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Le Supplici 3.1 La tetralogia

14 MIRALLES/CITTI/LOMIENTO 2019 15 SOMMERSTEIN 2019, 10‐20.

mentre l’arrivo dei cugini decisi a riportare in patria le fanciulle riaccen‐ deva i bagliori dello scontro già avvenuto in Egi^o. Una guerra solo rac‐ contata, la morte di Pelasgo e la sua sostituzione con Danao, τύραννοσ e non più re democratico, riproponevano poi il diba^ito sulle istituzioni ma anche sull’etica familiare visto che il piano, a^uato a^raverso le figlie che uccidevano i cugini nella prima no^e dopo le nozze, riportava il discorso politico sugli interessi privati che cara^erizzano qualsiasi forma di ‘tirannia’ (come non pensare alla vicenda di Armodio e Aristogitone so^o i Pisistratidi?). L’intervento di Afrodite nelle Danaidi riconduceva all’ordine degli elementi e, sopra^u^o, della sessualità, ammesso e non concesso che questo avvenisse durante il processo subìto dall’unica figlia che non aveva obbedito al padre e che aveva salvato, perchè realmente innamorata (?), il marito Linceo, futuro progenitore di una dinastia nuo‐ vamente democratica. Questa rapida sintesi sarà ovviamente ripresa nei particolari della trama del dramma che abbiamo ma anche nella parte dedicata alle ‘estensioni per la scena’; ho voluto qui darne un’anticipazio‐ ne solo per ribadire ciò di cui mi sono con il tempo convinto:

‐ la produzione iconografica non ci dà alcuna certezza su ciò che abbiamo perduto, anche a livello scenografico (si tra^a di suggestio‐ ni che possono contenere allusioni teatrali spesso commiste agli interessi personali del ceramografo);

‐ sia i confronti con la produzione drammatica che quelli con la pro‐ duzione poetica greco‐latina su uno stesso argomento non possono mai prevedere la variabilità dovuta allo spirito agonale o all’inven‐ tiva del singolo autore. Solo tracce testuali, citazioni, riprese para‐ tragiche della commedia, possono dare delle certezze.

Date queste premesse vale dunque la pena, nel caso di situazioni disperate come quelle dei frammenti eschilei, scegliere la strada più cre‐ dibile filologicamente, ma sceglierla, al fine di ipotizzare il canovaccio più utile per non perdere il valore della drammatizzazione di un mito, in a^esa di smentite o di conferme che possono venire solo da ritrovamenti papirologici.

3.2. L’ethos delle Danaidi e il mito

La Parodo16 delle Supplici17 è ambientata in un luogo vicino alla spiag‐

gia, non lontano da Argo, dove si trova, in posizione elevata, un santua‐

rio, dedicato alle principali divinità del pantheon olimpico (222 e 423) (come l’altare dei dodici dei ad Atene18), creato in rapporto al numero

delle coreute che minacciavano poi di suicidarsi appendendosi a queste statue (463‐5); gli eidola dovevano quindi essere di grandezza superiore a quello di una persona (per rendere credibile tale minaccia). Una delle

eisodoi porta al mare, una conduce, a^raverso il guado del fiume Erasino,

ad Argo. Il Coro indossa maschere scure (71 e 154) per so^olineare l’origi‐ ne africana ma forse anche per indicare il loro lato mascolino19; le vesti

sono di lino. Nelle mani l’emblema dei supplici, un ramo di olivo avvolto di lana (21‐2 e 191‐2) 20; il padre Danao appare sulla cima del pagos al v.

