Luci e ombre nella rappresentazione del divismo
1.1 Da Merton Gill a Peggy Pepper Merton of the Movies e il cinema degli anni Vent
I
Parlare del romanzo di Harry Leon Wilson Merton of the Movies significa confrontarsi con un destino paradossale. Infatti, come si è già accennato nel capitolo introduttivo, il libro di Wilson esercita indiscutibilmente un’influenza decisiva sulle forme che il cinema di ambientazione hollywoodiana andrà assumendo dagli anni Venti in poi. Pubblicato al principio di un decennio che vede l’industria cinematografica spesso costretta a difendersi da accuse d’immoralità, scatenate da una successione molto pubblicizzata di scandali riguardanti lo star system, il libro di Wilson lega fatalmente le sue sorti a una produzione di film volta, appunto, a contrastare tali polemiche, e a rilanciare con ottimismo la mitologia hollywoodiana. Patrick Donald Anderson osserva che in uno scenario come quello degli anni Venti, dove l’odore dello scandalo e la curiosità pruriginosa per il mondo del cinema si ritrovano sovente a braccetto, Merton of the Movies ha finito per fissare «una formula che sarebbe stata adottata, subendo solo lievi alterazioni, da una serie di commedie, satire, musical e melodrammi nel corso dei decenni successivi»1. Ma sebbene questo romanzo abbia costituito un modello di successo per molti film coevi e posteriori alla sua pubblicazione, bisogna riconoscere che si tratta di un’opera oggi quasi del tutto dimenticata tanto negli Stati Uniti quanto in Europa. Neppure le sue ripercussioni sulla produzione cinematografica degli anni Venti sembrano particolarmente tenute in conto o indagate. Per esempio, Jean-Louis Leutrat, autore di uno dei pochi interventi critici sulla rilevanza di Merton of the Movies, osserva con stupore che perfino American Silent Film di William K. Everson, testo solitamente indicato come una delle più esaustive ricognizioni sul cinema muto, non faccia alcun accenno né al romanzo né alla sua interazione con Hollywood2. Del resto, la stessa figura dell’autore, Harry Leon Wilson, è oggi piuttosto sbiadita3. Nato nel 1867 a Oregon nell’Illinois (lo stesso stato che darà i natali al personaggio di Merton Gill), Wilson è stato, al contrario, un romanziere e drammaturgo di notevole successo ai suoi tempi, capace di
1 Patrick Donald Anderson, op. cit., p. 81. 2 Cfr. Jean-Louis Leutrat, op. cit., p. 20.
3 A proposito della vita e della carriera dello scrittore possiamo citare solamente George Krumer, Harry Leon Wilson. Some Account of the Triumphs and Tribulations of an American Popular Writer, The Press of Western Reserve University, Cleveland 1963. Sfortunatamente in questo testo, Krumer si concentra più sulla vicenda biografica di Wilson – interpretata come una tipica “storia americana” sull’ascesa e sul declino di un uomo di talento – e meno sulla sua opera letteraria.
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condurre un’ininterrotta attività di scrittura tra la fine dell’Ottocento e il 1939, anno della sua morte. A fianco di tale imponente produzione letteraria, che annovera nel complesso trentuno opere fra romanzi e testi teatrali, questi ultimi spesso composti in collaborazione con Booth Tarkington4, Wilson avvia anche un’intensa attività giornalistica. Infatti, dal 1896 fino al
1902 lo troviamo alla direzione di «Puck», un giornale umoristico di proprietà di William Randolph Hearst, famoso soprattutto per le sue vignette e le sue strisce a fumetti di argomento politico. Tuttavia, come si diceva, oggi il nome di Wilson è essenzialmente ricordato per due soltanto fra le sue opere, salvate dall’oblio proprio perché portate più volte sullo schermo da Hollywood. La prima è il romanzo Ruggles of Red Gap del 1915 che, dopo un adattamento nello stesso anno per i palcoscenici di Broadway, sarà d’ispirazione nel corso dei decenni a venire per ben tre versioni cinematografiche: la prima nel 1918 per la regia di Lauwrence C. Windom, la seconda nel 1923 per la regia di James Cruze, e infine la terza nel 1935 per la regia di Leo McCarey. Quest’ultimo adattamento resta probabilmente il più celebre dei tre anche per via dell’ottima interpretazione di Charles Laughton nei panni del protagonista5.
