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Metodo degli elementi finiti

Capitolo VI Prestazioni sismiche delle dighe in terra

6.2 Principali metodi di analisi dinamica

6.2.4 Metodo degli elementi finiti

I metodi shear beam hanno sicuramente rappresentato una notevole evoluzione rispetto ai metodi pseudostatici, ma anche nelle loro versioni più evolute rimango affetti da alcune limitazioni, che spesso risiedono nelle ipotesi di base.

Per lo studio di problemi più complessi si deve quindi fare riferimento ad altri tipi di approcci, capaci di rappresentare al meglio il comportamento dinamico dei terreni attraverso processi di calcolo estremamente dettagliati ed elaborati.

I migliori metodi ad oggi applicabili sono quelli alle differenze finite (FDM) e agli elementi finiti (FEM), che oltre a superare le limitazioni dei metodi più semplici sono in continua evoluzione essendo strettamente legati agli sviluppi tecnologici in campo informatico oltre che ingegneristico.

Quando si studia un problema dinamico le forze inerziali sono dipendenti dal tempo, inoltre volendo valutare la resistenza agli spostamenti delle strutture si deve tenere presente che le forze possono essere funzione degli spostamenti stessi o delle velocità, di conseguenza le equazioni che governano il moto del sistema sono equazioni differenziali alle derivate parziali, generalmente non lineari, le cui soluzioni matematiche sono difficilmente ricavabili. A complicare le analisi ci sono anche tutte quelle informazioni utili a rappresentare le complesse proprietà dei materiali, le condizioni di carico e le condizioni al contorno. Appare evidente che risolvere problemi strutturati in questo modo può risultatale estremamente difficile, per ovviare a queste difficoltà si cerca di inserire delle ipotesi semplificative e delle schematizzazioni capaci di rendere il problema più semplice da un punto di vista matematico, ma in grado di fornire delle soluzioni, che pur approssimante, siano soddisfacenti dal punto di

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passo l’idealizzazione del sistema fisico reale, cioè la complessità del sistema originale viene semplificata attraverso delle ipotesi o delle schematizzazioni che si traducono in un sistema di equazioni che vanno a definire il modello matematico, le quali una volta risolte restituiscono la soluzione del problema.

Il primo metodo di analisi numerica ad essere sviluppato è stato il Metodo delle Differenze Finite, ovvero FDM (Finite Differences Method). Questo metodo lascia inalterato il modello fisico e discretizza le equazioni differenziali del problema. Si tratta di un metodo valido che riesce a gestire problemi molto complessi, il suo limite sta nel fatto che quando subentrano geometrie complesse o particolari condizioni al contorno diventa di difficile applicazione, quindi per questi tipi di studi risulta necessario ricorre ad altri metodi, come quello degli elementi finiti.

Il Metodo degli Elementi Finiti, ovvero FEM (Finite Element Method), è il metodo più usato al giorno d'oggi, si è sviluppato tra fine del 1950 e primi anni sessanta riscuotendo un grande successo e venendo ampiamente utilizzato nello studio della risposta dinamica delle dighe in terra (Clough & Chopra, 1966; Chopra, 1967a; Chopra et Al., 1960). Questo metodo permette di discretizzare il continuo, che possiede infiniti gradi di liberata, con un insieme di elementi di dimensioni finite tra loro interconnessi in punti predefiniti, detti “nodi”. I valori delle incognite, spostamenti e pressioni neutre, sono calcolati nei vari nodi e vengono ricavati in un qualsiasi altro punto del dominio attraverso funzioni di interpolazione (Potts & Zdravković, 1999).

