grecchi davanti alla corte pretoria di Padova (1789-1791), in «Studi veneziani»,
n.s., 61 (2010), pp. 237-382; G. Buganza, Chimica forense. Padova, 1783-1786: Marcantonio
Caldani, Marco Carburi, Paolo Zacchia e il “comune letargo”, in «Terra d’Este», 21 (2011), fasc. 41,
pp. 159-181; Buganza, Omicidio e rivoluzione cit.
8Aveva reso esplicita l’essenza ambigua della quaestio, con i suoi rischi sul piano analitico, Ascheri,
Diritto medievale e moderno cit., p. 181 e n. 1, con varie riprese di estrema chiarezza come a pp. 204-
205 e n. 75. Ancora oggi (il saggio di Ascheri è del 1976) l’evidenza del problema sollevato dall’auto- re non ci pare sia stato ben riconosciuta. In ambito medievistico, ottimi intenti di studio in S. Simonetta, Il principe e il filosofo, II: Consulenti fiscali al servizio di sua Maestà, e C. Crisciani,
Consilia, responsi, consulti. I pareri del medico tra insegnamento e professione, in Consilium. Teorie e pratiche del consigliare, a cura di C. Casagrande, C. Crisciani, S. Vecchio, Firenze 2004, pp.
229-241; 259-279. Dedicati invece al mondo del peritus forense: G. Buganza, Il passo geometrico.
Seduttività della tecnica e misurabilità delle cose in seno alle corti giudicanti penali venete sette- centesche (Padova, 1782-1788), in corso di stampa in «Nuova rivista storica», e G. Buganza, Stupro e ostetricia. Documenti giudiziari, consulenza medica e pratiche peritali nella Padova penale del secondo Settecento, in «Studi veneziani», n.s., 64 (2011), pp. 247-287.
Il compito dell’accademico, come misura massima, oltre al consilium, è quel- lo della formazione (di cui discuteremo nell’“intermezzo” di questo studio), ovve- ro della docenza. Si può facilmente comprendere, persino epidermicamente, che mai un Morgagni, un Caldani, un docente di chimica dello Studium, corrispon- dente della Royal Society o della Académie de Sciences, avrebbe potuto essere accostato ad un medico territoriale, ad un “pubblico misuratore”, ad una mam- mana. Nel consulere il disprezzo nei confronti di chi ha redatto certe visioni è infatti spesso ben lungi che semplicemente adombrato10.
Per l’ambito strettamente medico il peritus forense è espresso dal San Francesco Grande (come il medico di “primo soccorso” Carlo Naliato, per esem- pio)11o è il professionista del territorio. La partecipazione allo stesso panorama sulla forza della tecnica nel processo non deve confondersi, sul piano analitico, in una indistinzione di ruoli o funzioni, per quanto talvolta incoraggiata dalla superficialità delle attribuzioni nominali delle fonti (alle quali non è il caso lo stu- dioso si arrenda). Chi si assumerà l’onere di una ricerca sulle motivazioni del- l’arretramento (sostanziale) del giudice penale innanzi alla scienza e alla cultura tecnica si troverà di fronte ad un campo di ricerca e a risultanze di grande inte- resse, oltre che all’emersione allo sguardo dello studioso dei segni di quella che ci siamo permessi di definire come una tendenza fondamentale - in rapporto alle responsabilità della dimensione tecnica nella costruzione delle convinzioni (del corpo giudicante).