176, forse come Dario al v. 681 dei Persiani, grazie a una scale^a collocata dietro questa sorta di rialzo naturale21. La scelta eschilea di iniziare con la

parodo22 e non con il prologo implica un forte impa^o emotivo che si

deranza del Coro sui Personaggi (il 60% del totale) si può davvero pensare, visto che non si tra^a di un’opera del primo periodo eschileo ma della produzione finale, che sia un «grandioso esperimento con un gruppo come principale ve^o‐ re dell’azione, al posto di un singolo individuo; esperimento ripreso dallo stesso Eschilo in forma modificata in un dramma successivo (le Eumenidi), ma privo di influenza, per quanto ne sappiamo, sugli sviluppi della tragedia a^ica (…). L’esperimento corale delle Supplici incornicia così la drammatizzazione del mito in una peculiare e nuova dimensione istituzionale: quella descri^a nella proce‐ dura decisionale democratica, che a^ribuisce kratos e archè non al singolo ma al

demos, e a questo riconosce un ruolo ormai incontestabile.» AVEZZÙ 2003, 82 e

87.

17 Preme^o all’analisi del plot una breve rassegna delle principali edizioni

commentate e di alcuni studi utili per l’analisi del dramma:

‐testo e commento: FRIIS JOHANSEN/WHITTLE 1980; BOWEN 2013; SOM‐ MERSTEIN 2019; MIRALLES/CITTI/LOMIENTO 2019;

‐saggi critici: GARVIE 1969; WINNINGTON‐INGRAM 1983, 55‐72; ZEITLIN 1988; CONACHER 1996, 75‐111; SOMMERSTEIN 20102, 96‐120.

18 Costruito nel 522/21 so^o i Pisistratidi, come testimonia Tucidide 6, 54, 6. 19 Cf. SOMMERSTEIN 2019, 90.

20 Cf. Hdt. 7, 141, 1.

21 Cf. SOMMERSTEIN 2019, 91.

22 Dalla hypothesis dei Persiani sappiamo che almeno una tragedia di Frinico

aveva un prologo; si tra^a quindi di un’opzione che aveva il drammaturgo: ini‐ ziare con il prologo o con la parodo. Cf. TAPLIN 1977, 61‐4. Dopo Eschilo il pro‐ logo dialogato diventa una norma fino al quarto sec. a. C. quando il Reso si apre con la parodo. Nella commedia c’è buona ragione di credere che all’inizio del 420 a. C. Cratino scrivesse ancora opere senza un prologo. Cf. BAKOLA 2010, 43, 49‐53 e 234‐42. La parodo delle Supplici è formata da un preludio anapestico di

a^ua non appena le fuggitive entrano in scena. Le fanciulle sono arrivate dal Nilo ad Argo, patria da cui ha avuto origine il loro ghenos perché da qui il tafano mandato da Era cacciò Io, loro prima antenata, finchè Zeus, dopo averla trasformata di nuovo in una donna, con il suo tocco, la rese madre di Epafo.

I trentanove versi iniziali sono recitati in anapesti e la prima parola con cui si apre il dramma è Zeus23 «prote^ore dei supplici (ἀφίκτωρ)»24;

il senso religioso si annuncia predominante in una tragedia fortemente legata anche all’eros, e al suo rifiuto: l’invocazione delle fuggitive che cer‐ cano asilo in una terra così lontana si impone come chiave di le^ura di tu^o il testo. Il plot, però, nel suo complesso, riprende il tema dei Se!e

contro Tebe: il cammino della democrazia, o meglio delle nuove istituzioni

ateniesi si rivela quindi un refrain eschileo. Un re rispe^oso del volere dell’assemblea, Pelasgo, forse si sacrificava proprio per la vi^oria di que‐ sti ideali; un simbolo importante per seguire le mutazioni istituzionali (un pilastro del rapporto tra politica e dramma) e che solo nella trilogia dell’Orestea trova una soluzione: il processo ad Atene di un principe argi‐ vo, Oreste. È per noi una gravissima lacuna, è ovvio ricordarlo, non avere il minimo indizio, a tale proposito, su Egizi e Danaidi, perché non sappia‐ mo se davvero Danao sostituisse Pelasgo sul trono e che tipo di re potes‐ se essere25: un sovrano egiziano sul trono di Argo fa pensare all’allusione