Il metodo dinamico degli elementi finiti risolve l’equazione del moto (6.7) dell’equilibrio dinamico nel tempo.

i+kñr…ò & i7kñr]ò & i-kñrò ñ,%s(ò (6.7)

dove: ik, i9k e iQk sono le matrici rispettivamente della massa, dello smorzamento e della rigidezza, riferite ai nodi della maglia, mentre ñM…ò, ñM]ò, ñMò e ñ%?(ò sono rispettivamente i vettori: accelerazione, velocità, spostamento e del carico esterno. La matrice di rigidezza iQk contiene informazioni riguardo il comportamento costitutivo dei materiali (Potts & Zdravković, 1999).

L’analisi dinamica agli elementi finiti prevede una discretizzazione del problema nello spazio, attraverso la creazione di una maglia “mesh” che identifica una serie di regioni spaziali, e nel tempo secondo la storia di carico relativa la problema in esame. Successivamente devono essere assegnate delle adeguate condizioni al contorno in termini deformativi e idraulici, e degli adeguati modelli costitutivi avanzati da applicare alle diverse regioni e per diversi periodi temporali. La storia temporale dell’accelerazione (accelerogramma), viene applicata generalmente sul punto della mesh posto alla base del modello.

I vantaggi di questo metodo rispetto ai precedenti possono essere così riassunti:

 la capacità di gestire geometrie complesse;

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 la capacità di tenere conto della interazione tra scheletro solido e fluido presente nei pori;

 la possibilità di simulare le pressioni idrodinamiche del serbatoio (modellazione delle acque del serbatoio);

 la possibilità di modellare più accuratamente l’intero sito introducendo condizioni al contorno avanzate, e nel caso di dighe all’occorrenza la modellazione di strutture quali sfioratori, gallerie di drenaggio, ecc.;

 la capacità di simulare la storia della struttura, come la costruzione per strati, l’arginamento delle acque, fenomeni di consolidamento ecc.

Infine va evidenziato che il metodo agli elementi finiti è in grado di soddisfare tre importati obiettivi:

 può fornire una valutazione della stabilità della diga attraverso l’adozione di modelli costitutivi che tengano conto della plasticità del terreno;

 può fornire un risultato affidabile in termini di spostamenti permanenti del corpo diga attraverso una corretta simulazione del decadimento della rigidezza e dei cedimenti plastici;

 può fornire una valutazione della risposta dinamica di tutto il corpo diga attraverso la formulazione dell’equazione di moto.

Nel corso degli anni molti autori hanno avuto modo di utilizzare questo metodo per lo studio dinamico delle dighe in terra, e di confrontarlo con il metodo shera beam, valutando i limiti di quest’ultimo, (Ambraseys 1960a), Chopra, (1966) e Clough & Chopra, (1966), Chopra (1967a). Successivamente è stato introdotto il concetto di comportamento lineare equivalente o comportamento elasto-plastico. L'approccio lineare equivalente (Schnabel et Al., 1970, Idriss et Al., 1973, Idriss & Sun, 1992) utilizza essenzialmente un valore costante del modulo di taglio , e smorzamento “, compatibile con le tensioni di taglio indotte, secondo rapporti che ne descrivono la dipendenza dalla degradazione della rigidezza e dalla variazione dello smorzamento (ad esempio Vucetic & Dobry, 1991). Nel corso degli anni moti altri autori hanno utilizzato il metodo lineare equivalente come Seed et Al. (1969) o Vrymoed (1981). Il confronto tra analisi bidimensionali e tridimensioni è stato affrontato da Prevost et Al., (1985) ricavando piccole differenze e in seguito da Griffiths & Prevost (1988) che hanno concluso come i risultati ottenuti dalle analisi tridimensionali risultavano più affidabili di quelli ottenuti dalle analisi bidimensionali.

Con il progresso tecnologico e delle capacità di calcolo quest'ultimo metodo risulta oggi quello maggiormente utilizzato per valutare le prestazioni di dighe sia esistenti che in fase di progettazione, riuscendo a tenere conto non solo del complesso legame sforzo-deformazione del terreno, ma anche dell'interazione con l'acqua presente nelle cavita e della possibilità di giungere a fenomeni di liquefazione.