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La mediazione: assunzione di responsabilità sociale e cura dell’altro

Nunzia Coppedè

Che cos’è la mediazione? È un processo che tende a far evolvere dinami-camente una situazione di conflitto, aprendo canali di comunicazione che si erano bloccati. Essa è condotta da un soggetto terzo, estraneo alla situa-zione di conflitto. La mediasitua-zione permette alle parti in conflitto di con-frontare i propri punti di vista e di cercare con l’aiuto del mediatore una soluzione al problema.

La mediazione riesce a far sentire i cittadini parti attive nella preven-zione dei conflitti in quanto si trovano in prima persona a gestire la situazione che ha creato il disagio in un’ottica propositiva di risoluzio-ne: un risultato che non è possibile ottenere attraverso i canali istituzio-nali tradizioistituzio-nali.

Le varie esperienze in questo ambito hanno in effetti portato a risulta-ti apprezzabili.

La mediazione è un fenomeno plurale che per mezzo di specifiche tecniche operative interviene in differenti luoghi del conflitto. La si può pensare, allora, come pratica informale di regolazione dei conflitti della famiglia. Ad esempio, in California la mediazione familiare è oggi dive-nuta addirittura obbligatoria per legge, ed in un Paese a noi vicino, la Francia, è stata oggetto di una recente riforma che consente al giudice di designare, con il consenso delle parti, un terzo mediatore al fine di pervenire ad un accordo autonomo tra le stesse.

Ancora di mediazione si parla nell’ambito del lavoro e delle relazioni sindacali, nel settore della protezione degli interessi diffusi, in materia di consumo e di tutela dell’ambiente e persino nel campo della politica internazionale, dove la figura del mediatore era già contemplata nello statuto della vecchia Società delle Nazioni.

Uno degli obiettivi della mediazione è quello di offrire un aiuto alle

persone che affrontano un conflitto in modo che possano sentirsi accolte, riconosciute e rispettate, e dedicare uno spazio di attenzione privilegiato alle vittime del reato ed ai loro bisogni di accompagnamento e supporto.

Le varie esperienze europee e mondiali hanno affermato l’uso della mediazione in molte aree sociali. In Italia la mediazione, come filosofia e metodologia nell’affrontare i conflitti è arrivata con molto ritardo, ma ora si sta divulgando in tutto il territorio.

Le diverse tipologie di mediazione, in base alle aree sociali e giuridi-che in cui essa è impiegata, sono:

Mediazione penale: è quella che si propone di far giungere le parti ad un accordo da sottoporre quindi al vaglio del giudice. Si applica in par-ticolare nel settore della criminalità minorile. La sanzione riparatoria è al tempo stesso obbligazione per l’autore del reato, ma anche e soprat-tutto risarcimento per la vittima e la società;

Mediazione sociale: sono le azioni rivolte ad affrontare questioni che coinvolgono i cittadini: luoghi non istituzionali nei quali si sviluppano processi di regolazione sociale, riscoprendo il ruolo dei cittadini nella gestione del controllo sociale. Un esempio: il conflitto tra negozianti regolari e venditori abusivi in una determinata zona commerciale;

Mediazione scolastica: è quella che interviene a risolvere situazioni problematiche che si verificano in ambiente scolastico, dai piccoli atti di vandalismo alle incapacità comunicative tra alunni e docenti. Lo scopo è quello di prevenire situazioni di disagio che possono poi trasformarsi in fatti più gravi o addirittura in reati;

Mediazione ambientale: qui la risoluzione dei conflitti riguarda il rap-porto tra i cittadini e la pubblica amministrazione. Un esempio: la crea-zione di una nuova discarica in un quartiere della città crea spesso disa-gio tra gli abitanti, che a volte sfocia in atti violenti quali danneggiamenti o blocchi stradali. Tali situazioni nascono perché tra le parti si è interrot-to il canale di comunicazione; ognuno degli antagonisti rimane fermo sulle proprie posizioni senza riuscire a capire le esigenze dell’altro;

Mediazione linguistico-culturale: è l’intervento attuato laddove nasco-no conflitti tra etnie diverse, spesso dovuti alla mancata conasco-noscenza di usi e costumi differenti;

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Mediazione culturale: si svolge attraverso una costruzione sociale, cul-turale, si fa insieme agli altri per arrivare ad una teoria accettata e con-divisa. Ma questo tipo di costruzione sociale, che è essenziale, parte comunque dalla soggettività;

Mediazione familiare: da mettere in pratica prima di iniziare il penoso iter legale delle separazioni coniugali, per tentare di ricomporre il con-flitto tra i coniugi. Spesso il mediatore, quale figura terza, riesce a far superare anche in questo caso le difficoltà di comunicazione. Tale atti-vità può essere particolarmente utile quando oggetto della contesa sono i figli, che spesso diventano motivo di ricatti e dispetti tra i coniugi.