di un non remoto timore di un’occupazione della Grecia da parte dell’im‐ pero persiano, così come il contrasto tra Argo e Tebe ricorda i contrasti delle singole comunità greche che avrebbero portato alla guerra del Pelo ‐ pon neso. Se la trilogia finiva con un processo (in cui Afrodite condannava il disprezzo dell’unione coniugale?) è evidente che non sarebbe un caso che due trilogie terminassero con due processi, a delle principesse prima e a un principe argivo poi nelle Eumenidi. Purtroppo non abbiamo alcuna certezza sul processo alle Danaidi o a Ipermestra, non sappiamo neppure

o^o coppie strofiche di metri lirici: il più lungo canto, puramente corale, che abbiamo. Come nei Persiani, nell’Agamennone, nell’Aiace di Sofocle e nell’Alcesti di Euripide, questa parodo inizia con un passaggio in anapesti che si pensa sia stato più recitato che cantato.

23 Il nome di Zeus è invocato cinquanta volte nella tragedia.

24 È il termine che unisce due azioni, quellao dell’arrivo e quella della suppli‐

ca: ἀφικνέοµαι (arrivo) e la radice ἰκ‐ (venire) da cui poi derivano molte parole presenti anche in questo testo nella valenza di ‘venire a supplicare’, uno per tu^i ἱκέτησ (supplice) (cf. 21, 27, 641, 814).

25 Cf. i vv. 985‐8 dove Danao ha con sé una guardia del corpo, fa^o che può

se avvenisse davvero, così come non sappiamo nulla della guerra tra Egiziani e Argivi. Le Supplici contengono anticipazioni e richiami nasco‐ sti: cinquanta fanciulle, giovani vergini che tali, sembra, vogliono rimane‐ re, lasciano il loro paese; la guerra causata da questa fuga è, apparente‐ mente, nata dal desiderio di non unirsi con i cugini, o con gli uomini in generale: mai è adombrata la possibilità che Danao non voglia cedere il proprio ruolo politico, consentendo le nozze tra le figlie e i nipoti. Se guardiamo il tema da un punto di vista più generale Pelasgo e gli Argivi acce^ano il confli^o per difendere delle giovani che non vogliono essere stuprate dai cugini; i Greci contro gli Egiziani, la cultura contro la barba‐ rie. L’azione delle cinquanta ragazze che, perso il confli^o, acce^ano fal‐ samente le nozze detestate, uccidendo, a parte una, i loro mariti, diventa invece fonte di biasimo per le donne orientali e per i loro costumi. Solo un processo poteva rappresentare la giusta punizione morale per chi, supplice, accolto e difeso, non aveva saputo cambiare i propri costumi. Questa è una possibile chiave di le^ura per un dramma non facile da me^ere in scena per le sue numerose valenze; alcuni passaggi, sopra^ut‐ to l’incontro‐scontro tra gli Egizi e le cugine esaltano il ruolo delle vi^i‐ me, in forma dire^a e non raccontata ma al tempo stesso le profughe si macchiano poi di un grave deli^o in sintonia (?) con i costumi della loro terra di origine. Un processo, abbiamo de^o, poteva segnare l’effe^iva lustrazione e il l’ingresso nella società greca; a noi manca, quindi, la parte più importante per risolvere l’enigma: la conclusione della trilogia. Solo alcuni indizi potrebbero, nuovamente, essere nascosti nell’unico testo che abbiamo.