Ruggles of Red Gap racconta in toni da commedia le vicissitudini di un compito
maggiordomo inglese, Marmaduke Ruggle, che finisce per uno scherzo del destino alle dipendenze di un ricco ma volgare allevatore di bestiame, residente a Red Gap, una piccola cittadina dello stato di Washington. Qui, Ruggle viene scambiato dagli abitanti del posto per un colonnello inglese in pensione e trasformato così in una sorta di celebrità locale. Adattandosi progressivamente al modo di essere americano e traendo da questo una nuova fiducia nei propri mezzi, Ruggle finirà per rendersi autonomo dal suo nuovo padrone, e perfino per aprire un proprio ristorante in città. Sebbene il romanzo del 1915 non abbia nulla a che vedere sul piano tematico con Hollywood (Red Gap è il classico esempio di boomtown dell’Ovest modesta e campagnola), qui Wilson introduce alcuni temi e situazioni che possiamo ritrovare nel successivo Merton of the Movies, pubblicato circa sette anni dopo e unico altro romanzo dello scrittore di cui si conservi una pur flebile memoria. Ci riferiamo alla figura del cosiddetto “pesce fuor d’acqua”, del personaggio dapprincipio disorientato e fuori posto rispetto al nuovo ambiente di appartenenza, al procedimento narrativo del malinteso e dello scambio d’identità e, per quanto riguarda poi il sistema valoriale di riferimento, alla fiducia, tutta americana, nella capacità del singolo di riuscire a determinare il
4 Altro scrittore oggi quasi del tutto dimenticato se non fosse per via del celebre e omonimo adattamento cinematografico del suo romanzo L’orgoglio degli Amberson (The Magnificent Ambersons) realizzato da Orson Welles nel 1942.
5 Volendo, a queste tre versioni se ne potrebbe aggiungere una quarta. Ci riferiamo al musical Ai vostri ordini signora! (Fancy Pants, 1950) di George Marshall, con Bob Hope e Lucille Ball. Sebbene il soggetto muova anche in questo caso dal romanzo di Wilson (debitamente citato nei credits), si tratta di un adattamento molto libero.
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proprio destino. Ma a prescindere da siffatte analogie, Merton of the Movies è un’opera che reca delle specificità assolutamente proprie e inconfondibili. Infatti, secondo la quasi totalità dei commentatori si tratterebbe del primo Hollywood novel da registrarsi negli annali della letteratura americana, vale a dire del primo romanzo degno di menzione a essere interamente consacrato al tema di Hollywood. Infatti, come mette in luce Leutrat, la maggior parte delle opere letterarie ambientate nel milieu cinematografico e antecedenti alla pubblicazione di
Merton, in realtà, non parla davvero di Hollywood e non ne fa neppure il vero cuore della
propria indagine. Questo accade per varie ragioni: la prima è che in molti casi tali racconti sono pubblicati in un momento storico – prima del 1922 – in cui l’industria cinematografica non si è ancora impiantata in California – ricordiamo, infatti, che è solo dal 1911 in poi che Hollywood diventa progressivamente la capitale del cinema americano. In altre parole, queste opere vengono date alle stampe in un periodo in cui ancora non si può parlare propriamente di “mitologia hollywoodiana”. Inoltre, spesso si tratta di racconti destinati a un pubblico di bambini o di adolescenti, e pertanto votati a proporre una raffigurazione essenzialmente pedagogica e scevra da ambiguità del milieu cinematografico. È il caso ad esempio della serie per teenager «The Motion Picture Girl Series» o della collana di libri pubblicati da Victor Appleton con protagonista l’inventore adolescente Tom Swift. Quando, invece, queste embrionali forme di Hollywood novel sono indirizzate agli adulti, esse finiscono con il conformarsi agli standard di generi letterari già prestabiliti e codificati, come il poliziesco e la love story, e con il trarre dall’ambiente cinematografico solo uno sfondo narrativo frettolosamente abbozzato. Alcuni titoli del periodo risultano indicativi di tale atteggiamento:
The Film of Fear (1917) di Arnold Fredericks, per esempio, è una detective story la cui
ambientazione nel mondo dei film non aggiunge nulla alla convenzionalità del suo plot. Per quanto riguarda poi il versante della letteratura rosa, un titolo stucchevole come The Love
Story of a Movie Star. The Heart Story of a Woman (1915) di Edward J. Clode è
