• Non ci sono risultati.

Mediare tra scuola e famiglia

Nel documento Mediare tra scuola e famiglia (pagine 70-82)

di Vittorio Lannutti

Premessa

Il lavoro dei mediatori linguistico-culturali in ambito scolastico è partico- larmente complesso; due sono i principali motivi. Il primo è dovuto al difficile intervento nel rapporto tra scuola e famiglie di origine straniera, nella delicata fase di cambiamento prodotta dal percorso migratorio. Il secondo motivo è dovuto alla scarsa linearità tra indirizzi di politiche scolastiche e di politiche sociali, in situazioni in cui il fruttuoso e reciproco riconoscimento tra queste due istituzioni in vari casi non è semplice e lineare, come si vedrà nel dettaglio più avanti. Negli ultimi dieci anni, nonostante i notevoli sforzi da parte dei vari governi per uniformarsi ai risultati di quelli europei, il sistema scolastico italiano si presenta ancora scarsamente efficace, non molto equo con un alto tasso di dispersione scolastica16, troppo diversificato nei differenti rami scola-

stici; aspetti che penalizzano più gli studenti stranieri rispetto a quelli italiani (Pattarin 2005). D’altro lato le politiche sociali offrono scarsi servizi alle fami- glie, sulle quali è incentrato il nostro sistema di welfare.

Il ruolo della famiglia è quello di trasmettere alle giovani generazioni la di- stinzione tra la sfera pubblica e privata, affinché l’individuo apprenda l’esistenza di confini tra il proprio nucleo originario e il resto della società. In un’epoca di trasformazione dei principi base e della struttura familiare, questi confini ven- gono rimodellati producendo crisi nei rapporti intergenerazionali, con pericoli di perdita d’identità generazionale. Questa crisi generalizzata coinvolge sia le fa- miglie migranti, con ripercussioni nell’integrazione dei figli nella società d’acco- glienza, sia la scuola, nella sua funzione di agenzia di socializzazione secondaria del minore. In questa dinamica è molto importante la modalità con cui la fami- glia migrante propone alle nuove generazioni i propri valori tradizionali, rispetto alla tendenza modernizzatrice dei modelli familiari. Si attiva comunque un pro- cesso di assimilazione, che sprona ad emanciparsi dai riferimenti tradizionali, il quale produce un conflitto dovuto alla mancanza di una condivisione univoca di valori familiari. La causa può essere attribuita alla complessità sociale, per cui

16 Nel 2005 soltanto il 21,9% della popolazione con un’età compresa tra i 18 e i 24 anni

si generano sia crisi interne sia atteggiamenti di difesa e ricerca di solidarietà familiare. Nella famiglia migrante entrambe le generazioni, seppur con delle dif- ferenze, sono tenute a rielaborare la propria identità alla luce di una simultaneità che implica il prima e il dopo, la partenza e l’arrivo, il qui e l’altrove rispetto al luogo dove si vive. La famiglia migrante si trova a vivere la discrepanza tra due modi di concepire il mondo e i rapporti familiari (marito – moglie, genitori – figli). La rielaborazione dell’identità passa anche attraverso il confronto con regole, pratiche ed approcci culturali nuovi, per cui ci si trova nella condizione di dover rinegoziare i propri equilibri, le proprie aspettative e di dover cambiare i ruoli sia individuali che familiari. Mutano o rielaborano la propria identità tutti gli attori coinvolti, vale a dire genitori (prima generazione) e figli (seconde gene- razioni), cambiando così anche il loro modo di fare famiglia e realizzandone un tipo che non è propria né del Paese d’origine, né di quello d’arrivo, ma un mix di entrambi i modelli di riferimento. Il lavoro dei mediatori linguistico-culturali agisce su questo complesso percorso della famiglia migrante. Di conseguenza va ad incidere sulla formazione delle seconde generazioni, che svolgono tre impor- tanti funzioni nella nostra società: essere uno snodo cruciale dei fenomeni mi- gratori, essere una sfida per la coesione sociale e trasformare le società riceventi (Ambrosini e Molina, 2004). Ne deriva un aspetto importante e delicato della mediazione, nell’agire tra la generale visione etnocentrica di molti docenti e la visione dell’infanzia sia delle famiglie migranti sia degli stessi minori arrivati in Italia. Questi, molto spesso, sono stati letteralmente sradicati dai loro luoghi di appartenenza, nei quali non sempre vivevano situazioni di particolare disagio17.

