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Mental accounting e avversione alle perdite

CAPITOLO 3: TEORIE COMPORTAMENTALI DI PORTAFOGLIO

3.5 Mental accounting e avversione alle perdite

Barberis e Huang (2001) hanno studiato il livello di equilibrio dei rendimenti dei titoli in due economie: la prima nella quale gli investitori erano avversi alle perdite con riferimento all’intero portafoglio e la seconda nella quale erano avversi alle perdite con riferimento ai singoli titoli che possedevano.

Gli studi riguardo al narrow framing e all’avversione al rischio hanno determinato un ruolo importante nello spiegare come gli individui esprimono le preferenze nelle scelte di portafoglio.

Le caratteristiche principali dell’avversione alle perdite studiata dalla teoria del prospetto di Kahneman e Tversky (1979) riguardano i seguenti aspetti: l’utilità è considerata in funzione dei profitti e delle perdite invece che della ricchezza totale, la sensibilità alle perdite è maggiore rispetto ai profitti di pari importo e il modo in cui si percepiscono profitti e perdite dipende dai risultati precedenti.

Una questione fondamentale nel valutare l’avversione alle perdite dipende dal modo in cui queste sono considerate. Se i profitti e le perdite sono valutati per l’impatto sull’intero portafoglio si fa riferimento alla ricchezza totale realizzata o dissipata, se l’investitore si concentra sui risultati realizzati dalle attività considerate singolarmente si può parlare di valutazione “ristretta” (narrow framing). A quale delle due versione l’investitore faccia riferimento è una questione di contabilità mentale, concetto introdotto da Thaler per identificare il processo attraverso cui le persone valutano la ricchezza e gli investimenti finanziari.

Poiché è stato ravvisato da diversi studi che le persone sono solite attuare processi di contabilità mentale, gli autori hanno elaborato due modelli per studiare come le persone reagiscono alle performance delle attività in base a un inquadramento più o meno ristretto. Nella prima economia gli investitori ottengono utilità direttamente valutando i profitti e le perdite delle singole attività, sia attuali che pregresse, le quali inducono a modificare i comportamenti e la propensione o avversione al rischio (“individual stock accounting”); nella seconda gli investitori ottengono utilità valutando le performance del portafoglio unitariamente considerato (“portfolio accounting”). Anche qua vale lo stesso

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ragionamento della modifica della percezione del rischio in base ai rendimenti passati ma valutati nel complesso e non attività per attività.

Nel caso di “individual stock accounting” il tasso di sconto per i redditi attesi futuri delle singole attività cambia in funzione delle passate performance delle attività. Se un titolo ha avuto delle recenti buone performance, allora l’investitore avendo ottenuto utilità dai profitti, peserà meno le probabilità di incorrere in perdite in futuro, perché l’impatto di ogni perdita verrà smorzato dai precedenti profitti. Percependo quindi il titolo come meno rischioso rispetto al passato sconterà i flussi di cassa futuri con un tasso di sconto più basso.

Se invece una delle sue attività ha ottenuto performance passate scadenti, diventerà più sensibile e timoroso verso la possibilità di incorrere in perdite future. Avvertendo quindi il titolo come più rischioso che in passato aumenterà il tasso di sconto dei suoi redditi futuri attesi.

Questo cambiamento nel tasso di sconto ha l’effetto di indurre una volatilità nel rendimento del titolo maggiore rispetto ai sottostanti flussi di cassa.

In questo tipo di economia un titolo con un alto rapporto prezzo/dividendi è spesso uno che ha avuto buone performance in passato, ha accumulato precedenti profitti per l’investitore, che vedendolo come meno rischioso ha richiesto un premio per il rischio minore.

Viceversa un titolo con un basso rapporto prezzo/dividendi ha avuto spesso performance scarse, rendendo gli investitori più sensibili alle perdite, che hanno richiesto un premio per il rischio maggiore. La alta volatilità in un titolo e quindi la possibilità di incorrere frequentemente in perdite è un altro elemento che fa richiedere un alto compenso in termini di premio per il rischio.

