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Marco Pelissero

SOMMARIO: 1. Il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari: un processo non concluso. 2. Le prospettive di modifica della disciplina vigente. 3. La legge delega e i lavori della Commissione. 4. Le proposte della Commis- sione ministeriale. 4.1. I soggetti con capacità diminuita. 4.2. La riforma delle disposizioni di carattere generale sulle misure di sicurezza. 4.3. Le misure di sicurezza per i soggetti non imputabili. 4.4. Il nodo irrisolto dello statuto giu- ridico dei soggetti ricoverati in REMS. 5. I progetti di riforma più radicali: dalla contrazione all’abbandono del sistema del doppio binario.

1. Il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari: un processo non concluso

Mi sono interrogato più volte sui dubbi suscitati dalla riforma avvia- ta in modo affrettato con la l. 9/2012 in sede di conversione del decreto legge svuotacarceri (d.l. 211/2011) di fronte all’urgenza di provvedere dopo il quadro drammatico svelato dall’indagine avviata sugli ospedali psichiatrici giudiziari dalla Commissione parlamentare di inchiesta pre- sieduta dal senatore Ignazio Marino1: dubbi sull’incertezza dell’effetti- va chiusura di queste istituzioni totali (chiusura che infatti non fu im- mediata, dovendo essere organizzate ed attivate le nuove strutture de- stinate ad accogliere le persone ricoverate negli OPG); dubbi su una riforma che apriva le REMS e chiudeva OPG e case di cura e di custo- dia, ma non toccava le norme del codice penale, di ordinamento peni- tenziario e del codice di procedura penale ad essi dedicate2. I miei dub-

1 M. SACCOMANNO, D.BOSONE, Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’in-

terno degli ospedali psichiatrici giudiziari, Senato, 20 luglio 2011, in www.senato.it.

2 Per un quadro complessivo della riforma, v. S. FINAZZO, Residenze per l’esecuzio-

ne delle misure di sicurezza, in Dig. disc. pen., Aggiornamento, X, 2018, 672 ss.; A. MASSARO, Sorvegliare, curare e non punire: l’eterna dialettica tra “cura” e “cu-

bi investivano anche le norme introdotte dalla l. 81/2014, che, pur es- sendo in linea generale condivisibili nella ratio di fondo ed in alcune delle scelte fatte, investivano non di meno disposizioni di parte generale relative alle misure di sicurezza. L’intervento, indispensabile alla luce dell’urgenza di intervenire rispetto ad una situazione grave di violazio- ne dei diritti della persona, scontava però l’asistematicità e l’incomple- tezza che connota, peraltro, la storia degli interventi legislativi nel set- tore delle misure di sicurezza. Due elementi di novità sono emblematici di questa modalità di intervento sul tessuto normativo: la disciplina del- la pericolosità sociale e la durata delle misure di sicurezza.

La riforma interviene sulla pericolosità sociale con due importanti limitazioni che incidono sui criteri di giudizio. Anzitutto, la sola man- canza di programmi terapeutici individuali non può supportare il giudi- zio di pericolosità sociale: si vuole in tal modo evitare che l’inefficienza dei servizi territoriali si traduca in pregiudizio per il soggetto. In secon- do luogo, viene modificata la base degli elementi di cui tener conto ai fini del ricovero in REMS: se l’accertamento della pericolosità sociale va compiuto sulla base dei criteri fissati dall’art. 133 c.p., la l. 81/2014 dispone che non si debba tener conto delle condizioni di vita ambienta- le, familiare e sociale del soggetto (art. 133, comma 2, n. 4 c.p.). La norma ha alla base una ratio di garanzia, ossia evitare un giudizio di pericolosità sociale “latente”, fondato su elementi estranei al soggetto; in tal senso si è anche espressa la Corte costituzionale che ha salvato la norma, sottolineando che la disposizione censurata «non ha modificato, neppure indirettamente, per le persone inferme di mente o seminferme di mente, la nozione di pericolosità sociale, ma si è limitata ad incidere sui criteri di scelta tra le diverse misure di sicurezza e sulle condizioni per l’applicazione di quelle detentive»3. L’esclusione degli elementi “esterni” alle condizioni del soggetto rileva solo ai fini della decisione dell’applicazione della misura custodiale. La norma, anche con l’avallo della Consulta, non ha convinto parte della dottrina penalistica e psi-

stodia” nel passaggio dagli ospedali psichiatrici giudiziari alle residenze per l’esecu- zione delle misure di sicurezza, in Riv. it. med. leg., 2015, 1357 ss.