In questo capitolo analizzeremo l’attività di mediazione tra scuola e fa- miglia dei mediatori linguistico-culturali intervistati. Partiremo da argomen- tazioni di carattere soggettivo come la cultura familiare e il paese d’origine degli intervistati, dato che grazie a queste informazioni si potrà comprende- re meglio come questi, prendendo spunto dalle loro esperienze personali, si orientino nel lavoro. Proseguiremo nella descrizione delle varie sfaccettature presenti all’interno delle famiglie migranti, quindi vedremo come si struttura l’identità di questi studenti e come questi si relazionano ai docenti e allo stesso mediatore, in seguito analizzeremo come famiglia migrante e scuola si per- cepiscono reciprocamente. Prima di vedere nel dettaglio come si caratterizza il lavoro nella mediazione tra scuola e famiglia, ci soffermeremo su come sia

male interpretato il ruolo del mediatore ed infine come questo è accettato dal corpo docente e dai dirigenti scolastici.

Cultura familiare e paese d’origine.

L’immigrazione nel nostro Paese si è strutturata in maniera multicultura- le, grazie all’elevatissimo numero di Paesi di provenienza degli immigrati, che secondo alcune stime sono ben 191. La difficoltà di creare un modello italiano dell’immigrazione dipende anche da questo fattore, dato che a differenza degli altri Paesi che hanno una più lunga tradizione, il fenomeno migratorio in Italia non si è caratterizzato per avere soltanto alcune etnie rappresentate. L’elevata va- rietà di provenienze si è riscontrata anche in questa ricerca, nella quale i sedici in- tervistati provengono da quattro continenti, l’unico non rappresentato è quello australiano. Di conseguenza ci troviamo di fronte ad un’elevata varietà di storie e di esperienze, non tanto e non soltanto dal punto di vista personale, ma anche per le notevoli differenze culturali e socio-politiche. Si è quindi preferito proce- dere con dei raggruppamenti in base al ricordo più strettamente soggettivo.

Un primo tipo di percorso migratorio è accompagnato dallo sguardo no- stalgico dei migranti. Un esempio è quello di Ema (serba, f. 40), giunta in Italia in seguito al conflitto nei Balcani dei primi anni ’90. Nel suo racconto traspare da un lato un ricordo sereno della vita nella famiglia d’origine e dal- l’altro, in maniera nostalgica, un profondo legame con l’ex nazione jugoslava «Io ho un ricordo dell’intera Jugoslavi. Non mi piace, tuttora dico che sono dell’ex Jugoslavia, non preciso, ho la cittadinanza serba, sono di padre montenegrino, madre macedone, nata in Macedonia, devo avere una cittadinanza per avere il passaporto per poter stare qui con i documenti in regola, ma io tuttora dico che sono dell’ex Jugoslavia. Ho un ricordo molto bello del mio Paese, io sono nostalgi- ca perché quando funzionava bene, almeno all’apparenza, funzionava benissimo nel senso che potevi viaggiare anche all’estero con il nostro passaporto senza aver bisogno di nessun visto, si viveva bene, si viveva molto tranquilli. Forse idealizzo adesso un po’, ma perché mi piace ricordarla così». Il racconto di Ema ci induce a considerare un atteggiamento ambivalente di molti cittadini ultra quaranten- ni originari dell’Europa dell’est18, che, rispetto ai vecchi regimi, se da un lato

apprezzano il processo di democratizzazione avvenuto nei loro Paesi in seguito alla caduta del comunismo, dall’altro rimpiangono la sicurezza sociale che era garantita dagli stessi regimi, come riferito anche da Iola (romena, f. 32). «Era

17 Si vedano i lavori di Pattarin (2007) e Palmas (2006). Più drammatiche sono le situa-

zioni di conflitti bellici, a causa dei quali i minori migranti non hanno avuto la possibilità di costruirsi una categoria sociale dell’infanzia (Bosisio e Cammarata, 2008).