paradigmatico delle intenzioni verso cui si indirizzano molti romanzetti del periodo quando si tratta di parlare di cinema, e in particolare del suo giovanissimo star system. Sempre secondo Leutrat prima di Merton solo la raccolta di short stories di Charles Van Loan, Buck Purvin
and the Movies (1915), denuncia una certa conoscenza di Hollywood. Ma l’opera di Wilson
possiede comunque un’altra profondità rispetto a questi racconti. Una profondità che non è ascrivibile soltanto al fatto che ci troviamo di fronte a un lavoro di ben più ampio respiro quale può essere, appunto, un romanzo rispetto a una short story. Infatti, come puntualizza Chip Rhodes, Merton può fregiarsi del titolo pionieristico di primo vero Hollywood novel non tanto per una grande capacità di descrizione dei meccanismi interni al funzionamento dell’industria del cinema quanto piuttosto per l’aver saputo tratteggiare, grazie al suo
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omonimo protagonista, dei modelli psicologici e comportamentali molti diffusi presso il pubblico di allora6. In altre parole, le migliori qualità del romanzo di Wilson risiederebbero nel suo dare corpo a un personaggio dai caratteri universali, in grado di incarnare lo spettatore tipico di un’epoca. Un’epoca che fu contrassegnata, come mai nessun’altra prima, da una vera e propria mania per lo schermo e per i suoi idoli. Non a caso Leutrat parla di Merton Gill come di «un uomo qualsiasi del cinema degli anni Venti». Al principio del racconto, l’eroe wilsoniano si configura, infatti, come un anonimo ma devotissimo membro del grande pubblico americano del periodo; sarà solo successivamente e in maniera alquanto accidentale che riuscirà a diventare anche una star e a passare, per così dire, dall’altro lato dello schermo. Sebbene queste affermazioni inducano a leggere Merton of the Movies come un romanzo essenzialmente dedicato al fenomeno della spettatorialità, va detto che il rapporto del suo autore con Hollywood è stato tutt’altro che indiretto o circoscritto al solo caso degli adattamenti riguardanti la sua opera. Infatti, nel 1921, un anno prima della pubblicazione di
Merton, Wilson si trasferisce effettivamente a Los Angeles per documentarsi sul milieu di cui
sta scrivendo. A introdurlo negli ambienti della capitale del cinema ci pensa Nat Daverich, un modesto regista attivo in quegli anni, e oggi del tutto dimenticato. Il risultato delle indagini condotte durante questo soggiorno sarà appunto il fortunato Merton of the Movies che, prima di essere pubblicato in volume, apparirà a puntate sul «Saturday Evening Post». Dato il dirompente successo immediatamente riscosso, l’opera di Wilson – analogamente a quanto era già accaduto per Ruggle in Red Gap – è presto adattata per il palcoscenico di Broadway dal team creativo di George S. Kaufman e Marc Conelly. Due anni più tardi, è invece il cinema a impossessarsi per la prima volta del romanzo. Infatti, alla prima trasposizione cinematografica di Merton of the Movies, diretta appunto nel 1924 da James Cruze per la Paramount e oggi annoverata, purtroppo, fra i tanti film perduti del muto, faranno seguito altri due adattamenti: uno nel 1937, significativamente intitolato Make Me a Star e realizzato da William Beaudine, l’altro, fedele invece al titolo originale del libro, diretto nel 1947 da Robert Alton. Il fatto che per ben tre decenni consecutivi Hollywood ricorra al personaggio di Merton è già alquanto indicativo del successo tributato al romanzo di Wilson. A questa constatazione si può aggiungere un altro dettaglio più prosaico ma non meno rivelatore: in occasione della prima versione cinematografica, quella sfortunatamente perduta di Cruze, lo scrittore riceve per i diritti del suo libro la ragguardevole somma di centomila dollari. Ma il dato economico non ci tragga in inganno: Merton of the Movies saprà anche riscuotere lusinghieri commenti nel mondo intellettuale. Una grande ammiratrice del romanzo sarebbe stata niente meno che Gertrude Stein, la quale non avrebbe dimenticato di fare visita a Wilson
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nel 1935 in occasione del suo viaggio a Hollywood. In Autobiografia di tutti, la scrittrice arriva perfino a definire Merton come «il migliore romanzo mai scritto sulla gioventù americana del Ventesimo secolo»7.