3 Corte cost., 23 luglio 2015, n. 186, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 416 ss. con no-

ta di M.T. COLLICA, La riformata pericolosità sociale degli infermi non imputabili o

chiatrica, perché il giudizio di pericolosità sociale non può non tener conto del contesto nel quale il soggetto è calato, in quanto il rischio di recidiva è sempre il risultato dell’interazione di diversi fattori, personali ed ambientali4.

La l. 81/2014 introduce limiti di durata massima delle misure di si- curezza detentive5 rapportati al limite massimo edittale previsto dalla legge per il reato commesso, evitando in tal modo il ripetersi del feno- meno dei c.d. ergastoli bianchi. La riforma non interessa i reati puniti con la pena dell’ergastolo e non affronta alcune questioni emerse nella prassi applicativa: il computo del termine massimo in caso di concorso di reati; la possibilità di applicare una misura di sicurezza non detentiva una volta superato il limite di durata massima della misura detentiva6.

Tuttavia, pur con questi limiti, la riforma è stata vincente nel conso- lidare il definitivo passaggio dalla logica securitaria a quella sanitaria e territorializzata nell’esecuzione delle misure di sicurezza detentive per autori di reato infermi di mente. Sul punto non si può che concordare con le parole del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale: «Non si è trattato di sostituire i desueti e inadeguati Ospedali psichiatrici giudiziari, con le Residenze per l’ese- cuzione delle misure di sicurezza. Troppe volte si cade in questo equi- voco, foriero di conseguenze nefaste sulle prospettive di cura e riabili- tazione e anche per la condizione di sofferenza e il bisogno di cure ma- nifestati dagli interessati»7.

È un punto sul quale insiste anche la Corte costituzionale nella sent. 99/2019 (nonché la Corte di Cassazione che aveva sollevato la questio- ne): «Le REMS non sono istituzioni volte a sostituire i vecchi ospedali

4 Per un quadro complessivo della riforma, v. S. FINAZZO, Residenze, cit., 691 ss. 5 M.T. COLLICA, I limiti di durata delle misure di sicurezza detentiva al vaglio della

Corte costituzionale: tra istanze di garanzia e riemergenti esigenze di difesa sociale, in Dir. pen. proc., 2017, 761 ss.

6 Sul punto v. G. BALBI, Infermità di mente e pericolosità sociale tra opg e rems, in

Dir. pen. contemp., 20 luglio 2015, 13; M. PELISSERO, Ospedali psichiatrici in proroga e prove maldestre di riforma della disciplina delle misure di sicurezza, in Dir. pen. proc., 2014, 928; F. SCHIAFFO, La pericolosità sociale tra «sottigliezze empiriche» e

‘spessori normativi’: la riforma di cui alla legge n. 81/2014, in Dir. pen. cont., 11 di- cembre 2014; M.T. COLLICA, La riformata pericolosità sociale, cit.

psichiatrici sotto altra veste e denominazione». Ed indubbiamente non si può che riscontrare il dato positivo del passaggio da 1387 internati negli OPG nel 2011 a 629 ricoverati a maggio 2019.

Gli elementi positivi del nuovo sistema non devono, tuttavia, trascu- rare i punti critici del passaggio dell’esecuzione delle misure di sicurez- za dal DAP alla sanità sul versante delle garanzie individuali e sulla effettiva sussidiarietà delle misure custodiali. Sono profili già emersi nelle pronunce della Corte costituzionale sulla libertà vigilata con pre- scrizioni terapeutiche (Corte cost. sent. 253/2003 e 367/2004) e sono stati valorizzati da ultimo dalla l. 81/2014, secondo la quale va disposta una misura di sicurezza custodiale solo «quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale».

È vero, dunque, che il passaggio dagli OPG alle REMS si presenta come una riforma a metà del guado, sul piano normativo e della prassi applicativa.

