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Un mito greco contemporaneo

Danae Antonakou

1 | La nave Mataroa.

La nave Mataroa

“Mataroa”, o “La donna dagli occhi grandi” – questa l’interpretazione del termine Maori, secondo la versione corrente nel greco contemporaneo – ha prestato il suo nome e la sua storia ad articoli, libri, congressi, spettacoli teatrali, esposizioni artistiche e documentari, soprattutto in Grecia e in Francia. Ma è, anzitutto, il nome di una nave. Si tratta della nave “della speranza”, come fu soprannominata quando, un anno dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e qualche mese prima della successiva, traumatica, guerra civile, salvò i migliori giovani intellettuali della Grecia. Essi partirono alla volta di Parigi, con l’idea di tornare, un giorno, a casa. Questo sogno per alcuni di loro si avverò; ma per altri – in particolare per

chi, nel turbolento periodo della Resistenza durante l’occupazione tedesca, e dopo, tra la fine della guerra mondiale e la guerra civile, era stato impegnato tra le file della sinistra – il viaggio divenne il punto di partenza per un auto-esilio, o per un esilio vero proprio, che durò anche molti anni.

Il viaggio di questo gruppo di studenti, che costituisce la prima ondata della diaspora intellettuale greca in età postbellica, era stato reso possibile grazie a una serie di borse di studio messe a disposizione dallo Stato francese, rientranti nei grandi progetti di politica culturale attivati nel dopoguerra in Europa. Vista da un’altra prospettiva, oggi si direbbe una “fuga di cervelli”, ovvero, un “esempio riuscito” di emigrazione. Secondo Cornelius Castoriadis – che faceva parte di quel drappello di borsisiti e che sarebbe diventato un protagonista della scena filosofica internazionale – si trattava di “μια ονειρική έξοδο”, un “esodo onirico” che potrebbe essere considerato come “ένα μείζον γεγονός της σύγχρονης Ελλάδας” – “uno degli eventi maggiori della Grecia contemporanea” (Vyzantios 2004, 13). Con il passare degli anni, si è stabilito un collegamento tra la storia della migrazione di quella generazione di giovani nel periodo immediatamente postbellico e la storia degli studenti greci che, durante la dittatura dei colonnelli (1967-1974), partirono per l’Europa, in particolare per l’Italia e la Francia, nello stesso periodo della rivolta studentesca del ’68. Il significato storico proprio di quello specifico evento ha cominciato a essere riconosciuto in modo più preciso a partire dagli anni 80 e, più di recente, durante il massicciobrain drain provocato dalla grave crisi economica del decennio 2010. Ma il profilo di quell’episodio è ancora una questione aperta. Ad ogni modo, in questi settantacinque anni, ovvero fin dalla data della partenza di Mataroa da Pireo, i fili della sua storia hanno via via intessuto la trama di un grande mito. Ancora oggi, quando si fa riferimento a qualche personalità importante facente parte di quel gruppo, spesso si rimarca che si tratta proprio di uno dei passeggeri di quella nave leggendaria.

In questo testo il tema del viaggio della Mataroa è affrontato mediante due percorsi: il primo mira a ricostruire la storia della nave e del viaggio del 1945, basandosi sull’incrocio di diversi contributi storiografici (un testo di riferimento è il recenteΜανιτάκης, Jollivet 2018, con bibliografia), nonché

su fonti dirette e testimonianze; il secondo, prendendo spunto dai dati storici e dalle narrazioni dei protagonisti, intende ripercorrere i sentieri che conducono alla costruzione del mito e indagare le ragioni che ne fanno tuttora una fonte di ispirazione. In Appendice, ci è parso utile dare una ‘lista dei passeggeri’, non completa, ma ottenuta selezionando tra i 240 personaggi che nel 1945 presero la borsa di studio francese (il numero è confermato inΜανιτάκης, Jollivet 2018, 24) le personalità che sarebbero state destinate ad avere importanti riconoscimenti in campo culturale, artistico e scientifico.

Nel documentario dal titoloΜαταρόα: Το ταξίδι συνεχίζεται... (Il viaggio continua…) presentato al XXI Festival di Salonicco nel 2019, queste le parole di Panaghiotis Tournikiotis:

Ματαρόα: Μαγική λέξη. Δεν λέει και κάτι πολύ συγκεκριμένο, αλλά, όπως όλοι οι μεγάλοι μύθοι, διαθέτει μία φοβερή λέξη.

Mataroa: parola magica. Non dice niente di concreto, ma, come tutti i grandi miti, possiede una parola formidabile.

La partenza

Il 12 ottobre 1944 è il giorno dell’“Απελευθέρωση” la “Liberazione”: le truppe tedesche partono dalla capitale greca e la fine ufficiale

dell’Occupazione, durata tre anni e mezzo, diventa realtà. Centinaia di migliaia di ateniesi manifestano la loro grande gioia nel centro della città.

