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Per cattura del particolato, si intende ovviamente il meccanismo grazie al quale viene impedito il transito alle particelle, che rimangono dunque bloccate durante il passaggio del flusso d’aria. E’questo il funzionamento che sta alla base dei filtri, i quali si distinguono in differenti categorie a seconda di cinque differenti principi fisici per mezzo dei quali sono realizzati ad operare:

1. STRAINING: Letteralmente “a sforzo”. Rientrano in questa categoria i filtri a sacco; il flusso d’aria attraversa una superficie caratterizzata da una rete di aperture o feritoie di dimensione inferiore a quella della particella più piccola che devono essere in grado di bloccare. E’ il meccanismo più comunemente utilizzato nella cattura di particelle grossolane.

2. INERTIAL IMPINGEMENT: Letteralmente “collisione inerziale”. Metodologia utilizzata per particelle di elevata dimensione o massa che non riescono per questo ad essere trascinate dal flusso d’aria; per caduta collidono su una rete di fibre che le attrae e trattiene.

3. INTERCETTAZIONE: Le particelle seguono il flusso d’aria ma arrivate in prossimità di apposite fibre, vi aderiscono grazie alle cosiddette “Forze di van der Waals” (deboli interazioni a livello molecolare che si verificano tra dipoli temporanei). L’efficacia con cui la cattura avviene dipende dalla velocità del flusso d’aria, che deve essere sufficientemente bassa da non rimuovere le particelle già catturate dalla rete di fibre. Comuni in questa categoria sono i cosiddetti filtri a manica e i filtri a cartuccia.

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4. DIFFUSIONE: Sfruttano la traiettoria irregolare e del tutto casuale con la quale il particolato viaggia nel flusso d’aria, determinata dalla continua azione di percussione che queste subiscono ad opera delle molecole gassose (moto Browniano). Questo movimento porta le particelle ad essere bloccate per intercettazione da una rete di fibre. All’accumularsi di particelle sulle fibre, si creano i presupposti per nuove catture rendendo da un lato più efficiente il meccanismo di diffusione, dall’altro favorendo cattura per intercettazione. Più le particelle hanno dimensione ridotta e più la velocità del flusso rimane di media entità, più gli effetti della diffusione sono marcati.

5. EFFETTO ELETTROSTATICO: Dato che alcune particelle trascinate dal flusso d’aria sono naturalmente caratterizzate da carica elettrostatica, la presenza di una carica elettrostatica di media intensità sulle fibre del filtro può favorirne la cattura. Si utilizzano in questo caso filtri a fibra elettrostatica passiva, caricata cioè non da una sorgente di potenza continua esterna, ma in fase di costruzione del filtro stesso (per esempio mediante soffiaggio di aria secca). Filtri che sfruttano questo meccanismo sono generalmente i più efficienti, data l’elevata forza di attrazione che agisce sulle particelle.

7.3.1 Parametri caratteristici dei filtri:

Norma di riferimento per i requisiti che devono soddisfare i filtri antipolvere, metodi e banchi di prova è la UNI EN 779, la quale distingue i filtri in classi di filtrazione, a seconda delle dimensioni di particolato che riescono a bloccare:

Tabella 7.2 Classificazione dei filtri secondo normativa UNI EN 779.

GRUPPO CLASSE

PERDITE DI CARICO

FINALI

ARRESTANZA MEDIA (AM) CON

POLVERE SINTETICA EFFICIENZA MEDIA (EM) SU PARTICELLE 0.4ΜM EFFICIENZA MINIMA* SU PARTICELLE 0.4ΜM (PA) % % % GROSSOLANI G1 250 50 ≤ AM < 65 G2 250 65 ≤ AM < 80 G3 250 80 ≤ AM < 90 G4 250 90 ≤ AM MEDI M5 450 40 ≤ EM < 60 M6 450 60 ≤ EM < 80 FINI F7 450 80 ≤ EM < 90 35 F8 450 90 ≤ EM < 95 55 F9 450 95 ≤ EM 70