Sul piano normativo, rimane l’asimmetria tra codice penale e legi- slazione complementare. Non si tratta solo di asimmetria formale, vista la permanenza del riferimento ad OPG e case di cura e di custodia nelle norme del codice penale, pur essendo state “chiuse” le strutture nelle quali tali misure erano eseguite; è soprattutto un’asimmetria di rationes tra logica della sicurezza del codice penale e logica della cura che sta alla base delle REMS. Rimane poi irrisolta la definizione dello status giuridico dei pazienti ricoverati in REMS, non essendo chiaro se deb- bano essere formalmente considerati ancora “internati”, ai sensi delle norme di ordinamento penitenziario, o se siano diventati “altro”.

Si tratta di una riforma a metà del guado anche sul piano applicati- vo, come evidenziano alcune criticità del sistema: a) Le REMS presen- tano strutture profondamente differenti e non hanno uniformità di ge- stione e regolamento, perché il d.m. 1 ottobre 2012 ha indicato solo i requisiti strutturali ed organizzativi; b) la l. 9/2012 affida la sicurezza delle REMS alle prefetture, ma non è chiaro attraverso quali modalità (il contesto, lo spazio, le modalità d gestione della sicurezza nel rappor- to con i pazienti cambiano profondamente il senso della privazione del- la libertà personale con ciò che ne consegue anche sul versante terapeu- tico); c) la legge prevede che le REMS abbiano un ruolo sussidiario, la

cui effettività però dipende dalla capacità dei servizi sanitari regionali di programmare i percorsi per la presa in carico dei pazienti ricoverati in modo da assicurare un percorso in libertà vigilata terapeutica (in un contesto di sanitarizzazione della gestione dell’autore di reato infermo di mente, la residualità delle REMS è condizionata da elementi ultronei al sistema di controllo penale); d) le REMS non soffrono di sovraffol- lamento, male che affligge il sistema carcerario, perché il d.m. 1 ottobre 2012 fissa i limiti rigidi di capienza delle strutture (20 posti), ma hanno il problema delle liste d’attesa che nascono soprattutto dalle richieste di applicazione provvisoria di misure di sicurezza (39%), come evidenzia in modo preoccupato la Relazione del Garante nazionale (al 31 dicem- bre 2018, dei 629 ricoverati in REMS, 249 erano le persone in misura di sicurezza provvisoria e 603 in lista di attesa). Le liste d’attesa produ- cono due aberrazioni: la permanenza in carcere in assenza di titolo o la permanenza in libertà di chi avrebbe bisogno di assistenza; l’una e l’al- tra inadeguate rispetto alle esigenze di cura della persona e di sicurezza della collettività.

2. Le prospettive di modifica della disciplina vigente

Una riforma a metà del guado non è mai soddisfacente, ma per capi- re come uscire dalle acque dobbiamo anche interrogarci sulla direzione da intraprendere e per farlo è necessario fissare le coordinate di sistema.

Anzitutto, ci sono due versanti rispetto ai quali ritengo che non siano possibili arretramenti. In primo luogo, i principi di garanzia elaborati nel tempo dalla Corte costituzionale rappresentano l’ossatura del siste- ma. Così, la reintroduzione di forme di presunzione sarebbe destinata ad entrare in conflitto con le garanzie costituzionali, soprattutto in un contesto di disciplina nel quale la malattia rende costituzionalmente obbligata la flessibilità delle forme del controllo penale (una flessibilità sulla quale la Corte costituzionale ha insistito nella sent. 99/2019, af- frontando il rapporto tra pena carceraria e misure alternative per dete- nuti con grave infermità psichica); peraltro, più in generale, la giuri- sprudenza costituzionale, pur non rigettando in via teorica presunzioni

assolute, richiede tuttavia un vaglio positivo in termini di ragionevolez- za:

le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e ir- razionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, rias- sunti nella formula dell’id quod plerunque accidit

ossia

tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa8.

Poiché, solitamente la Corte ravvisa casi nei quali è “agevole” scon- fessare la massima di esperienza, la ragionevolezza della presunzione diventa sempre più fragile alla luce dell’art. 3 Cost.

Altra garanzia, della quale un sistema di disciplina delle misure di sicurezza non può fare a meno, è costituita dal principio di sussidiarietà della risposta custodiale a cui innanzi facevo riferimento, da bilanciare con le esigenze di sicurezza rispetto al rischio di commissione di reati, poiché cura e sicurezza sono i due poli sui quali la Corte costituzionale fonda la legittimazione delle misure post delictum nei confronti degli autori di reato con vizio di mente (Corte cost. 253/2003).