2 | La liberazione di Atene: festeggiamenti nelle strade di Atene (ottobre 1944).

Meno di un anno dopo, l’Institut français d’Athènes bandiva un numero consistente di borse di studio, che avrebbero rappresentato per gli studenti greci una via d’uscita verso la speranza e la libertà. Le domande furono molto numerose: per la maggioranza dei candidati il bando costituiva una opportunità di soddisfare il desiderio di fare studi specializzati all’estero e specialmente in Francia, dato che le istituzioni francesi in Grecia godevano di grande prestigio. Si aggiungeva poi il sentimento di fratellanza che legava greci e francesi, stretto

nell’esperienza comune della lunga occupazione nemica e della sanguinosa lotta di resistenza (Μανιτάκης 2018, 21-23).

D’altronde, quelle borse di studio offrirono un’opportunità vitale specialmente a coloro che, durante la guerra, si erano uniti alle forze di sinistra della Resistenza contro l’Occupazione e, dopo il ritiro delle truppe tedesche, avevano preso parte ai “Δεκεμβριανά”, agli eventi del dicembre 1944, che erano stati il preludio del periodo successivo. Dopo una tregua

tra le forze britanniche e l’esercito governativo greco con le forze della resistenza dell’Εθνικό Απελευθερωτικό Μέτωπο/ΕΑΜ (Fronte di Liberazione Nazionale) nel gennaio 1945, e, a seguire, dopo la firma dell’accordo tra il governo e le forze della resistenza, nel febbraio del 1945, i combattimenti si arrestarono, ma era chiaro a tutti che il conflitto non era affatto finito.

Significativo è il caso della poetessa Matsi Hatjilazarou. Matsi non correva pericolo, perché non era stata coinvolta nelle vicende belliche. Alla richiesta della Commissione dell’Institut français d’Athènes di spiegare le motivazioni della sua domanda, rispose:

Θέλω απλώς να δω και ν’αγγίξω με το χέρι μου έναν Ματίς και έναν Πικασό.

Voglio semplicemente vedere e toccare con mano un Matisse o un Picasso.

Un desiderio tutto poetico e artistico, dunque, stando alla dichiarazione della poetessa. Tuttavia i suoi versi, databili a dopo il dicembre 1944, sono la prova del fatto che l’esperienza della guerra, che era ancora in corso, ebbe un ruolo importante nella sua decisione di partire:

Quoique tant de sang ait coulé / les vagues ont gardé / leur couleur / et malgré tant de haine éveillée / de nouveau la pinède se tapit jusqu’au retour / du printemps (Hatzilazarou in Levesque 1947, 162).

Sebbene sia stato versato così tanto sangue / le onde hanno mantenuto / il loro colore / e nonostante sia stato risvegliato tanto odio / la pineta se ne sta immota fino al ritorno/ della primavera.

In generale, il desiderio dei giovani intellettuali greci era di fuggire via dal pesante clima post-bellico:

Για όλους αυτούς τους νέους αλλά και πρεσβύτερους ταξιδιώτες, εκ των οποίων αρκετοί προέρχονταν από τη μεσαία και τη μεγαλοαστική τάξη, το ταξίδι στη Γαλλία έδινε μια ανέλπιστη ευκαιρία να “ξεφύγουν από το ελληνικό χάος”, να συνεχίσουν τις σπουδές που είχαν διακόψει στη διάρκεια του πολέμου και να αρχίσουν μια νέα ζωή (Μανιτάκης, Jollivet 2019, 10).

A tutti quei giovani ma anche ai viaggiatori più adulti molti dei quali appartenevano alla borghesia medio-alta, il viaggio in Francia offriva l’opportunità inaspettata di “sfuggire al caos greco”, di continuare gli studi interrotti durante la guerra e di ricominciare una nuova vita.

3 | Gli eventi sanguinosi di Atene (dicembre 1944).

Nelli Andrikopoulou, un’altra passeggera della Mataroa, scriverà:

Εμείς είχαμε την τύχη, σαλπάροντας προς την ελευθερία μεσ’ από τους κινδύνους του παρόντος με τις βαριές κατοχικές μας εμπειρίες μα και “με τη χαρά της αφθαρσίας μέσα στα μάτια”, να ζήσουμε μια νεανική περιπέτεια, της οποίας αγνοούσαμε, φυσικά, την εμβέλεια – μας έλειπε η απόσταση του χρόνου… (Ανδρικοπούλου 2007, 17).

Noi abbiamo avuto la fortuna di salpare verso la libertà mentre sul presente incombevano gravi pericoli; sentivamo il peso delle esperienze fatte durante l’Occupazione, ma anche “negli occhi la gioia di essere incorruttibili” e di vivere l’avventura della nostra giovinezza, di cui ignoravamo, naturalmente, la portata – ci mancava la distanza del tempo.