Considerando invece il modello di “portfolio accounting”, i cambiamenti nel tasso di sconto delle attività sono motivate dalle fluttuazioni del valore dell’intero portafoglio. Quando il portafoglio ha un buon rendimento, l’investitore sarà meno concentrato sulle performance delle singole attività ed anche se alcune hanno avuto rendimenti negativi, ciò non indurrà a cambiamenti nel tasso di sconto verso il basso, bensì verso l’alto, perché viene considerato il rendimento nel complesso.

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La chiave di lettura di questa impostazione sta nel comportamento del tasso di sconto. L’impostazione di “portfolio accounting” 17 determina rendimenti dei titoli meno volatili

rispetto all’impostazione “individual stock accounting”18.

E’ facile notare questo se si considera i ragionamenti che adottano gli investitori in base alle valutazioni sulle singole attività o sul portafoglio considerato in toto. Dal momento che, per variazioni sui rendimenti dei titoli nel secondo modello, il tasso di sconto verrà subito modificato, l’effetto è maggiore rispetto al primo. Inoltre nel ISA poiché i titoli nella maggior parte dei mercati hanno rendimenti positivamente correlati, l’effetto della volatilità si amplifica.

Un discorso analogo vale per l’effetto dei rendimenti passati che è maggiore per l’ISA, perché è più facile che a livello di portafoglio le performance di un titolo non siano cosi determinanti per gli equilibri generali, da determinare una variazione del premio per il rischio rilevante.

Il fatto che l’utilizzo dell’ISA sia più diffuso tra gli investitori individuali rispetto a quelli professionali farebbe intuire che per esempio le azioni di piccole imprese, detenute principalmente dalla prima categoria, mostrano caratteristiche degli andamenti associate a questo modello.

Alcune caratteristiche dei mercati hanno poi modificato l’utilizzo dei modelli. L’introduzione dei fondi di investimento dai primi anni ’80 ha causato uno spostamento negli investitori dall’ISA al PA, perché i fondi, selezionando i titoli, prevengono gli investitori dal preoccuparsi riguardo l’andamento di questo o quel titolo preso individualmente.

L’assenza di problemi di narrow framing nel modello tradizionale (CAPM), probabilmente dovuto a problemi di accettabilità dal punto di vista normativo, toglie la possibilità di valutare alcuni elementi che in base ai dati si è visto che influiscono sulle valutazioni degli investitori. Il rimpianto è un aspetto che coglie questo modello, in linea con le indicazioni della finanza comportamentale. Problemi di limitazioni di tipo cognitivo possono motivare anche perché le persone si focalizzano su singoli profitti o perdite, piuttosto che sulla ricchezza totale.

17 PA di qui in avanti per semplicità 18 ISA di qui in avanti per semplicità

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Tra i due modelli l’ISA sembra essere il più soddisfacente per spiegare alcuni rompicapo che si verificano nella realtà, come il premio per il rischio attribuito ai titoli maturi (value

stock) o alle azioni che hanno avuto rendimenti recenti scarsi. Però esso ha anche diversi

punti deboli. Ad esempio predice che la correlazione tra i rendimenti di diverse azioni è la stessa che la correlazione dei rispettivi flussi di cassa mentre è stato visto da diversi studi che la correlazione dei primi è maggiore rispetto ai secondi.

Un altro punto debole di questo approccio è che i comportamenti degli operatori vengono ipotizzati in base ad aspettative omogenee, mentre nella realtà i comportamenti sono molto variegati, anche sulla base delle performance pregresse positive o negative. Gli autori concludono che un modello che combinasse l’ISA con forme più estese di contabilità, come il PA, o anche uno che comprendesse avversione alle perdite con riferimento alla ricchezza totale, sarebbero migliori.

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