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Abbiamo esaminato una serie di brani prosastici inseriti nel corpo di una sillo- ge poetica. Tuttavia, nel contesto di «circolarità» dell’opera di Piccolo, può av- venire anche il contrario: che siano le poesie coagulate all’interno di una cornice narrativa. Ci riferiamo a Il Canto delle Esperidi, un raggruppamento poetico pub- blicato per la prima volta nella raccolta postuma Il raggio verde – che comprende tre brani poetici attribuiti convenzionalmente a tre Esperidi.

Prima Esperide Mai giorno, mai notte

e protende le sue braccia il giorno e si curva la notte dalle sue grotte stellate per il bacio

che mai si compie, che mai s’abbandona e sospira l’attesa e tesse

le spume intorno, nella distesa

60 N. TEDESCO, Lucio Piccolo. Cultura della crisi e dormiveglia mediterraneo, Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta - Roma 2003.

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marina che sempre risuona; viene la brezza si nasconde negli arbusti pieni di fronde si toccano i pomi, danno tintinni più forti, baleni e le fiaccole col fuoco

senza calore bruciano gli attimi, l’ore nel fermo vespro perenne.

* Seconda Esperide

Se avviene che getti l’ondata su la spiaggia frantumi violetti di dirotto uragano di nembo, un disperso gabbiano narra che sorgono al di là del mare montagne, che s’aprono vallate ai sonni, ai risvegli dell’uomo; spazia l’occhio nei meandri sereni e la bontà dei rami si piega a la grazia dell’acque.

* Terza Esperide

E un fiore è negli orti dell’uomo: sale la delizia del sangue dà fili di porpora a le foglie, batte nei petali e la corolla s’apre verace al respiro; ma si ferisce la mano

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che la coglie e gioia e dolore chiude l’istesso cerchio. Ma qui consumano l’ore l’erranti clessidre di spuma e d’aria.61

Questa triade, come spiega Musolino, «Fa parte di un poemetto, “Il giardino delle Esperidi – melodramma”, rimasto allo stato di abbozzo»62. Quest’operetta

prosimetrica, detta anche L’orto delle Esperidi, è stata pubblicata a cura di Muso- lino – provvista di un apparato variantistico che ne illustra il work in progress – nel volumetto che raccoglie insieme il testo edito delle Esequie e quello delle al- tre prose inedite di Piccolo. Questo melodramma avrebbe dovuto costituire un inserto performativo all’interno del contesto narrativo delle Esequie della luna, dove viene esplicitamente indicato quale spettacolo teatrale – un play within the

play – che il Viceré, cadesse il mondo, anzi la luna, non può fare a meno di re-

carsi ad assistere; urgenza questa carica di un’ironia tipica della parodia dotta, del wicked joke di cui sopra:

nemmeno possiamo dire che il Viceré rinunziasse quella sera allo spettacolo del teatro del Palazzo: «L’orto delle Esperidi». Melodramma di autore poco noto e assai meno ben visto, di cui forse un giorno sarà dato conoscere i testi

poetici. (p. 37)

61 L. PICCOLO, Plumelia La seta Il raggio verde e altre poesie, Scheiwiller, Milano 2001, pp. 95-97.

62 IDEM, Il raggio verde e altre poesie inedite, a cura e con prefazione di G. Musolino, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1993, p.47.

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L’argomento di tale melodramma incompiuto, come suggerisce il t i- tolo, è mitologico: la trama, il cui sviluppo appare abortito, verte sull’undicesima fatica di Ercole: sottrarre i pomi dorati delle Esperidi. La capillarità e la funzione ontologica che la simbologia acquatica ri- veste all’interno del racconto (della quale discuteremo approfondita- mente nel Capitolo Terzo) determinano la scelta per il ruo lo del Pro- logo, che nelle carte appare in versione doppia, passando da Nettuno a Nereo, entrambe divinità marine:

Io sono Nettuno e questo manto è me stesso: il Mare; da me sorge [da] in me tramonta il sole e sono anche dove non mi vedete, oltre i monti, oltre l’orizzonte delle pianure: quando il Sonno p encola un poco e poi vi prende, voi non salite nelle nove sfere, nei cieli cristallini, ma scendete come [un’urna] uno scafo silenzioso nelle mie spelonche – è per questo che al vostro risveglio siete come grondanti, iridati d’infinite luci, d’infiniti colori: che non sapete dire, e nella vostra anima è come l’eco, la memoria dei suoni che non sentite mai sulla terra, o forse l’immaginate quando camm i-

nate solitari sulle dune. (p.73)

