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Sulla base della letteratura, l’approccio più innovativo allo studio dei valori, non poteva che essere quello fenomenologico. Sebbene diverse ricerche internazionali sui valori, hanno mostrato la validità di un approccio quantitativo, esse sono carenti dal punto di vista della predizione comportamentale (Shwartz, 2006a; Caprara & Cervone, 2003; Vecchione & Caprara, 2009). Alla base c’è il presupposto di una politica della formazione, in quanto si presuppone che ci siano scelte di fondo. Lo sguardo, quindi, è rivolto alla riflessione sul pensiero durante l’azione, che Husserl paragona ad una universale funzione metodologica (Husserl, 1965). In fenomenologia, “gettare lo sguardo” sui propri vissuti è “pensiero piegato nell’irriflesso”, ovvero i vissuti cognitivi non consapevoli vengono pian piano messi in luce come oggetti del pensare. Gli stessi atti riflessivi possono diventare “substrati di nuove riflessioni” (Husserl li definisce riflessioni di “grado superiore”). Dal punto di vista fenomenologico, riflettere significa gettare lo sguardo sul luogo dove si è mentre si pensa. Ed è proprio della fenomenologia l’aver impedito di esser dentro “mondi anticipati” ossia dentro costruzioni di realtà già date. Ciò è particolarmente indicato in ambito educativo, in quanto cadere in categorie già predeterminate impoverisce la ricerca del significato del lavoro pratico e quindi il guadagnare una conoscenza originale. Il senso ed il valore dell’esperienza, acquista una misura di verità quando lo si costruisce a partire da sé in relazione alla situazione contingente che sta vivendo. Quando si pensa utilizzando categorie già date, vengono alla luce solo interpretazioni risultanti dal sistema simbolico consentito dagli strumenti cognitivi adottati. Ciò è funzionale a ridurre la ricchezza degli eventi formativi che illudono la conoscenza reale della realtà. Da qui la conseguenza di perdere l’originale caratteristica della realtà con l’impossibilità di esprimere il significato più autentico dell’esperienza. L’esempio a noi più vicino è proprio quello della verità scientifica che pretende di avere valore universale, che abbaglia il pensiero, ma non ricerca l’essenza.

Il bisogno di cercare la verità, entro un logos di contingenza, che getta lo sguardo nel mondo dell’educazione, caratterizza il pensare fenomenologicamente orientato. Il

contestualizzare la pratica riflessiva entro l’esperienza vissuta significa indagare i mondi di significato entro i quali l’esperienza prende senso. Adottare un approccio fenomenologico significa riconoscere e valorizzare i significati che le persone attribuiscono alla loro esperienza e fare di questi significati il materiale per costruire il sapere (Taylor, p.140). Attribuire senso e significato all’esperienza significa assumere il punto di vista soggettivo di costruzione della realtà. Da qui la necessità della fenomenologia come chiarificazione dei “vissuti intenzionali” ed i loro contenuti. Nelle Meditazioni di Husserl, l’intenzionalità ha i caratteri della molteplicità, della potenzialità, della protenzione; così “vissuti” attuali e “vissuti potenziali” si adattano e si saldano vicendevolmente agendo così come guide nell’esperienza, così l’oggetto intenzionale viene visto come “guida trascendentale” e fattore di sviluppo dell’esperienza stessa. È qui che viene messo in luce tutto l’impianto intenzionale dell’essere persona, come sentire, agire, pensare e produrre. Questo perché l’educazione vissuta, l’esistere formativo dei soggetti, i saperi, sono caratterizzati prima di tutto nel progettare, nell’agire per, sono quindi intenzionati a livello operativo, formativo ed epistemico. Il carattere dell’intenzionalità husserliana, che non si fissa come fattore demarcante la mente (rispetto al corpo come accade nell’intenzionalità di Brentano), studia invece il suo meccanismo interno, gioca sul riconoscimento dello statuto dell’oggetto che intenziona, e sul metodo per leggerlo. I suoi oggetti sono reali o irreali, astratti o concreti; “un oggetto concreto, un evento, uno stato di cose, un’entità ideale come quelle matematiche” come direbbe Lanfredini (1997, p. 14) un oggetto intenzionale che è caratterizzato da direzionalità e relazionalità, ed è un modello che regola, organizza e struttura l’esperienza o un evento specifico dell’esperienza. In tal modo l’intenzionalità è al centro del motore conoscitivo poiché fissa le strutture della conoscenza tra coscienza/ conoscenza e oggetti ideali che la guidano, elabora con le essenze la trama del nostro comportamento e organizza i saperi in aree di esperienza degli oggetti specifici, il senso e la direzione che orienta l’esperienza stessa. L’intenzionalità allora è intesa sia come riflessione teorica che come organizzazione strategica del processo. In ordine alla organizzazione strategica del processo che guarda a scopi, fini da raggiungere ed implica un pensare quel processo ed un viverlo per comprenderlo ed essere consapevoli. Da qui ne deriva che l’atto intenzionale è un atto di cura, di guida, di formazione, poiché il “processo educativo-formativo è sempre intenzionato, regolato secondo l’intenzione, a sua volta regolata dall’intenzionalità” (Lanfredini, 1997, p. 25).

Diversi scrittori internazionali (Rokeach, 1979; Schwartz, 2006a) attestano la natura personale dei valori, ovvero l’espressione individuale dei loro valori nel modo in cui essi pensano e agiscono in tutti i contesti nel quale si trovano ( Aspin, 1996; Senge et al. 2005). Con questo si intende tutto ciò che è parte integrante della personalità del docente includendo soprattutto le sue convinzioni e i suoi valori. I valori sul quale mi focalizzo sono caratterizzati da aspetti cognitivi, affettivi e direzionali che servono come criteri per

modo di pensare ed agire (Caple, 2000). La scelta metodologica di indagine non poteva che essere disegnata sulla fenomenologia poiché permette di rintracciare le essenze, i significati reconditi in ogni azione umana. Per la proposta di questa ricerca, i valori personali sono ciò che Dewey ha definito valori intrinseci ovvero valutare una cosa fine a se stessa (Dewey, 2008), mentre i valori professionali si riferiscono a valori più strumentali, intesi come mezzi per raggiungere il fine in sé ed includono anche le aspettative educative e sociali.