Come accade a tanti profughi il gruppo arriva sulle coste, vicino ad Ar go, non in mezzo alla ci^à, perché l’accoglienza necessita i suoi tempi e chi fugge da un luogo lo sa bene. Tu^o il dramma si svolge in questa zo ‐ na liminare e il corteo verso la polis si snoda solo alla fine della tragedia. Il Coro è giunto nell’Argolide dopo aver abbandonato, su consiglio del pa dre26, le foci del Nilo27. Perseguitate dai figli di Egi^o le Danaidi chie‐

dono aiuto a Zeus, Prote^ore dei Supplici, la prima parola della tragedia

26 Il padre Danao non è solo «colui che ha proge^ato il piano (βούλαρχοσ)»

(11) ma anche il «leader del gruppo» oppure il «capo della sedizione» (στασίαρ‐ χοσ) (12), come trado^o dalla Centanni, dando così al termine στάσισ il suo valore più comune. Si insinua qui anche un richiamo a ciò che forse era successo precedentemente negli Egizi e che quindi il pubblico conosceva bene: un reale confli^o bellico tra Danao ed Egi^o.

27 Il gruppo di esuli avrà costeggiato le coste dell’Asia minore, per non af ‐

(1), nella speranza che una tempesta faccia naufragare i loro nemici, que‐ gli uomini che esse non acce^ano come compagni di le^o: la fuga dagli uomini (φυξανορίαν)28 (8) non è dovuta ad un decreto di esilio della

comunità nei loro confronti (δηµηλασίαν) (6) o per un fa^o di sangue ma dal senso di ribrezzo (ὀνοταζόµεναι) (10) per un matrimonio (a loro imposto) con i figli di Egi^o e per i loro empi «pensieri (‹διάνοιαν›)» (10)

29. La conge^ura di Harens (φυξανορίαν) definisce quindi, sin dal v. 8

della parodo, la posizione iniziale delle fanciulle, qualsiasi sia il motivo che le spinge a sostenerla; la ‘tirata’ è dirimente per l’interpretazione del dramma, e definisce la volontà del Coro, che poteva comunque essere poi corre^a da Afrodite in un finale coinciliante delle Danaidi. Ciò di cui esse hanno ora bisogno è di essere accolte come supplici perché uno sciame violento di maschi egiziani è in arrivo sulla riva sabbiosa dove sono giun‐ te: essi devono essere ricacciati in mare e perire in una tempesta che non lasci sopravvissuti. Questo dovrà «prevenire che essi salgano sul le^o matrimoniale a loro preclusi da Themis30 / violando così chi appartiene al

fratello del loro padre / e non vuole che questo accada (πρίν ποτε λέκτρων ὧν θέµισ εἴργει, / σφετεριξάµενοι πατραδελφείαν / τήνδ’ ἀεκόντων, ἐπιβῆναι) (37‐9)». Potrebbe esserci una dichiarazione proe‐ miale più chiara di questa? Le discussioni sulla misandria delle fanciulle risulta oziosa di fronte a questi tre versi in cui si prospe^ano ragioni espresse in modo così chiaro: esse non vogliono andare a le^o con questi uomini che per di più sono i loro cugini. È una prima asserzione che sarà seguita da molte altre. A volte cerchiamo di leggere il testo secondo un piano lineare che non segue però lo sviluppo della tecnica tragica, caden‐ zata da sequenze metriche che indicano anche l’evoluzione dei sentimen‐ ti, in base alle circostanze accadute. Un metodo ‘realistico’ che sfugge a

28 Per questa fondamentale conge^ura di Haerens e sulle possibili alternative

rispe^o al tradito αὐτογένητον φυ[…]ξανοράν cf. MIRALLES/CITTI/LOMIEN‐ TO 2019 ad loc.

29 Al v. 10 ‹διάνοιαν› (Weil) è una conge^ura di una parola che troviamo an ‐

che al v. 109 (e in Sept. 831). Riassume, a mio parere, quanto viene poco dopo esposto: l’empio pensiero è quello di violentare le cugine, cioè loro stesse.