*

Io sono Nereo e questa tunica è il Mare. Sentite che fruscìo! A n- che quando non c’è vento su la mia pianura allorché ci sono

in vista le montagne

potete vedere da un lato dell’orizzonte a poco a poco

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e poi sparire e dall’altra parte sorgere la punta

d’una vela

e ingrandirsi, completa – e questo vi dice che la terra è rotonda. Quando vi prende il sonno non è vero ch’esso venga a voi e tuttavia vi sembra di grondare di gocciolare tutti

d’iridi, di cristalli, di membrane (p.81)

Il protagonista Eracle, nel suo ingresso in scena, si fa subito narrato- re di un apologo con cui Piccolo vuole caricaturizzare i sedicenti poeti e artisti senza reale talento. Il dettaglio degli occhiali sul naso è una chiave d’interpretazione che ci rivela i reali bersagli di questa satira, ossia i critici letterari. All’anti-accademismo nell’opera di Piccolo ab- biamo dedicato una sezione del Capitolo Terzo, alla quale rimandi a- mo per la comprensione del seguente passo:

A Creta una volta mi svegliai con una voglia grande di vino , era il momento che i levrieri di Cefalo balzano sui monti al primo ri- chiamo dell’Aurora e le stelle scendono nelle fontane, [scesi] saltai dal letto dunque, come ti dissi e m’incamminai giù verso il porto alla cantina di [……] Glauco taverniere ed apersi con una spinta la porta, l’ultimo tizzone si spegneva con l’ultima favola, ma la favola più senza senso fu quello che vidi: dal soffitto pendeva da un laccio, un lungo scuro pesce disseccato, un’aringa a giudicare dall’odore e sul tavolaccio, su le scansie erano quattro gatti m a- gri, affamati e con salti iperbolici, con il lancio fulmineo degli ar- tigli, tentavano impadronirsi del pasce, ma era assai se qualche

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volta riuscivano appena a farlo oscillare a far cadere qualche dura squama e pensai agli ostinati mai disillusi proci d’una impossibile gloria, che tentano le corde della cetra, il pennello, lo scalpello, accesi d’una speranza mai estinta, che non discende dalle sfere elisee, ma sale per certo dalla melma di Acheronte. E poi divent a- no malvagi l’un contro l’altro, dicono che il mondo è sordo, che non vuole ascoltare il loro canto, sparuti inforcano sui nasi pao- nazzi immense lenti, masticano amaro, hanno abbandonato […..] […..] […..] […..] che ad ognuno il Fato concederebbe, per seguire una perversa puledra, che li manda ogni volta senza fallo a ga mbe

per aria. (pp.79-80)

Di carattere ironico e metaletterario il discorso diretto di Eracle r i- volto ai Cercopi nell’unico dialogo di forma compiuta del melodra m- ma:

I CERCOPI

Padrone Eracle, se ci [lasci] liberi dal guinzaglio per due minuti, senza tua fatica ti prenderemo i pomi, gli alberi, il serpente, le ninfe, i tripodi.

ERACLE

Ma no! Occorre che faccia tutto io! Euristeo lo saprebbe, altr i- menti con tutti i chiromanti indovini sibille e profeti che gli stan- no attorno, se ne adonterebbe certo; penso però tuttavia che quan- do gli presenterò [nel paniere] nel sacco le frutta che mi ha richie- ste, torcerà infastidito il muso, dirà che quelli che gli porta l’ortolano sono più saporosi, sodi, profumati e forse avrà ragi o- ne… Mi comanderà dopo di prendere nella rete (da pesca) le Pleiadi e quando le avrà sotto gli occhi dirà che sono ciottoli del torrente…

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I CERCOPI

Ma perché allora vi date tanta pena e tanta fatica? Se tutto riesce inutile e vano?

ERACLE

Perché? Perché i pallidi aedi e il popolo credulone voglion o così, e noi Eroi, noi semidei non siamo quello che siamo, ma quello che vogliono loro: figuratevi che – quasi non bastassero i piagnistei di Deianira – [vogliono ch’io abbia] si sono messi in testa ch’io abbia un’altra moglie ….. Ma poi fortunatamente mi piglierò la rivinci- ta con la commedia del rogo e me ne andrò a bere, giocare a carte e banchettare dal padre e dai consanguinei non curanti…

(pp.84-86)

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