Nel mondo della disabilità esistono forme di mediazione non definite tali ma che attraverso delle varianti portano agli stessi risultati: ricom-porre i conflitti, trovare le soluzioni ai problemi.

Il ruolo di mediazione nel mondo della disabilità è finalizzato alla difesa dei diritti. Essa si può sviluppare attraverso:

- servizi di mediazione rivolti alla persona, finalizzati a favorire l’auto-consapevolezza del diritto e a negoziare con l’ente competente la solu-zione del conflitto;

- azioni politico-sociali nei confronti di enti competenti per la soluzio-ne di conflitti tra i cittadini con disabilità e/o i loro familiari per l’assen-za di risposte adeguate ai problemi, per una non applicazione di leggi in materia, ecc.;

- azioni culturali per promuovere la cultura dell’inclusione, delle pari opportunità, dell’inter-indipendenza e dell’autonomia delle persone con disabilità.

Nella seguente ricerca cercheremo di individuare il ruolo di mediazio-ne esercitato dalle organizzazioni di persomediazio-ne con disabilità, con un’at-tenzione particolare ad una categoria specifica, le donne con disabilità, avvalendoci delle storie di vita raccolte attraverso le interviste a 27 donne con disabilità, presenti alla Conferenza Europea “Donne con disabilità, vittime di violenza: cosa fare?”. Si tratta di donne che rico-prono ruoli di leder in organizzazioni di persone con disabilità e molte di loro in specifiche organizzazioni di donne con disabilità.

La necessità di costituire organizzazioni di donne con disabilità

scaturi-sce dal fatto che una donna con disabilità spesso si scontra con la doppia emarginazione, d’essere persona con disabilità ed essere donna. Come racconta Gianna (Italia): “Ho sempre considerato le donne svantaggiate social -mente, ma, individual-mente, più forti dell’altro sesso e quindi mi sembrava più urgente partire dalla tutela rispetto ad una discriminazione più generale”.

Le organizzazioni di donne con disabilità nascono successivamente alle organizzazioni di persone con disabilità; esse sono la conseguente espressione del percorso di empowerment e di advocacy delle donne con disabilità, che attraverso percorsi di consapevolezza e auto-determinazione riscoprono la loro femminilità e si riconoscono il diritto di vivere appieno l’essere donna.

Andreé (Lussemburgo) dice: “Inizialmente il fatto di essere donna non ha giocato alcun ruolo: tu sei una persona disabile indipendentemen -te dal fatto di essere donna o uomo. Due anni fa ho par-tecipato per la prima volta ad un corso che si occupava in maniera specifica del problema delle donne disabili e da quel momento sono stata coinvolta sempre di più in questa problematica”.

Ed è qui che la donna con disabilità si scontra con l’altro contesto di emarginazione, quello delle donne in genere; basta vedere come nelle politiche delle pari opportunità ci sia bisogno di fare delle forzature per farvi rientrare le problematiche delle donne con disabilità.

Zijdel (Olanda) racconta: “Come donne disabili dobbiamo combattere il doppio. Non c’è soltanto discriminazione tra non disabile e disabile ma anche all’interno del gruppo dei disabili”.

Nelle interviste emerge chiaramente l’impegno di queste donne per favo-rire percorsi specifici attraverso l’impegno nelle rispettive organizzazioni di donne disabili, e come ciò abbia portato le stesse ad essere promotrici di organizzazioni, ad assumere nelle organizzazioni ruoli di responsabilità.

Dinah (Germania) riferisce: “Ho organizzato un gruppo di donne disabili, dove potevamo discutere delle nostre preoccupazioni, l’aspetto, la bellezza, gli impegni di casa, ecc. Questo è stato molto importante. Abbiamo lottato e così siamo diventate più visibili. Anche questo… penso sia ancora più importante per me, perché adesso sono presidente di questo comitato di donne disabili”.