* L’EFFICIENZA MINIMA È LA PIÙ BASSA EFFICIENZA TRA LE SEGUENTI: EFFICIENZA INIZIALE, EFFICIENZA SCARICATA E LA PIÙ BASSA EFFICIENZA TROVATA DURANTE IL TEST DI CARICO POLVERE

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La determinazione delle proprietà caratteristiche principali dei filtri è estremamente complessa date le sostanziali differenze che possono esservi a livello di composizione dell’aria e delle dimensioni di particolato in essa contenuto, ma ciascun filtro in commercio è provato secondo test standardizzati, e ne vengono determinati parametri quali:

• Efficienza: Rappresenta la capacità del depuratore di rimuovere particelle dal flusso d’aria. E’ in altri termini definita come la capacità del depuratore di trattenere particolato e può essere valutata in sede di test a partire dalla differenza di concentrazione di particolato nel flusso d’aria tra monte e valle del dispositivo stesso, utilizzando come campione un flusso prova di cui sia noto il particolato iniziale;

• Resistenza al flusso d’aria: Perdita di pressione statica che il flusso subisce nel passaggio tra monte e valle del filtro. Ovviamente la presenza di strumenti di purificazione dell’aria, siano essi filtri o depuratori, che richiedono l’installazione di componenti direttamente nella rete aeraulica, obbliga a tenerne conto in sede di progetto, valutando le perdite di carico che l’elemento depuratore introduce al passaggio del flusso per evitare che la prevalenza disponibile al ventilatore diventi insufficiente a garantire la giusta portata agli ambienti (analogamente avviene in un circuito idraulico); addirittura buona norma prevede in fase di dimensionamento dell’impianto, di considerare perdite di carico aggiuntive così da tener conto delle condizioni di “filtro sporco”. Al passare del tempo infatti, con l’accumulo di detriti sulle facciate dei dispositivi di filtrazione, aumentano le perdite di carico ad esso associate (perché aumenta l’ostruzione al passaggio); ed in questo modo si riesce a garantire all’impianto un funzionamento adeguato anche quando il filtro è sporco e deve essere lavato o sostituito;

• Costo del ciclo di vita: Consiste nella valutazione dei costi di utilizzo del dispositivo in relazione a tutta la sua vitale durata di funzionamento. Vengono cioè considerati nella determinazione di questo parametro costi di investimento, consumo energetico, manutenzione e smaltimento.

Nella scelta di un dispositivo di depurazione oltre al settore applicativo di interesse, alla composizione del particolato nel flusso d’aria con cui questo è chiamato ad interagire, e non ultime considerazioni di natura economica, vanno analizzate tutte le caratteristiche

sopra citate.

Proprio le vaste esigenze applicative e l’aspetto economico hanno dato linfa di sviluppo industriale a svariate tipologie di dispositivi di filtrazione che si distinguono per

meccanismo, composizione e forma tra cui:

-Filtri viscosi a impatto: sfruttano un meccanismo ad impingement, coadiuvato dalla presenza di ruvide fibre coperte di adesivi o materiale viscoso e inodore;

-Filtri a superficie estesa secca: utilizzano una rete costituita da fibre di varie dimensioni, intrecciata in modo casuale;

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-Filtri elettrostatici: Composti di fibre cariche in modo elettrostatico;

-Filtri a secco ad elevata efficienza: per filtri definiti HEPA (high-efficiency particulate

air) e ULPA (ultralow penetration air). La superficie è estesa mediante la profonda piega

di fogli di fibra di vetro dallo spessore submicrometrico;

-Filtri a membrana: Sono utilizzati in applicazioni specializzate e su piccola scala; disponibili in varie forme e dimensioni dei pori;

-Filtri a materiale rinnovabile: il materiale filtrante è sostituibile in modo manuale o automaticizzato (tipicamente fornito in rotoli).

Tipicamente i materiali costituenti i dispositivi di filtrazione, sono inoltre trattati secondo procedure antimicrobiche, allo scopo di prevenire e frenare la nascita e lo sviluppo di microbi.