30 «Themis è la giustizia fondata, non arbitraria, non convenzionale: non

acce^a mediazione e non può essere ogge^o di negoziazione. La giustizia asso‐ luta, Themis, sta so^o, sta prima di qualsiasi forma di regolamento e di relazio‐ ne. A un’altra idea di giustizia fa riferimento Dike, la giustizia del pa^eggiamen‐ to, risultante dalla negoziazione fra diverse ragioni: Dike è una formula, il nome convenzionale di un accordo necessario alle relazioni interpersonali e politiche.» CENTANNI 2007, 857.

canoni rigidi altrimenti incapaci di costruire i personaggi e le loro mo ‐ mentanee contraddizioni.

Dopo gli anapesti iniziali segue una stru^ura corale lirica composta da o^o coppie strofiche31 (40‐175) che si rifanno al mito per giustificare il

presente. Le fanciulle invocano Epafo, il figlio di Io, la loro progenitrice, motivo fondamentale nell’eziologia del dramma, e poi nella seconda stro‐ fe (57‐67) istituiscono un paragone tra il loro lamento, o preghiera, presso l’altare degli dei della ci^à32, e quello di Procne, moglie di Tereo e madre

di Itis da lei ucciso e imbandito al marito fedigrafo che, con un espedien‐ te, era riuscito a giacere con la cognata, Filomela. I tre erano stati perciò trasformati in uccelli: Tereo in una upupa, Procne in un usignolo che chiamava in eterno il nome del figlio e Filomela in una rondine33. La con‐

nessione con questo mito non è facile34: dal semplice richiamo ad un

lugubre verso animale, suono teriomorfo sostituto della disperazione per ciò che Procne ha fa^o al figlio, all’eterno rimpianto per la sua perdita, oltre al simbolo del desiderio di vende^a già insito nella mente delle Danaidi. Procne si è vendicata su un marito che l’ha tradita con la sorella e le ha poi mozzato la lingua perché non rivelasse l’accaduto alla moglie; le Danaidi, lo hanno de^o nei primi versi, vogliono la morte dei cugini che desiderano stuprarle. Una riflessione in più, però, deve essere fa^a sul ricorso ad una storia che porta in sé il motivo dell’incesto che le fan‐ ciulle rivendicano come una delle ragioni del loro rifiuto.

Ciò che ha commesso Procne non è immediatamente assimilabile a quello che faranno le Danaidi nella prima no^e di nozze ma ci guida a capire meglio le cara^eristiche di queste donne e il motivo per cui forse dovranno poi affrontare un processo. Procne veniva trasformata in uccel‐ lo mentre le Danaidi, in una versione del mito, venivano punite nell’Ade a riempire d’acqua una bo^e piena di buchi da cui l’acqua scorreva via, rendendo la loro fatica inutile e la loro punizione eterna. Eschilo, in que‐ sta trilogia, sceglie una versione razionalizzante che, come ho accennato, forse non rinunciava a me^ere a confronto civiltà contro barbarie. Ciò che

31 Ogni strofe contiene un efimnio tranne l’ultima.

32 Le Danaidi si rivolgono qui al pubblico in un suggestivo coinvolgimento in

un mito molto conosciuto; ricercato è il rapporto con la natura circostante, isola‐ ta dalla polis, che in questo dramma appare come un rifugio cui si deve arrivare come l’ultimo porto sicuro.

33 Cf. Apollod. 3, 14, 8. La storia aveva una suo allestimento scenico nel per‐

duto Tereo di Sofocle.

comme^e Procne, seppur giustificato dalla vende^a, resta un deli^o dei più efferati, come quello delle Danaidi: il richiamo a questo mito non può essere casuale ma nasce senza dubbio da una coerenza interna ad una tri‐ logia che viveva di questi richiami. Basta leggere con a^enzione i vv. 83‐ 85:

ΧΟ.

ἔστι δὲ κἀκ πολέµου τειροµένοισ βωµὸσ ἀρῆσ φυγάσιν

ῥῦµα, δαιµόνων σέβασ.

Anche per chi sfinito dalla guerra sfugge da Ares, un rifugio sicuro è l’altare, dove sta la potenza divina.

