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mente sfavillante e leggera, ma sottile fino a disper¬

dersi nella nebbia, del Bergson. Basta osservare la nostra esperienza quotidiana. E questa ci mostra come il tempo non sia una cosa quantitativamente obbiettiva, e come invece l’un tempo differisca dall’altro qualitativamente, cioè per le qualità che noi, soggettivamente, attribuiamo all’ uno c al- r altro.

. Voi vi mettete in treno nella città A e in tre

ore giungete nella città B a centocinquanta chilo-

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metri di distanza. Voi partite a piedi dalla città A e in tre ore siete nel villaggio a a quindici chilo¬

metri dalle sue mura. Obbiettivamente il tempo sarebbe lo stesso. Ma quando voi siete giunti a piedi da A ad a e riflettete che il tempo impiegato è lo stesso di quel che sarebbe occorso da A a B in ferrovia, avete l’impressione che ciò non sia, e che quel tempo che avete tante volte impiegato per giungere in ferrovia da A a B sia molto maggiore.

La distanza percorsa, il numero dei paesi e delle città oltrepassate, la quantità di oggetti intravisti nella corsa in ferrovia, danno alle tre ore di fer¬

rovia un carattere qualitativamente diversissimo dalle tre ore di cammino, e fanno veramente di quelle un tempo maggiore di queste.

Il tempo, insomma, non è omogeneo. E se si vuol riconvincersene basta pensare all’ andamento assolutamente diverso che esso prende durante l’at¬

tesa e durante un’occupazione interessante e pia¬

cevole. Voi aspettate l’amata ed essa non viene.

I minuti calano sul vostro spirito, numerati e sen¬

titi ad uno ad uno, lenti, pesanti, come un lungo pendolo che oscilli adagio adagio. E se essa più non viene, quella mezz’ora d’attesa resta, più tardi, nel vostro ricordo come un macigno, come una mole enorme di tempo consolidata e greve che ancor preme dolorosamente sull’anima vostra. Ma se essa viene, l’ora che passate con lei è più breve dei dieci minuti d’attesa e il tempo è diventato agile e snello, come il corto pendolo rapido d’un elegante orologio da tavolino.

— so¬

li Bergson (il più prodigiosamente sottile dei moderni investigatori del fenomeno del tempo) scrive in Matière et Mémoire: « Non vi è una durata im¬

personale e omogenea, la stessa per tutto e per tutti, che fluisca, indifferente e vuota, all’infuori di ciò che dura. Non vi è un ritmo unico della du¬

rata; e si possono immaginare molti ritmi diversi, i quali, più lenti o più rapidi, misurino il grado di tensione o rilassamento delle coscienze ». Egli os¬

serva che nello spazio di un secondo, la luce rossa compie quattrocento trilioni di vibrazioni successive.

Per avere la percezione di (juesto numero di vibra¬

zioni, bisognerebbe separarle le une dalle altre per modo che si potesse contarle. Ora, il più piccolo inter¬

vallo di tempo di cui noi possiamo avere coscienza è di due millesimi di secondo. Per contare, adun¬

que, i quattrocento trilioni di vibrazioni occorrereb¬

bero venticinqueinila anni. Quale differenza obbiet¬

tiva tra questi duecentbeinquanta secoli e l’istante che ci basta a percepire il raggio di luce rossa?

Nessuno. V’è la sola differenza subbiettiva che noi condensiamo duecentocinquanta secoli in un breve minuto secondo.

In una parola, siamo noi che creiamo il tempo, che lo allunghiamo e lo accorciamo a seconda delle nostre attitudini e disposizioni innate o acquisite.

Per vivere a lungo basta far defluire il tempo con lentezza, e con quanta maggior lentezza lo si fa defluire tanto più a lungo si vive. A ciò serve ottimamente la noia. La noia è dunque la più si¬

cura filosofia della longevità.

Passiamo ad un altro ordine di considerazioni.

Secondo una celebre teoria, fondata dal Pascal, praticata egregiamente dai gesuiti, rinnovata nel nostro tempo dal James (nel Will to Believe) e dalla dottrina pragmatista, il compiere gli atti esteriori come se si credesse, finisce a lungo andare per procurare la fede. Il senso generale di questa teoria è che gli atti che compiamo materialmente col nostro corpo influiscono potentemente a dare allo spirito determinati atteggiamenti in analogia a que¬

gli atti esteriori.

È noto come il Campanella dicesse che quando voleva sapere che cosa taluno pensasse, ne con¬

traffaceva l’espressione del viso, perchè questo movimento esteriore produceva nel suo interno pensieri verosimilmente analoghi a quelli che nu¬

triva l’altra persona avente quella stessa espressione del viso. E un medico moderno, assai geniale scrit¬

tore, il D.r P. L. Levy, insegnando L'Education rationelle de la volonté, scrive: « Il nostro essere morale si manifesta per una triplice via: mediante il nostro atteggiamento (compresa l’espressione della fisonomia e i gesti), mediante le nostre parole, mediante i nostri atti. Mediante questa triplice serie di manifestazioni, possiamo esercitare un’influenza indiretta, ma reale e profonda, sulla nostra maniera di pensare, di sentire, di volere. Così, se siamo impressionabili, dobbiamo saper abituarci a scolpir la calma sul nostro viso e a moderare la vivacità dei nostri movimenti; se siamo timidi, a star dritti

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sulla persona, a parlare a voce alta e distinta, a fissare francamente gli occhi sui nostri interlocu¬

tori. Così, i caratteri precipitosi debbono imporsi di camminare lentamente, di mangiare lentamente;

rindeciso di agire con prontezza», ecc.

La stessa tesi sviluppò ingegnosamente (nel- VArf de vivré) un altro medico, il D.r Toulouse, noto ai lettori specialmente per la sua inchiesta medico-psicologica intorno a Zola. « I gesti (dice) influiscono sulle idee. Un impulsivo farà bene a sottomettersi ad alcuni esercizi giornalieri eseguiti con lentezza. Si collochi dinanzi a uno specchio e si sforzi di moderare i suoi gesti durante un periodo abbastanza lungo »...

Possiamo adesso concludere.

La diffusione di mezzi sempre più rapidi di locomozione e la pratica di questi diventata abituale e diuturna producono due conseguenze.

La prima è che concentrano il tempo. E siccome il tempo non ha una durata omogenea e obbiettiva, bensì la durata soggettiva che il nostro spirito vi dà, questa concentrazione del tempo è veramente un accorciamento del tempo.

La rapidità della locomozione produce l’effetto psicologico di accorciare la nostra vita. È come se il tempo della nostra vita venisse messo in uno strettoio e costretto a condensarsi in un volume più piccolo.

La seconda conseguenza è che, siccome i gesti e gli atti esteriori determinano Patteggiamento dello

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spirito, così r abitudine esteriore della precipitosità