Il secondo versante, dal quale non possiamo ammettere arretramenti, è costituito dalla scelta legislativa di passaggio dagli OPG alle REMS. È un punto di non ritorno sul terreno delle garanzie individuali come emerge anche dalla sentenza n. 99/2019, nella quale la Consulta non solo valorizza la tutela della salute mentale nei contesti di privazione della libertà personale, ma sottolinea la diversità qualitativa delle REMS rispetto al sistema pregresso.

La linea di non arretramento indicata lascia comunque ampio mar- gine di apprezzamento sulle scelte di politica criminale, che dovranno tener conto della capacità del contesto politico, culturale e sociale di accoglierle. Ed è proprio sulla capacità del contesto di recepire le scelte

8 Corte cost., 23 luglio 2013, n. 232 (nello stesso senso v. Corte cost. nn. 213/2013,

normative in ordine al rapporto tra salute mentale e sistema penale che va sviluppata qualche riflessione più meditata, perché siamo passati nel giro di poco tempo dal clima impregnato di slancio riformista ad una riforma falcidiata per giungere infine alla riforma negata.

Lo slancio riformista ha permeato la stagione degli Stati generali per l’esecuzione penale9, i cui risultati sono in parte confluito nella legge Orlando (l. 103/2017) con la delega sulla riforma dell’ordinamento pe- nitenziario, della sanità penitenziaria e delle misure di sicurezza perso- nali10. La delega, pur dando indicazioni scarne, e in certe parti anche contraddittorie, fissava principi e criteri direttivi la cui attuazione avrebbe consentito un intervento di ampio respiro anche sul tema del doppio binario.

Il progetto di riforma è stato, però, falcidiato già dal governo di fine legislatura, che pure aveva mostrato attenzione alla riforma delle misu- re alternative e della sanità penitenziaria, perché non fu portato avanti il progetto di riforma delle misure di sicurezza personali; peraltro, la boz- za di decreto legislativo approvata dal governo prevedeva la riforma delle misure alternative, incluse quelle a contenuto terapeutico, e della sanità penitenziaria.

Si è poi passati dalla riforma falcidiata alla riforma negata, perché il primo governo nato dalla nuova legislatura non ha attuato le proposte riformiste che potenziavano i percorsi extracarcerari (v. d. lgs. 121, 123 e 124 del 2018)11. Così, definitivamente sepolto il progetto di riforma

9 G. GIOSTRA, P.BRONZO (a cura di), Proposte per l’attuazione della delega peni-

tenziaria, Roma, 2017.

10 Sulla legge delega v. M. RONCO, Proposte di riforma sulle misure di sicurezza

personali e sull’imputabilità, in Arch. pen., 2018, 79 ss.; F. DE MARTINO, La (mancata) riforma Orlando in tema di misure di sicurezza: non tutti i mali vengono per nuocere, ivi, 2019, 1 ss.; F. SCHIAFFO, Delega per la riforma delle misure di sicurezza: l’eco di

un “immenso ‘appetito di medicina’”, in Dir. pen. proc., 2018, 119 ss.; M.T. COLLICA,

La delega della legge Orlando sulle misure di sicurezza, in Leg. pen., 2018, n. 2, 23 ss. Sul ddl. 2067 che è poi, con alcune modifiche, confluito nella l. 103/2017, v. M. BER- TOLINO, Il crimine della pericolosità sociale. Riflessioni da una riforma in corso, in

Dir. pen. cont., 24 ottobre 2016.

11 A. MASSARO, La riforma dell’ordinamento penitenziario: assistenza sanitaria e

vita detentiva, in Dir. pen. proc., 2019, 149 ss.; M. PELISSERO, Salute mentale e carce-

delle misure di sicurezza, sono state anche archiviate molte delle propo- ste elaborate dalle Commissioni ministeriali: nei d.lgs. nn. 123 e 124 del 2018 non trovano spazio i percorsi alternativi al carcere, anche quelli a finalizzati a soli scopi terapeutici; non è stato affrontato il nodo dell’infermità psichica sopravvenuta; dall’art. 11 ord. penit. scompare inopinatamente il richiamo all’assistenza psichiatrica in carcere, ri- chiamo che era invece presente nel testo previgente ed era potenziato nella bozza di decreto legislativo proposta dalla Commissione che ho presieduto.