Kerstin (Svezia) racconta: “Gestisco un progetto che fa parte di altre 112

associazioni come il forum delle donne disabili. È stato creato l’altro orga -nismo proprio perché all’interno dell’uguaglianza in Svezia non è stato introdotta l’uguaglianza di genere”.

Partendo dalla convinzione che ottenere delle conquiste significa migliorare la propria qualità della vita e quella degli altri, e che la lotta condivisa e portata avanti con altri pari è più incisiva, le donne con disabilità si organizzano e fanno anche attività di mediazione.

Rose (Uganda) racconta: “Per me essere donna è molto più importante che essere disabile. Proprio per questo ho detto di voler dare voce alle donne disabili”.

La forza della lotta politica per il riconoscimento dei diritti, per l’ap-plicazione delle leggi e per la diffusione della cultura delle pari oppor-tunità emerge da organizzazioni efficienti, con all’interno persone con disabilità che trasmettono il punto di vista delle stesse persone disabili, costringendo i governi a riconoscere le organizzazioni come collabora-trici nell’elaborare le politiche sulla disabilità.

Dalle interviste emerge chiaramente che la situazione di disabilità, e ancor più di donna con disabilità, porta a subire situazioni di discrimi-nazione, sempre e comunque, anche se si vive in un Paese ricco piutto-sto che in uno povero, in un Paese di cultura occidentale o in uno che è succube di una dittatura. La mediazione tende a ridimensionare il diva-rio tra chi esercita discriminazioni e chi le subisce, favorendo la soluzio-ne dei conflitti attraverso forme di dialogo mediate diverse.

In questo capitolo ne affronteremo alcune.

Servizi di mediazione rivolti alla persona, finalizzati a favorire l’auto-consapevolezza del diritto e a negoziare con l’ente competente la soluzione del conflitto

Abbiamo affrontato nel capitolo sull’advocacy il ruolo dell’advocate negli sportelli di informazione rivolti a persone con disabilità, nei servi-zi di peer-support, nelle agenservi-zie per la vita indipendente ecc.

In tali servizi si fa un’azione di mediazione poiché si entra in una

rela-zione di aiuto nei confronti di persone a cui deve essere garantito un diritto e dell’ente competente che lo deve garantire.

La mediazione è espletata in prima istanza fornendo una corretta informazione alla persona che si rivolge al servizio. Zijdel (Olanda) rac-conta: “In Olanda tutte le persone ricoverate hanno il diritto ad avere una voce in capitolo. Fino ad ora queste persone erano molto sottomesse e abi -tuate a “farsi vivere”. Adesso con questa legge hanno il diritto ad avere una voce ed io li assisto, dò loro consulenza su come difendere i loro dirit -ti. Questo servizio è curato dalla ‘gehandicaptenraad’ ( o r g a n i z z a z i o n e nazionale, n.d.a.) (…) Il mio lavoro è dare consulenza per i problemi di alloggio, sessualità, abuso sessuale…”.

In secondo luogo, aiutando la persona ad espletare l’istanza e cercan-do di trovare metocercan-dologie e strumenti icercan-donei per affrontare eventuali conflitti. Il mediatore si mette in contatto con il referente dell’ente che deve rispondere del diritto e media il dialogo tra le parti interessate fino ad arrivare alla soluzione del conflitto. In casi estremi - se il referente dell’ente preposto non accetta il dialogo, non applica le leggi competen-ti e, quindi, viene leso il diritto della persona con disabilità - alcuni dei servizi sopra citati garantiscono anche il sostegno alla persona lesa per l’avvio di azioni legali. Altri servizi inviano la persona con disabilità nei luoghi che garantiscono il sostegno per intraprendere azioni legali.

Azioni politico-sociali nei confronti di enti competenti per la soluzione di conflitti tra i cittadini con disabilità e/o i loro familiari per l’assenza di risposte adeguate ai problemi

Le associazioni di, con e per disabili sono soggetti politici molto forti perché interloquendo con i governi di ogni livello costringono gli amministratori ad impegnarsi senza perdere di vista i bisogni delle per-sone. Molte associazioni sono sorte perché sollecitate dalla mancanza assoluta di risposte ai bisogni.

Le organizzazioni si sono costituite partendo dall’idea che insieme si è più forti. Tante sono le associazioni di genitori di persone con disabilità

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che sono sorte negli ultimi vent’anni, con l’idea di uscire fuori dall’isola-mento e diventare parte attiva nei processi di non-discriminazione dei loro figli disabili. Gianna (Italia) dice: “Penso che le associazioni di disa -bili e famiglie abbiano ottenuto molto a livello di leggi che tutelano o che dovrebbero tutelare, e credo che facciano molto anche nella difesa perso -nale dei diritti negati”.

