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Sebastiano Benasso

3.4. Maternal foodwork non conform

Pur derivando da diverse angolazioni teoriche e prospettive di ricerca, la letteratura, le tipizzazioni e le fenomenologie presentate nelle pagine precedenti ci hanno costantemente riportato alle madri e alle loro pratiche di alimentazione dei figli, convincendoci a considerare la loro dimensione come contesto privilegiato di analisi del deposito delle pressioni culturali che regolano campi più ampi di quello genitoriale. Per questo motivo abbiamo mantenuto questa particolare focalizzazione, interessandoci alle costruzioni di devianza a partire dalle infrazioni alle aspettative egemoniche in questo ambito. In una recente ricerca (Benasso e Stagi 2018), abbiamo quindi voluto esplorare le dinamiche che si generano in relazione alla trasgressione della norma onnivora da parte di madri veg* che adottano per i propri figli pratiche coerenti con il proprio stile alimentare, intervistando 19 madri (di cui 7 vegetariane e 12 vegane) con figli in età compresa tra i 7 mesi e i 16 anni e residenti nel nord Italia. I principali focus dell’intervista semi-direttiva (Bichi 2002) hanno compreso:

• il proprio posizionamento soggettivo nella cultura veg*; • le pratiche alimentari agite nei riguardi dei propri figli;

• il rapporto con gli altri agenti della socializzazione e con il sapere esperto;

• la percezione della responsabilizzazione materna e le strategie di resistenza e soggettivazione.

L’analisi dei materiali narrativi raccolti colloca i particolari stili di maternità delle donne che abbiamo intervistato nel più ampio contesto delle maternità non conformi e l’infrazione della norma alimentare nell’ambito del foodscape dell’Italia contemporanea pare accentuare l’intensità del mother blaming diretto alle intervistate. In questo senso,

la stigmatizzazione veicolata dalle istituzioni incaricate del monitoraggio e della valutazione del buon esito dello sviluppo dei bambini (quindi soprattutto il sistema pediatrico e la scuola) è rinforzata dall’accusa (non sempre implicita) di aver interrotto la riproduzione di un sapere, quello legato alla maternità e al cibo nella cura dei figli, tradizionalmente tramandato di madre in madre e di conseguenza naturalizzato come “giusto”. Il sapere scientifico e tradizionale è invece rimpiazzato da queste madri con una nuova conoscenza condivisa attraverso un fitto scambio di informazioni e pratiche, delineando i confini di quella che abbiamo rappresentato come una “comunità di pratiche di maternità4”.

In generale, le madri intervistate hanno rivendicato una quasi totale autonomia in termini di scelte educative e di accudimento dei figli, parlando di partner poco interessati o comunque propensi ad accettare passivamente le loro decisioni. In quest’ultimo aspetto abbiamo trovato ulteriore conferma della naturalizzazione della genderizzazione degli incarichi di cura che, a prescindere dalla scelta individuale, tende a porre la madre al centro del sistema di governamentalità delle tecniche genitoriali. Ma nella rivendicazione di questo stesso posizionamento centrale abbiamo avvertito l’eco della sovrapposizione tra progetto morale del sé, maternità e foodwork materno che la letteratura descrive come uno degli effetti generati dalla pressione morale sulla maternità contemporanea. Significativamente, nelle pratiche raccontate in termini di performance materne e, in particolare, di foodwork rintracciamo diversi tratti della maternità intensiva descritta in letteratura. Se il fine ultimo è la salvaguardia dei confini corporei dei propri figli e il mantenimento di uno stato di purezza originario narrato come “naturale” e moralizzato in quanto “giusto”, l’analisi delle strategie applicate dalle donne intervistate ci ha permesso di ricomporre un quadro in cui la totale dedizione al proprio ruolo − a titolo esemplificativo, la maggior parte di queste persone non aveva

4 In termini generali, nella nota elaborazione di Wenger (1998) il concetto di “comunità di pratiche” è

utilizzato per analizzare i processi di apprendimento collettivo attorno a un ambito di interesse comune, sia in termini di conoscenza che di pratiche. Questi processi hanno solitamente anche una ricaduta rilevante in termini di costruzione identitaria e suo riconoscimento all’interno della comunità di appartenenza, ed è a partire da questa prospettiva che intendiamo considerare la rilevanza assunta dalla dimensione on-line nella comunità delle madri. A questo proposito troviamo conferma delle considerazioni di Caliandro e Cossetta (2013) in merito ai significati di protezione e condivisione assegnati alle interazioni on-line dalle madri che partecipano, con grande coinvolgimento, a queste narrazioni collettive.

impieghi a tempo pieno − è funzionale a questo presidio, ma è anche percepita come risposta necessaria alla gestione delle conseguenze della loro resistenza all’intenzione regolativa delle istituzioni, del sapere esperto, dei media mainstream e del senso comune. In quanto pratica intensiva, il foodwork agito da queste madri comprende una grande varietà di operazioni di reperimento, analisi, selezione e preparazione dei cibi, e su questi fattori le diseguaglianze strutturali hanno una profonda influenza, perché i capitali economici e di rete investibili determinano diversi gradi di sostenibilità per queste pratiche. Si tratta, infatti, di compiti particolarmente onerosi, il cui costo è compensato, quantomeno in termini riflessivi e identitari, dal fine ultimo di rivendicazione dell’autonomia delle proprie scelte di madre. Tuttavia, il conflitto con gli stessi attori che contestano questa autonomia resta aperto, ed è in una prospettiva di protezione dal mother blaming che abbiamo letto le “strategie di alleggerimento” che diverse donne ci hanno raccontato riguardo all’accettazione di un certo margine di negoziazione con un contesto sociale che, per buona parte, percepiscono come irrimediabilmente ostile. Abbiamo interpretato in questo senso gli “strappi alla regola” e le concessioni rispetto all’ortodossia della dieta dei propri figli in occasione di momenti di convivialità allargata, così come il fatto di mentire sullo stile alimentare adottato in occasione di alcuni snodi obbligatori nella relazione con le istituzioni quali, per esempio, i bilanci di salute dei neonati. In quanto strategie di contenimento dello stigma percepito e contestuale mantenimento dei (seppur deboli) legami al di fuori della propria cerchia comunitaria, le soluzioni adottate da queste madri riportano alla nostra attenzione gli aspetti di circolarità, frizione e reciproca influenza tra posizionamenti egemonici e periferici, in un gioco di specchi che, come vedremo, riverbera con particolare intensità nella dimensione mediale. La rete è, infatti, uno dei contesti più rilevanti di costruzione dell’apparato discorsivo che avvolge le traiettorie di queste madri e che si declina nella doppia direzione della legittimazione e dell’esautorazione.