2. Intermezzo. La resistibile istituzione dell’insegnamento di chirurgia e medi- cina forense allo Studium
Antesignano di un’insorgente moda europea, lo Studium di Padova nel 1779 istituisce una cattedra, anche se di livello minore, relativa a una materia che ini- zia ad assumere una dimensione propria: «Aget de tumoribus, de vulneribus et de chirurgia legali e forensi»12, ne recita la denominazione. La convinzione sem-
Gianni Buganza
10«Iudex de medio» definiva il peritus l’avvocato Speroni in un passaggio dottrinale di una difesa del
1727 (ASPd, Archivio giudiziario criminale, b. 88, fasc. 10, Montagnana 1727, c. 35); ma anche Lorenzo Priori, senza ragionarci sopra, era stato chiaro in proposito a metà Cinquecento (G. Buganza, Nel travaglio del quotidiano. Padova e le crisi funzionali della giustizia penale nel secon-
do settecento, in «Ricerche storiche» 43, 2013, pp. 63-92), altrettanto lo sarà l’avvocato Braga nel
periodo napoleonico (ASPd, Archivio giudiziario criminale, b. 461, San Martino di Lupari 1796, c. 95) chiedendo provocatoriamente che un Comitato Chirurgico subentrasse ai giudici.
11La figura di Naliato attraversa tanta parte della nostra ricerca: si veda G. Buganza, Omicidio e
Rivoluzione cit.
12B. Bertolaso, Francesco Luigi Fanzago (1764-1836). Patologo e medico-legale nell’ateneo pado-
vano, in «Rivista di storia della medicina», 5 (1961), fasc. 2, pp. 235-236 e note: «Questa materia, sia
pur introdotta ancora nel 1779 da Camillo Bonioli (...), era, all’inizio dell’’800, solo raccomandata dalla stampa, e studiata marginalmente da pochi medici. La cattedra era stata creata, perché gli stu- denti sentissero dalla viva voce di persona colta, come la legislazione si accordasse con la medicina, e questa fornisse a quella i necessari principi per riuscire proficua». Cfr. anche B. Bertolaso, Camillo
Bonioli (1729-1781). Maestro di chirurgia all’ateneo padovano, in «Castalia. Rivista di storia della
bra pochissima; l’intento quello di contribuire a formare sul tema specifico i medici e i chirurghi che andranno a lavorare sul territorio (in Veneto come in Europa) chiamati a collaborare dalle magistrature penali. L’insegnamento avrà infatti un successo alterno, con interruzioni e timide riprese fino al 179113, arri- vando alla sua piena istituzione solo nel dicembre 180614.
La cattedra del 1779 non è affidata ad un medico ma a un chirurgo, anche se di alto livello: Camillo Bonioli, allievo diciannovenne di Morgagni, formatosi nel teaching hospital di Santa Maria Nova a Firenze15. Immerso in una “pratica gior- naliera”, lavora poi a Padova al San Francesco Grande; è vicentino di Lonigo16. Si tratta, essenzialmente, di un chirurgo ospedaliero colto, formatosi alla “nomoto- mia”, come tutti17. I Riformatori allo Studio gli riconosceranno 550 fiorini di sti- pendio annuo18. L’anno seguente a questa scelta escono nella vicina Ferrara le Istituzioni teorico pratiche di Giovan Vincenzo Bononi19che, pur essendo arri- vato alla docenza20, era essenzialmente un prattico di alto livello, con una laurea in medicina, e chirurgo ospedaliero al Sant’Anna21.
La prevalenza del lessico scientifico nei consilia padovani
1782, p. IX e nt. 5, nonché Professori di materie scientifiche all’Università di Padova nell’Ottocento, a cura di S. Casellato, S. Pigatto, Trieste 1996, pp. 257-260.
13Bertolaso, Camillo Bonioli cit., p. 7.