Nessun editore fa cenno, compreso Sommerstein, al fa^o che questi tre versi sono la prova più evidente del gioco allusivo su cui si basava la tri‐ logia. Le Danaidi, sfinite dalla guerra, fuggite da Ares che ha funestato il loro paese, hanno trovato nell’altare vicino alla spiaggia un rifugio sicuro. Anche in questo caso sembra davvero che si voglia riferire ogni espres‐ sione di un testo tragico alla condizione del genere umano, raramente alla contingenza di un plot che invece vive, innanzitu^o, di vita propria. Questo breve inciso ha tu^a l’apparenza di essere un piccolo riassunto di quanto le Danaidi hanno vissuto nella tragedia precedente, gli Egizi.

Il gruppo riprende il suo lamento, e la richiesta di un aiuto definitivo; il tono però cambia e non di poco mentre ha il sopravvento un sentire religioso cantato in maniera elegiaca (94‐5). Quando Zeus vuole cancella le speranze degli uomini, senza violenza. Improvvisamente la paura di

eros riappare in forma morbosa nell’immagine di chi35 pensa alle nozze

con insana caparbietà (104‐8): la passionalità violenta (ὕβριν) (104) di questi giovani li rende simili ad un tronco fiorente. È riassunta così la paura delle vergini per l’irruenza sessuale dei loro coetanei, o dell’uomo in generale. Lo dimostra la metafora che rapidamente muta e dall’imma‐ gine del tronco passa a quella del pungiglione: «il loro pungolo / è un folle pensiero (διάνοιαν µαινόλιν / κέντρον ἔχων» (109‐10). Una casa di legno, la nave (135), le ha condo^e incolumi ad Argo; e loro, nate da una santa madre, eviteranno i le^i e le nozze dei maschi (141‐3= 151‐3); lo

35 Si tra^a di giovani nel pieno fulgore della loro forza (anche sessuale come

si so^intende nel participio perfe^o del v. 106 «τεθαλώσ (in piena fioritura)» (Bothe).

vuole l’indomita Artemide, altrimenti non rimarrà che rivolgersi al dio che soccorre tu^i, Zeus dei morti (157): si impiccheranno e Zeus, il tor‐ mento di Io, dovrà rinnegare l’odio che ha mosso la sua sposa, e non incorrere nella riprovazione degli uomini (169‐170).

3.3. Danao e le figlie: i profughi sulla scena

Con il Primo episodio (176‐523) inizia una lunga scena in trimetri (176‐ 343) seguita da una sezione epirrematica. Anche il padre Danao è arriva‐ to sulla scena che poteva prevedere, nella parte orchestrica più lontana dal pubblico, la stessa stru^ura elevata presente nei Se!e contro Tebe; una κοινοβωµία su cui si trovavano le statue degli dei contrassegnate dai loro simboli, punto di osservazione per vedere ciò che avveniva nella pianura e nella spiaggia. Dopo un lungo viaggio per mare, da lui guidato, un uomo saggio (φρονοῦντι) (177), ricorda alle figlie che questo appunto è il momento di essere saggi (φρονεῖν) (177), un invito che rivolgerà loro anche in seguito. La strategia è fru^o di un proge^o preparato da tempo: Danao è un militare che sa come bisogna comportarsi nei momenti di pericolo: il fa^o che siano arrivati su questa landa, vicina ad Argo, rivela la precisione di un nocchiero che conosceva bene il percorso da seguire. Gli Egizi giungeranno nel medesimo luogo e ciò fa pensare che nel dram‐ ma precedente, in un modo o in un altro, dopo un forte scontro fosse stato stato rivelato che il gruppo di esuli partiva per questa meta. È un particolare cui bisogna prestare a^enzione perché potrebbe anche rivela‐ re che negli Egizi una rocambolesca fuga, dopo una falsa promessa di un

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