18 Questo atteggiamento è stato ampiamente riscontrato anche nella ricerca sulla forma-

zione dell’identità dei giovani albanesi in provincia di Ancona, diretta da Pattarin nel 2006 e riportata nel testo “Fuori dalla linearità delle cose semplici” (Franco Angeli, 2007).

un regime abbastanza repressivo. In positivo posso solo dire che c’era il fatto che la gente, con gli stipendi che avevano potevano farsi due vacanze all’anno, si poteva comunque costruire una casa, la sicurezza per le strade era molto elevata. (…) Si è perso tanto, ora si vive un po’ come in tutti i paesi democratici, cioè la libertà di parola che sicuramente credo che sia una delle cose più belle in assoluto della democrazia, se uno non può esprimere ciò che sente… però siccome tutto ha un prezzo, credo che questo è quello della democrazia, la delinquenza, la precarietà, l’insicurezza, la droga, la prostituzione». La democrazia dunque ha un prezzo salatissimo, come diretta conseguenza dell’economia globale, nella quale si acuiscono le disuguaglianze economiche (S. Sassen, 2002).

Un secondo tipo di percorso migratorio è accompagnato dallo sguardo cosmopolita, che ogni mediatore linguistico-culturale dovrebbe avere in una so- cietà che sta diventando multiculturale. Ema, proviene da una famiglia multiet- nica, così come la sua collega Mada (peruviana, f.40) proviene da un ambiente culturale che si fonda su una visione del mondo dialogica, in grado di cogliere la complessità e le ambivalenze presenti al suo interno: «A scuola, come sai, in America Latina ci sono tutte le nazionalità che convivono già da un po’, questa è l’unica cosa in cui siamo avanti rispetto all’Europa, e quindi io avevo molte amiche italiane che studiavano a scuola con me, così come tedesche, come cinesi, giapponesi, ecc. (…) Parallelamente poi sono arrivati dei missionari italiani in Perù e io sono sempre stata impegnata in parrocchia, quindi questo amore è diventato ancora più grande no? Vedendo questi italiani che avevano lasciato tutti la loro terra per venire ad aiutare i poveri». Non è un caso dunque, se Ema e Mada siano approdate alla professione di mediatore linguistico-culturale, dato che entrambe hanno un background costituito dal confronto e dalla convivenza tra diverse culture, an- che se poi si sa come è andata a finire nell’ex Jugoslavia. Mada poi è la portavoce di come si stanno superando gli steccati del nazionalismo (Beck 2003, 2005), quando parla di come concepisce la patria. «La patria è intesa non come un grup- po omogeneo di persone, ma intesa come tante persone di tante razze diverse, e tutti quanti sentendosi peruviani. Questa è la differenza, perché anche qui se tu vai a scuola, noi che facciamo mediazione culturale, c’è il nero, l’africano e il marocchino, ma rimangono sempre loro. In Perù siamo tutti uguali. Io avevo compagne di scuola nere, non ho mai fatto caso del fatto che loro fossero nere e io un pochettino meno nera e le mie amiche magari con gli occhi azzurri e bianche: non c’era questa differenza, magari ci prendevamo in giro perché lei era più scura, la prendevamo in giro proprio, non si offendeva, perché partivamo dalla stessa base, perché eravamo uguali. Questo è il discorso. Mentalmente, poi, le differenze che ci sono da noi sono più che altro non tanto basate sul colore della pelle quanto sul discorso del denaro, chi ha più soldi o più cultura, anche la cultura fa la differenza. Quindi questa città me la ricordo così, una città cosmopolita con tante persone diverse insieme, una città viva». Nelle parole

della mediatrice peruviana è evidente come i parametri relazionali, dell’incontro “dialogico” tra autoctoni e migranti, si trovino in una fase di cambiamento, dato che non possono più essere basati sulla matrice etnico-nazionale, bensì sulla dif- ferenza economica, diretta conseguenza della globalizzazione.