14Ibid., p. 236: «Il 18 dicembre 1806 il Consigliere di Stato Moscati, Direttore della Pubblica Istruzione
del Regno, mandava il decreto di nomina esecutivo». L’incaricato sarà Francesco Luigi Fanzago. Scrive Bertolaso, Francesco Luigi Fanzago cit., pp. 235-236: «Da questa data il nostro Fanzago segue un nuovo ordinamento didattico. Egli stesso ce lo fa sapere nella sua prolusione, tenuta in forma solenne il 5 marzo 1807 nell’aula dell’Università [di Padova]. In questa lezione introduttiva volge uno sguardo all’epoca che lo precedette nel campo medico-legale, dall’epoca romana al codice criminale di Carlo V, a Fortunato Fedele, che dispose, nel sec. XVI, in ordine logico la materia, fino a Paolo Zacchia autore delle celebri Quaestiones medico-legales, pubblicate nel 1621. Si sofferma a ragionare delle opere del Bononi, del Tortosa e infine di Morgagni, che aveva espresso le sue idee nel colossale lavoro De sedi-
bus. Soffermandosi sui testi di insegnamento, fa presente che il governo ha destinato per le lezioni, le Istituzioni teorico-pratiche, del Bononi (...) e le Istituzioni di Medicina forense, del Tortosa. Ad ini-
ziare dal 1819 il Fanzago si servirà inoltre come testo di insegnamento per la Polizia Medica, di quel- lo del Frank». È una genesi, questa di Padova, che ben conosciamo, e la prolusione di Fanzago citata da Bertolaso è in realtà F.L. Fanzago, Discorso marginale, Padova 1808, di cui oggi si conserva copia all’Istituto di Farmacologia dell’Università. Nella sua brevità questo testo – oltre all’excursus storico di nessuna novità (p. 14), all’attenzione per le opere di Tortosa e Bononi (p. 15), al contributo, per così dire di base del “gran Morgagni” (p. 16) e al contributo del Codice Napoleone (p. 28) – ha il merito di porre attenzione al tema scientifico-forense dell’origine: l’infanticidio e i problemi abortivi (pp. 18-21) ove la prova docimasica idrostatica viene considerata, e nel 1807, «incertissima».
15Fanzago, Elogio del signor Camillo Bonioli cit., pp. III-IV.
16Bertolaso, Camillo Bonioli cit., p. 4 e nt. 1; «Giornale di Medicina», a cura di P. Orteschi, VI,
Venezia 1768, pp. 151, 153, 162 e 409.
17Sulla normalità di questo tipo di formazione si veda ad esempio A. Carlino, La fabbrica del corpo,
Torino 1994, pp. 67-132; sui risvolti cfr. il rimando alla situazione di metà Settecento in Giornale di
medicina pratica, a cura di V.L. Brera, V (1816), pp. 411-420 in rapporto a Boston e alla Società
Medica del Massachusetts del 1781.
18Bertolaso, Camillo Bonioli cit., p. 6.
19G. Chieregatti, La chirurgia forense e la sua evoluzione storico e scientifica verso l’odierna trau-
matologia medico-legale, con particolare riguardo all’opera di Giovan Vincenzo Bononi (1728- 1803), in La storia della medicina legale. Ricerche e problemi, a cura di C.D. Fonseca, Galatina
(Lecce) 1987, pp. 67-77.
20Ibid., p. 70, n. 5 (sulla base di A. Pazzini).
21Ibid. e A. Pastore, Le regole dei corpi. Medicina e disciplina nell’Italia moderna, Bologna 2006,
Scrisse Bertolaso nel 1862 che Bonioli a Padova e Bononi a Ferrara rappre- sentavano uno dei segni della «emancipazione della medicina legale», nel momento in cui lo Studio prendeva atto di una specificità culturale che diveniva disciplina d’insegnamento, pur all’interno di una scelta, questa accademica, di cui non bisogna enfatizzare la rilevanza e che essa stessa non enfatizzava.
Nel 1781 usciva la traduzione, ad un anno dalla sua pubblicazione in tedesco, delle Istituzioni di medicina e chirurgia forense di Plenck, il maestro viennese che fondava parte rilevante delle sue valutazioni su pratiche berlinesi della fine degli anni Settanta22, trovando continue traduzioni in terra veneta dei suoi libri. Nel 1785 Johann Peter Frank è in cattedra a Pavia, chiamato da Vienna23e già mette in crisi la terminologia medico-legale desideroso di distinguersene.
Che avevano da dire Camillo Bonioli, insediato in questo insegnamento, così nuovo, per quanto minore, e così aperto alla discussione europea, e Vincenzo Bononi a Ferrara?
