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Matrimoni come contratti sentimentali

Nel documento Università degli Studi di Padova (pagine 42-45)

DIRITTO IN MATERIA DI MATRIMONIO E UNIONI CIVILI

2.3. Matrimoni come contratti sentimentali

La dimensione economica nei matrimoni risulta essere presente sin a partire dalle società tradizionali: vengono stipulati dei veri e propri contratti nel momento in cui si decide di sposarsi e tali e svariati contratti sono necessari anche in caso di divorzio, poiché stabiliscono minuziosamente come i coniugi debbano comportarsi e sottoscrivono le conseguenze che tale situazione può comportare. “Questi contratti sopraffanno il vincolo coniugale, precocemente consegnato alla precarietà e visto, quindi, solo come 'tregua provvisoria tra le parti'”40, sottolinea Rodotà.

Il matrimonio dunque non viene più visto come approdo sicuro, ma affronta fin dal suo nascere la possibilità della fine dell'amore, in questo caso il diritto interviene per offrire le necessarie vie d'uscita. La definizione di matrimonio come 'contratto sentimentale' è apparsa soltanto come una scorciatoia semantica, un mezzo linguistico per rendere meno espliciti e amari possibili quelli che sono in realtà i retroscena a livello burocratico e contrattuale della fine dei matrimoni.

Quelli che vengono definiti come 'contratti sentimentali' sono in realtà dei deterrenti brutalmente efficaci per tentare di evitare qualsiasi incidente di percorso che potrebbe portare ad un divorzio; una concreta minaccia verso il coniuge più debole all'interno della coppia, quello più esposto a rischi e che avrebbe più da perdere; il coniuge più potente in questo modo si garantisce 'un'assicurazione'. Questa logica dei contratti prematrimoniali comunque giunge da lontano, anche se in passato potevano avere sembianze diverse. In passato riflettevano una situazione differente, determinata dal fatto che le donne, dopo essersi sposate non potevano più amministrare i loro beni e gli atti riguardanti il loro patrimonio erano subordinati all'autorizzazione del marito.

A partire dal 1865 per le donne il termine matrimonio torna ad essere sinonimo di prigionia, essendo entrato in vigore il Codice Civile Unitario, che si rifaceva al modello francese. Le donne dovevano soccombere alla “umiliante/ approvazion sforzata del marito”,41come scriveva Vittorio Alfieri. Il Codice Civile Unitario verrà eliminato soltanto nel 1919, grazie ai mutamenti sociali del dopoguerra, che videro in prima linea l'Italia.

40 S. Rodotà, Ibidem, p. 31

Nel corso della storia il matrimonio ha assunto un ulteriore significato, quello di

matrimonio combinato: in questo tipo di unione non interviene né l'amore, né la volontà

dei futuri coniugi. Questo tipo di matrimonio è diffuso in quelle società nelle quali il matrimonio non presuppone necessariamente la presenza di amore; spesso questo tipo di riti obbedivano a ragioni dinastiche, ma erano soprattutto legati a convinzioni religiose o a tradizioni, che diedero origine a matrimoni coatti delle bambine o al ritorno di molti uomini al loro paese d'origine per sposare una donna che al loro paese natio apparteneva, a conferma della massima 'donne e buoi dei paesi tuoi' e ciò, ancora una volta, la dice lunga sulla considerazione che si aveva delle donne. Ma come sostiene fermamente Rodotà all'interno de Diritto d'Amore, “l'amore per essere vero non dovrebbe mai essere disgiunto dal disinteresse, sì che il diritto d'amore deve essere costruito in primo luogo allontanandolo da qualsiasi 'inquinamento' economicistico”42.

3.3. Il divorzio

A molti può apparire che il divorzio sia da un lato una manifestazione di libertà della persona e dall'altro una grossa fonte di perturbazione per tutti coloro che compongono il nucleo familiare, causa elevati costi economici e disagi psicologici ed emotivi che da esso possono derivare.

Le difficoltà provocate da un matrimonio che sfocia in divorzio non sono però soltanto 42 S. Rodotà, Ibidem, p. 144

di ordine economico e sociale, ma investono anche l'identità stessa della famiglia coinvolta e indirettamente anche quella delle famiglie che possono divenire protagoniste di matrimoni successivi e avere per partecipanti proprio i divorziati del precedente matrimonio. Quando un matrimonio termina e si divorzia, i figli oggi possono essere affidati ad uno dei due genitori esclusivamente oppure possono stare alternatamente con l'uno e con l'altro per determinati periodi (affido condiviso), in questo caso non esiste più un matrimonio, ovvero una famiglia coniugale, ma la domanda fondamentale è se comunque esiste ancora una famiglia e se così è, se si tratta della stessa famiglia o di una nuova famiglia.

Negli ultimi decenni il diritto ha recepito una consistente evoluzione del modello tradizionale di famiglia, da un lato ciò è stato ben visibile nell'eliminazione della potestà maritale e paterna e dall'altro, nell'introduzione del divorzio; è stato molto complesso per il diritto riuscire ad adeguarsi ai cambiamenti avvenuti e non sempre è riuscito a stare al passo con essi e a trovare soluzioni per tutte le variabili esistenti, per cui è nata e si avverte concretamente, una frattura fra la sfera giuridica e quella sociale.

L'intrecciarsi di matrimoni, divorzi e successive nozze con altri partner ha fatto emergere nuovi rapporti, inesistenti dal punto di vista giuridico, da molti avvertiti come familiari o ad essi assimilabili e alcuni chiedono che questi rapporti possano essere qualificati, almeno nell'ipotesi di assenza di consanguineità, parentela o affinità sociale. Esiste un dilagante sentimento di confusione e ciò crea scompiglio poiché una domanda ritorna ricorrente e cioè quanti modelli di famiglia esistano effettivamente in Occidente e inoltre, come mai si è disposti a violare certi confini e invece altri no.

Il giurista che ha come valore primario quello della congruenza, prova nostalgia per quello che era lo ius romanum, perché quello era un sistema organizzato con perfetta congruenza e nonostante i divorzi, l'identità della famiglia non era in nessun caso compromessa, poiché era fondata sulla soggezione di tutti i suoi componenti alla patria potestà e questa accompagnava i figli sino alla morte del padre; la patria potestà aveva luogo nella casa paterna dove i figli sarebbero dovuti restare finché il padre rimaneva in vita e il divorzio avrebbe comunque lasciato integro il rapporto padre-figlio e non sarebbe potuto essere diversamente, perché era proprio questo rapporto a rappresentare la trave portante di tutta la famiglia.

Nel documento Università degli Studi di Padova (pagine 42-45)