Un terzo tipo di percorso migratorio è quello della fuga per le forti tensio- ni presenti non soltanto nel proprio Paese, ma anche all’interno della propria famiglia, Adi (pakistano, m. 29) a causa di queste non ha potuto completare gli studi universitari: «Mio zio era vescovo in Pakistan, perché veniamo da una famiglia cattolica; lui è morto nel 1998. È stato ucciso per uno scontro religioso, perché praticamente c’erano 155 ragazzi cristiani cattolici che sono stati impiccati in Pakistan, perché hanno bestemmiato l’islam, quindi in Pakistan c’è una legge, 95/c, che quando uno bestemmia l’islam viene condannato a morte. Quindi 155 ragazzi morti. Dopo quella cosa mio zio voleva togliere quella legge, ha proposto una nuova legge che non è stata accolta. (…) Ho cominciato quindi il college, poi ci viene lasciato un certificato che è come se fosse una scuola superiore; quindi io ho cominciato il primo anno di college; nel 1995 mio padre è stato ucciso da suo cognato, dieci coltellate. Era una lite tra la famiglia, perché mio padre… allora la sorella di mio padre era litigata con il marito, c’è stata una lite, un diverbio, purtroppo… e allora io ho dovuto lasciare gli studi». Da questa tragica esperienza Adi ha trovato diversi spunti per fare il mediatore, dimostrando di avere avuto una reazione positiva al dramma familiare che ha vissuto.

La famiglia migrante

L’immigrazione nel nostro Paese, ed in particolare nelle Marche, è sempre più caratterizzata dalla presenza dei nuclei familiari. Al loro interno avviene, in un contesto altro da quello d’origine, il confronto tra le due generazioni ed i componenti sono tenuti a rimettere in discussione gli equilibri interni, spesso modificati dal ricongiungimento. Il migrante nel nuovo Paese d’arrivo deve rivi- sitare il proprio concetto di famiglia, dato che questa idea passa attraverso il mu- tamento del suo sapere di gruppo, preordinato dal modello giuntogli in eredità dalle persone autorevoli della sua comunità, nella fase della sua socializzazione; tuttavia queste ultime non possono più esercitare il controllo sociale sul sogget- to che è partito. La qualità di queste relazioni è determinante per l’inserimento delle seconde generazioni nella società d’accoglienza, ma è determinata dallo stile educativo presente nel nucleo familiare19. Come si è visto all’inizio del capitolo,

i genitori migranti hanno l’obiettivo che i propri figli si integrino nel miglior

19 L’educazione è il mezzo fondamentale attraverso cui avviene la socializzazione primaria,

modo possibile nella società d’accoglienza ed, infatti, sono generalmente propen- si a ritenere che l’appartenenza a due culture sia più arricchente rispetto al solo riferimento alla cultura d’origine, questo implica l’accettazione dell’eventualità che il figlio possa avere riferimenti culturali diversi dai propri. Tuttavia, si pos- sono verificare anche situazioni nelle quali c’è da parte dei genitori la tendenza a proporre un modello educativo in linea con i riferimenti culturali tradizionali, che possono contrastare con gli stili di vita condotti dalle seconde generazioni nel nuovo contesto. In questi casi si possono creare atteggiamenti di conflitto, soprattutto se le regole tradizionali vengono imposte. Come è emerso in ricerche volte a comprendere in profondità le dinamiche presenti all’interno delle famiglie migranti, si possono verificare anche due situazioni tra loro contrapposte, per cui alcuni genitori desiderano che i propri figli dimentichino il meno possibile le loro origini, proponendo uno stile educativo autoritario, mentre altri al contrario non pensano sia necessario trasmettere aspetti tradizionali del paese d’origine, perché ritengono che il loro compito sia quello di creare, il meno possibile, attriti ai loro figli per integrarli meglio qui in Italia, utilizzando uno stile educativo di stampo più liberale. La funzione del mediatore linguistico-culturale si colloca all’interno di una complessa costellazione di mediazioni, perché la famiglia svolge il ruolo di attore intermedio tra il singolo migrante e i grandi processi strutturali innescati dalle migrazioni, ponendo l’individuo in un contesto più esteso di relazioni con i network parentali e migratori. All’interno della famiglia, invece, chi assume il dif- ficile ruolo di mediatore tra le due generazioni è la donna, che diventa il punto di riferimento tanto delle strategie di mobilità sociale, quanto di difesa dello status familiare (Ambrosini, 2007).