Per comprendere appieno le ragioni di una simile fortuna bisogna chiedersi chi sia davvero questo Merton, questo personaggio così capace di incarnare gli umori dell’epoca rispetto al medium cinematografico, e soprattutto che cosa la sua vicenda letteraria aggiunga alla nascente mitologia hollywoodiana. L’eroe di Wilson, Merton Gill, è il giovane commesso di una drogheria di Simsbury, una minuscola cittadina dell’Illinois. Merton sogna notte e giorno di diventare una star dello schermo, e le sue ambizioni sono alimentate dalla frequentazione, nelle ore di tempo libero, del Bijoux Palace, la sala cinematografica locale, e dalla lettura di
fan magazines. Inoltre, all’inizio del racconto troviamo il giovane Gill intento a seguire per
corrispondenza un improbabile corso di recitazione promosso dalla Film Incorporation Bureau dell’Arkansas, e a scegliersi perfino l’altisonante nome d’arte di Clifford Armitage in vista di un possibile debutto sullo schermo. In questa sua febbrile passione per il cinema Merton trova comprensione solo in Miss Tessie Kearns, una zitella del paese con aspirazioni da sceneggiatrice. Assai meno indulgente, invece, è Mr. Gashwiler, il proprietario della drogheria, che mal sopporta le continue distrazioni del giovanotto nelle ore di servizio. Infatti, anche durante il lavoro, Merton non fa altro che fantasticare di essere l’eroe uno dei suoi adorati film western, impegnato magari a salvare una fanciulla in pericolo. All’ennesimo alterco con Gashwiler, il protagonista decide di licenziarsi, di partire per Los Angeles e qui cercare finalmente di dare corpo alle sue ambizioni. Fin da subito, Merton ha le idee chiare sul tipo di carriera cui ambire: i suoi ruoli dovranno essere quelli eroici, virili e drammatici del western, e non certo quelli ridicoli e grotteschi di un genere, a suo dire, di dubbio pregio artistico come il comico. Arrivato a Hollywood, l’aspirante star inizia a recarsi quotidianamente davanti ai cancelli dell’Holden Studio, scelto unicamente perché si tratta della casa di produzione per cui lavorano due delle sue celebrità preferite: la bellissima Beulah Baxter e il virile Harold Parmalee. Nonostante una serie di goffi tentativi di attirare le attenzioni di un regista per via della sua somiglianza fisica con Parmalee, Merton non ha alcuna fortuna e rischia, nel giro di pochi mesi trascorsi in California, di sprofondare nella più nera indigenza. Ma proprio quando le cose sembrano mettersi al peggio e la fiducia iniziale nel sogno hollywoodiano appare definitivamente compromessa, Flips Montague, una ragazza da diversi anni attiva nell’ambiente come attrice di secondo piano e come controfigura, prende il protagonista sotto la sua ala protettrice, e gli trova lavoro come comparsa in alcune
7 Cfr. Gertrude Stein, Autobiografia di tutti, trad. it. Fernanda Pivano, La Tartaruga, Milano 1993, p. 250 (ed. or. Everybody’s Autobiography, 1938, Virago Press, London 1985).
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produzioni a basso costo della Holden. Accorgendosi poi dell’effettiva somiglianza con Parmalee, Flips riesce a far scritturare il suo protetto in una serie di commedie. Qui Merton si ritrova, inconsapevolmente, a parodiare proprio il suo idolo dello schermo. Infatti, il poveretto, che ha sempre nutrito un sommo disprezzo per il genere comico, crede di essere stato scritturato per film “seri” e “artisticamente onorevoli”. E questo non fa che rendere ancora più divertente la sua enfatica imitazione di Harold Parmalee. Quando finalmente scopre l’inganno in cui è stato coinvolto (scoperta che, come da copione, avviene in una sala cinematografica in occasione della prima di un suo film), il protagonista ha dapprincipio una reazione di forte risentimento nei riguardi di Flips. Tuttavia, vedendo che i suoi film ottengono un ottimo riscontro di pubblico, il buon senso finisce prevalere: Merton accetta il suo “involontario” talento comico, abbandona lo pseudonimo di Clifford Armitage per tornare al vecchio nome di battesimo (ben più consono per una star del comico) e, dulcis in fundo, convola a nozze proprio con Flips Montague, la donna che in fin dei conti ha fatto la sua fortuna.