La prassi giudiziaria di Padova, fin dagli anni Quaranta con il giudice al Maleficio Bartolomeo Melchiorri, e poi con la completa metabolizzazione con- creta delle opzioni di questi anni alla metà degli Ottanta, aveva ampiamente pre- ceduto, e poi simbolicamente accompagnato, l’istituzione di questa timida catte- dra con atti, ricezioni assai concrete e scelte di assoluta chiarezza. Ma gli accade- mici? Camillo Bonioli, alla morte, fece bruciare tutte le sue carte24. Ci rimango- no del docente una serie di scritti (solo alcuni dei quali pubblicati nei Saggi scientifici e letterari dell’Accademia di Padova), legati assieme da un suo allie- vo e amico, Lezioni e memorie di Medicina, manoscritti e relazioni accademiche, conservati nella Sala Antichi della Biblioteca Civica Bertoliana di palazzo San Giacomo a Vicenza25. Sono diciotto scritti, alcuni corretti (persino nella forma) da Marcantonio Caldani, titolare della cattedra di Medicina più prestigiosa dello Studium; tra questi, solo alcuni entrano nella questione al centro della nostra discussione. Eppure negli anni in cui Bonioli insegna medicina forense, avendo poche decine di metri un Maleficio attivissimo in tema, l’Europa tutta si interro- ga sulle questioni cardine, Frank persino se ne smarca, ma l’autore, oltre al rife- rirsi ai nomi della tradizione, da Zacchia a Baglivi, riproponendone la storia, poco sembra aver da dire.
Nel Discorso intorno alle cause delle convulsioni che sopravvengono alle ferite e intorno ai vantaggi che risultano dalla loro conoscenza26, Camillo Bonioli inizia a confrontarsi con la problematica scientifico-forense, in una veste che vede la forte presenza di Marcantonio Caldani e i suoi dissensi. L’intento di Bonioli è timido, ma interessante e con qualche nota polemica. Il suo discutere non scende in profondità, resta di superficie, ma è una superficie senz’altro colta, e dal suo versante; versante che tiene ad affermare: egli parla di chirurgia lega-
Gianni Buganza
22Plenck, Elementi di medicina cit.
23Si veda G. Armocida, B. Zanobio, Storia della medicina, Milano 2002, pp. 147-148. 24Fanzago, Elogio del signor Camillo Bonioli cit., p. XIX e note.
25BCB-Vi, Libreria Gonzati, 28-53, ms. XVIII, C. Bonioli, Lezioni e memorie di Medicina. 26Ibid., con postille di Caldani.
le e non di medicina legale. È un chirurgo, quello si sente di essere, a quel mondo appartiene. Analizzare il rapporto tra convulsioni e ferite è un lavoro che scende direttamente, esplicita Bonioli, dalla cultura chirurgica pratica. L’intento del Discorso è di scindere il mondo delle ferite da quello convulsivo: non si indichi- no più per «gravemente pericolose» ferite «solo per esser seguite dalla convul- sione». Le ferite sono da «ricconoscere lettali o pericolose» in rapporto all’acci- dente e non per la presenza convulsiva, la quale invece dipende «da un appara- to di accidenti». A questo, scrive Bonioli, «m’obbliga l’osservazione giornaliera, m’obbliga l’analogia», citando il caso di un boaro «giovane e di buona tempra» dell’autunno 1772 e legandosi a Plenck e a Stably (che altri non è che Georg Ernst Stahl, studioso e medico di corte nella Berlino del 1715)27. Berlino dunque torna, ancora una volta, nel discorso medico forense di Padova.
L’autore svilupperà sul tema delle ferite due memorie separate, l’ultima delle quali, anch’essa chiosata da Caldani, di particolare interesse: Ricerche critiche sopra la cura delle ferite d’arma da fuoco, questa volta datata 27 novembre 178828. Le ferite d’archibugio come ben sappiamo, sono una costante del mondo penale, e Bonioli dimostra, annota Caldani, quanto male i chirurghi le trattino ma, polemizza il vecchio maestro, il nostro e suo autore non ne spiega il perché.