Oggi, qualsiasi proposta di riforma deve tener conto delle variabili che condizionano l’effettività del progetto normativo: la sensibilità del- la collettività e delle forze politiche verso la questione carceraria, che diventa purtroppo centrale nell’agenda di governo, quando si tratta di rivedere in termini restrittivi l’accesso alle misure alternative; l’inter- pretazione che i giudici danno delle norme con effetti significativi sul- l’ampiezza del controllo penale (si pensi al problema delle liste d’attesa generato essenzialmente dalla richiesta di applicazione di misure di si- curezza provvisorie); l’interazione tra magistratura e servizi sanitari territoriali nella cura e nel controllo dell’infermo di mente autore di reato; infine la variabile finanziaria che può rendere effettiva una rifor- ma o imbalsamarla sulla carta.

3. La legge delega e i lavori della Commissione

Ho innanzi accennato al fatto che i principi e criteri direttivi della legge delega sulla riforma delle misure di sicurezza per soggetti con vizio di mente fossero alquanto scarni e in parte contraddittori (art. 1, comma 16, lett. c l. 103/2017).

Per i soggetti non imputabili, le indicazioni sembrano più criteri ge- nerali di politica criminale, in linea con l’attuale impianto di disciplina, che principi e criteri direttivi capaci di vincolare le scelte del legislatore delegato: in tal senso va letta l’esigenza di garantire la cura e prevenire la pericolosità sociale, che continua a costituire il presupposto per l’ap- plicazione delle misure e del giudizio di riesame («l’accertamento pe- riodico della persistenza della pericolosità sociale e della necessità della

cura e la revoca delle misure quando la necessità della cura o la perico- losità sociale siano venute meno»). Costituiva, invece, elemento inno- vativo e vincolante la previsione della durata massima per tutte le misu- re di sicurezza personali, quindi anche in relazione ai reati puniti con la pena dell’ergastolo, che la l. 81/2014 aveva lasciato fuori da questa ga- ranzia.

Per i soggetti con capacità diminuita, invece, la legge delega preve- deva l’abbandono del doppio binario, in favore della considerazione delle esigenze terapeutiche all’interno dell’esecuzione della pena attra- verso

un trattamento sanzionatorio finalizzato al superamento delle condizio- ni che hanno diminuito la capacità dell’agente, anche mediante il ricor- so a trattamenti terapeutici o riabilitativi e l’accesso a misure alternati- ve, fatte salve le esigenze di prevenzione a tutela della collettività.

Si trattava di una soluzione in linea con gli autorevoli progetti di ri- forma della parte generale del codice penale presentati a cavallo del Millennio (Commissioni Grosso, Nordio e Pisapia), fermamente orien- tati a superare il sistema del doppio binario in termini ben più radicali di quanto non abbia fatto la legge 103/2017: infatti, mentre questi pro- getti prevedevano solo misura terapeutiche nei confronti dei prosciolti per vizio totale di mente, la legge delega manteneva il doppio binario per i soggetti imputabili pericolosi, sebbene solo in relazione ad una cerchia circoscritta di reati (delitti di cui all’art. 407, comma 2, lettera a c.p.p.) e «nella prospettiva del minor sacrificio possibile della libertà personale», con la previsione della durata massima delle misure, la re- voca in caso di cessazione della pericolosità, soggetta a riesame perio- dico. Sul punto, pur nell’apprezzabile indicazione in favore del conte- nimento del doppio binario per i soggetti imputabili pericolosi, appare poco comprensibile il richiamo ai reati indicati in una norma processua- le sui termini di durata delle indagini preliminari per individuare i reati sintomatici dell’esigenza del mantenimento del doppio binario; soprat- tutto, però, è contraddittorio sancire l’abolizione del doppio binario per i soggetti con capacità diminuita e mantenerlo, invece, per i soggetti imputabili, in quanto il doppio binario sta o cade per queste due catego- rie di soggetti.

Il criterio direttivo più problematico era il c.d. emendamento Mussi- ni (dal nome della senatrice proponente): la lett. d dell’art. 1, comma 16, l. 103/2017 individuava come destinatari delle REMS, in via princi- pale, coloro il cui stato di infermità al momento della commissione del fatto fosse stato accertato in via definitiva; stabiliva, altresì, che a que- ste strutture potessero essere destinati

i soggetti per i quali l’infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, degli imputati sottoposti a misure di sicurezza