Ma le associazioni sono anche una presenza propositiva, in quanto non vanno solo a chiedere, ma fanno proposte, avvalendosi della loro esperienza e molte volte avviano servizi sperimentali, innovativi.

Azioni culturali per promuovere la cultura dell’inclusione, delle pari oppor -tunità, dell’inter-indipendenza e dell’autonomia delle persone con disabilità

L’impegno dell’associazionismo produce la mediazione sociale nell’a-rea della disabilità perché si nell’a-realizza attraverso il dialogo, la proposta e la trasferibilità delle esperienze. Naturalmente i ruoli sono diversificati, le associazioni sono una rappresentanza della base organizzata, cono-scono l’interlocutore e agicono-scono per la difesa e la rivendicazione dei diritti, scelgono il dialogo, mettono a disposizione le esperienze, i saperi e la forza del loro stare insieme, organizzano manifestazioni pubbliche per denunciare le inadempienze degli enti o per pretendere una innova-zione, propongono emendamenti alle leggi dello Stato, stimolano rispo-ste concrete ai bisogni. I governi giocano il loro ruolo: dare le risporispo-ste facendo tornare i conti e gli equilibri politici.

Ogni piccola conquista della base produce cambiamento culturale.

Marita (Spagna) parla di: “Cambiamenti culturali sui significati dell’e -ducazione più che sui significati delle leggi”.

Le politiche sulla disabilità negli ultimi trent’anni hanno favorito un incisivo cambiamento culturale, il passaggio dalla cultura assistenziale alla cultura dell’integrazione. Dicono Kerstin (Svezia) e Tonia (Belgio):

“I principi fondamentali sono i principi dell’eguaglianza di condizione, di trattato della discriminazione”; “Integrazione, nella vita sociale e nel lavo -ro… nelle piccole cose”.

Mentre prima era normale pensare che una persona con disabilità, al di là del tipo di disabilità, fosse una persona da assistere e curare, facen-do prevalere la malattia sulla disabilità e quindi intervenenfacen-do solo sul-l’aspetto medico e su luoghi protetti da garantire (ospedali a lunga degenza e istituti), negli ultimi anni è subentrata invece la concezione del recupero sociale, passando dall’integrazione sociale all’idea del recupero e del diritto all’autonomia - come afferma Vincenza (Italia): “Il diritto di vivere fuori dalle istituzioni totali e il diritto di vivere in condi -zioni di pari opportunità, il diritto di vivere in libertà” - alla sollecitazione di forme di autogestione, all’affermazione del concetto di pari opportu-nità, vita indipendente e autonoma.

Certo la strada è contorta e ancora molto lunga - Kerstin (Svezia) dice: “Il lavoro è molto elevato, c’è tanto lavoro da fare, per esempio nel settore della violenza sulle donne non c’è nessuno che ci lavora” - ma cul-turalmente è accaduto qualcosa di molto importante: l’idea che una società che si organizza per accogliere “tutti” è una società che cresce.

Molte persone con disabilità che sarebbero state costrette a vivere nel ghetto sono diventate protagoniste della propria storia, mediatrici per molte altre storie di disabili ed esperte nella difesa dei diritti umani e delle pari opportunità nel campo della disabilità. Molti genitori di per-sone con disabilità, disperati ed avvolti dalla solitudine, si sono organiz-zati ed ora sono esperti di proposte alternative.

L’incisione politica e culturale è evidente ed ha costretto i governi a modificare le leggi e a lavorare nell’ottica dei diritti di tutti i cittadini, incluse le persone con disabilità. Ha ricollocato in ambiti distinti gli aspet-ti medici e sociali, realizzando le basi perché l’aspetto medico e sanitario diventino circoscritti alle necessarie cure, ma non diventino l’unico scopo della vita della persona con disabilità, mentre il sociale diventi il luogo per realizzare i contenuti e i percorsi, finalizzati a garantire l’inclusione.

Rose (Uganda) riferisce: “Un altro problema era che le donne con disa -bilità erano escluse dalle attività sportive. Ho così fondato un gruppo sportivo ed ho convinto le donne che anche loro potevano fare sport. E così oggi c’è un gruppo di sportive”.

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7. Il ruolo nelle organizzazioni e la dimensione di