Come si può evincere da questo riassunto, il romanzo di Harry Leon Wilson fissa, attraverso una formula narrativa piuttosto schematica, la mitologia di un successo divistico tanto facile e immediato quanto accidentale e imprevisto. Bisogna, però, specificare che la subitanea adozione da parte di Hollywood, al principio dei Roaring Twenties, di questa formula, è in qualche modo anticipata già da alcune commedie e film comici precedenti. Infatti, come abbiamo accennato nel capitolo introduttivo, il cinema americano inaugura i suoi primi tentativi di autoreferenzialità fin dagli anni Dieci del Novecento. Si è già citato più volte il caso di Making Motion Pictures: A Day in the Vitagraph Studio (1908) come primo esempio di riflessione documentaristica su una giornata di lavoro tipo nel mondo del cinema. L’intento alla radice del progetto è evidentemente quello di alimentare la crescente curiosità del pubblico nei confronti del nuovo medium e dei suoi segreti. Infatti, questo breve documentario (della durata di un rullo) ci offre un conciso riassunto sul making of di un film intitolato Love Is Better Than Riches, mostrandoci la fase di preproduzione, quella delle riprese nel quartiere di Flatbush a Brooklyn, e infine il momento destinato alla fruizione del prodotto finito in una sala cinematografica8. Ma è solo con il successivo A Vitagraph
Romance del 1912, stavolta primo tentativo di una rappresentazione finzionale del mondo del
cinema, che troviamo anticipati i due temi che andranno a costituire l’ossatura ideologica del
8 A fianco di Making Motion Pictures va senz’altro citato fra i primi tentativi di making-of documentaries anche il caso di How Motion Pictures Are Made and Shown del 1912, prodotto dalla Edison Company. Questo documentario della durata di quindici minuti venne definito dal «New York Dramatic Mirror» come «la più esaustiva descrizione cinematografica sul modo con cui i film sono prodotti» (cit. in James Robert Parish, Michael R. Pitts, Gregory W. Mank, op. cit., p. 307).
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romanzo di Merton: il mito del successo facile e il ruolo cruciale giocato dalla fortuna, o meglio dalla coincidenza, nel raggiungimento di tale successo. Girato nello studio della Vitagraph a Brooklyn, questo breve film di fiction racconta in toni leggeri le vicissitudini di una giovane coppia di sposi (James Morrison e Clara Kimball Young) che sogna di sfondare nel cinema, rispettivamente lui come sceneggiatore, lei come attrice. E il sogno si realizza davvero perché un amico del marito, già alle dipendenze della Vitagraph in veste di regista, riesce a far ottenere a entrambi un contratto. Tutto sembrerebbe perfetto se non fosse per via del padre di Clara, un austero senatore interpretato da Edward Kimball, avverso tanto al matrimonio della figlia quanto al suo ingresso nel mondo del cinema. Analogamente a quanto accade in molti altri film coevi o di pochi anni successivi, l’ostilità del genitore nei confronti dell’entertainment cinematografico è resa in chiave umoristica, come una buffa incapacità di comprendere la natura finzionale e sostanzialmente innocua del film. Quando, infatti, il vecchio vede per la prima volta Clara recitare sullo schermo in una scena di pericolo, prende la situazione per vera, e disperato corre a cercarla per tutta la città. Ma una volta ritrovata la figlia sana e salva presso lo studio della Vitagraph, l’uomo si convince non solo a benedire il suo matrimonio, ma anche a offrire al genero, in segno di riconciliazione, un lavoro “legittimo”. Quest’ultimo particolare, su cui la vicenda di A Vitagraph Romance si chiude, è estremamente rivelatore: tradisce, infatti, la bassa considerazione in cui il cinema è tenuto, ancora in questi anni, non soltanto dal suo pubblico, ma anche da una buona parte dei suoi stessi creatori. La morale del film sembra dirci che, per quanto non ci sia nulla di pericoloso o di riprovevole nell’essere un’attrice o uno sceneggiatore, un lavoro più convenzionale e borghese è sempre da preferirsi.
L’anno successivo, è la volta di Mabel’s Dramatic Career, che può fregiarsi del titolo di prima rappresentazione in chiave slapstick del mondo del cinema. Peraltro, questa comica,