Prima di comprendere le diverse sfaccettature della famiglia migrante dobbiamo considerare che questa giunge in un Paese nel quale la famiglia ha un ruolo centrale20, dato che nella cultura latina i legami familiari tendono

ad essere il principale punto di riferimento. In tutto ciò, le famiglie migranti si trovano in una posizione di svantaggio rispetto a quelle autoctone, poiché i genitori italiani si attivano il più possibile per favorire l’avanzata sociale dei propri figli, facendo leva sul proprio capitale sociale; ne consegue per questo i figli dei migranti maggiori difficoltà a raggiungere le posizioni sociali ambite per le minori risorse a loro disposizione21.

L’elevato numero di provenienze dei migranti determina un’altrettanto sostanzioso numero di tipologie familiari, con diverse dinamiche presenti al loro interno, alle quali gli intervistati fanno riferimento. Da parte di chi pro- viene dall’Europa dell’Est c’è la tendenza a mettere in evidenza la profonda differenza tra i loro e i nostri modelli educativi, soprattutto per l’educazio- ne all’autonomia emotiva dei ragazzi, così Ava (russa, f. 39) sottolinea che: « quando da noi uno cresce, a 17 anni, di solito si stacca dalla famiglia perché il paese a parte che è grandissimo, enorme, allora se io vivo in una città non molto grande, dove non ci sono università, devo trasferirmi in un’altra città, allora quan- do mi trasferisco praticamente rimango sempre là; questo, che c’è questo distacco forse prima che da voi. Quindi l’adolescente diventa più maturo… cresce prima». Iola (romena, f. 32) rincara la dose, esplicitando la differenza di visione del- l’infanzia nell’Europa mediterranea rispetto a quella orientale. «Ho incontrato anche genitori in cui il figlio veniva al di sopra di qualsiasi lavoro, al di sopra di qualsiasi altro tentativo di poter fare fortuna in Italia. Altri con meno possibilità sì, mettevano davanti questo aspetto. Comunque si vedeva la differenza, si no- tava. (…) nell’infanzia per esempio in Romania il bambino si tende a renderlo abbastanza autonomo, già dall’infanzia, per cui questo se lo porta comunque in adolescenza e via via». Grazie alla consapevolezza di queste profonde differenze il mediatore linguistico-culturale può fare da filtro tra famiglia migrante e la scuola, che per la sua posizione etnocentrica può interpretare certi modelli educativi come indice di scarsa attenzione verso il minore.

L’incontro/scontro sia tra le due culture, quella del Paese d’origine e quella della società d’accoglienza, sia all’interno della famiglia stessa, con conseguenti conflitti tra i genitori portatori di valori tradizionali e le seconde generazio- ni con richieste di una maggiore “libertà”, viene puntigliosamente riferito da Kana (marocchina, f. 43) e da Dik (ghanese, m. 43). Kana si sofferma sulla difficoltà delle seconde generazioni ad utilizzare una libertà che nei Paesi d’ori- gine non era loro concessa «I conflitti che ci sono magari quelli come comprendere la libertà della persona, allora per un giovane che proviene da un altro paese arabo arriva qui trova la libertà che lui non aveva, non la sa usare o la sfrutta in una maniera che non è giusta. Ci sono queste difficoltà». Kana poi spiega le difficoltà di adattamento al nuovo contesto vissute dalle famiglie migranti, con i con- seguenti conflitti. «Magari per lui (l’adolescente) questa libertà pensa di poter fare tutto senza distinguere il bene e il male, per lui magari diventa… è bello…

20 Questo è un aspetto comune a tutti i quattro Paesi dell’Europa mediterranea: Italia, Spa-

gna, Portogallo e Grecia. Per questi quattro Paesi, Enrico Pugliese ha coniato la definizione di “modello di welfare mediterraneo”, che nonostante metta la famiglia al primo posto, è il modello, rispetto agli altri europei, che fornisce meno servizi a questa istituzione.

però con la famiglia ha un’altra cultura, lui è vissuto con un’altra cultura, perché le

Nel documento Mediare tra scuola e famiglia (pagine 70-82)

Documenti correlati