L’intera operazione fu possibile grazie ai grandi sforzi di alcuni illuminati dirigenti dell’Institut français d’Athènes e specialmente del loro Direttore, Octave Merlier. Il successo dell’impresa fu dovuto anche al fatto che il Governo francese provvisorio del tempo tentava di mantenere una posizione neutra di fronte al coinvolgimento angloamericano nel conflitto civile greco. Pertanto, con la politica delle borse di studio stanziate dal suo paese, Merlier rese possibile questa fuoriuscita di giovani greci,

successivamente descritta da alcuni come un’epopea, mentre gli studenti stessi la chiamarono, ‘Υποτροφιάς’ – che si potrebbe tradurre in italiano come ‘Borsiade’.

Nel settembre del 1945, una commissione speciale esaminò le domande presentate – più di ottocento – e, dopo un’impegnativa e rigorosa procedura di selezione, assegnò ben duecentoquaranta borse di studio. Settantotto tra i borsisti – quelli più grandi di età e con reddito più alto, nonché gli artisti già affermati – risultarono non avere diritto al sostegno economico assegnato agli altri centosessanta.

Tra gli artisti affermati che rientrarono nel gruppo c’era ad esempio la scultrice Bella Raftopoulou la quale, già prima della guerra, aveva studiato e lavorato con Antouan Bourdelle a Parigi e aveva collaborato con Eva e Anghelos Sikelianos alla realizzazione delle famoseΔελφικές Εορτές (Feste Delfiche), come autrice di alcune scenografie e costumi di scena (Παρασκευά 2019). I borsisti di questa categoria poterono però godere come gli altri di tutti i restanti benefici, che si sarebbero rivelati molto importanti per il loro futuro status in Francia, dato che includevano il visto, il permesso di soggiorno e il diritto a un posto di lavoro. Proprio quest’ultimo si sarebbe rivelato

4 | Bella Raftopoulou come Oceanina, con il costume da lei disegnato per le Feste Delfiche del 1939 (foto Nelly’s; Archivio della Pinacoteca Nazionale di Atene).

essenziale più avanti, quando, per la maggior parte, le borse di studio sarebbero state sospese.

Avendo la copertura politica e finanziaria dell’Ambasciata francese, la spedizione prese il carattere di una cooperazione formale tra i governi di Grecia e Francia. Pur nel clima di instabilità di quel periodo di transizione – si ebbe il cambio di quattro primi ministri in quattro mesi – le autorità greche garantirono il permesso di partire a quasi tutti i vincitori delle borse di studio (Νικόλας Μανιτάκης, 2019, 40). L’attesa della nave durò però due mesi e ciò provocò ansie e frustrazioni: non si deve dimenticare che gli abitanti di Atene, durante la feroce occupazione durata tre anni e mezzo, ma anche dopo, nel 1945, avevano patito la fame e subìto tante sofferenze.

Να που πάλι, κάποιος κάτι μας στερούσε ποιος άντεχε κι άλλες στερήσεις; Η ελευθερία μας περίμενε, εδώ και τώρα. Μόνο που το Ματαρόα δεν ερχόταν. Αίσχος! (Ανδρικοπούλου 2007, 40).

Ancora una volta, qualcuno ci stava privando di qualcosa, e chi poteva sopportare altre privazioni? La libertà ci stava aspettando, qui e ora. Solo che Mataroa non arrivava. Vergogna!

Finalmente, poco prima del Natale del 1945, la Mataroa gettò gli ormeggi al porto del Pireo e fece imbarcare centoventiquattro persone del gruppo. Per tutti gli altri la partenza fu rimandata di quasi due mesi. A quanto risulta, la Commissione selezionò i candidati in base a criteri di merito, senza prendere in considerazione le loro idee o il loro impegno politico. Merlier dichiarò che pochissime furono le domande che la Commissione scartò in via preventiva e furono quelle di una o due persone seriamente indiziate di aver collaborato con le forze d’occupazione tedesche (Μανιτάκης 2018, 26, 28).

5 | Aspettando la nave Mataroa.

La traversata

Galleggiando lentamente, con cautela, in un mare molto mosso e ancora cosparso in superficie di ordigni, la Mataroa ora faceva rotta verso l’Italia. La memoria dell’intera tratta del viaggio, da Atene a Parigi, sembra essere stata rimossa dalla mente dei passeggeri: al posto del ricordo, per molti ci fu da subito come un vuoto. Forse la causa era la gravità della situazione che si erano lasciati alle spalle, forse le condizioni difficili, pericolose e stressanti, in cui erano arrivati al momento della partenza. Sta di fatto che i loro ricordi sono rarefatti, frammentari, e a volte contraddittori. Kostas Axelos diceva di aver dimenticato tutto, tranne le discussioni del gruppo dei “quattro filosofanti” come li chiamava – ovvero Castoriadis,

Papaioannou, Cranaki ed egli stesso – che parlavano fra loro di filosofia, di letteratura, di arte, di vita, ma non di politica.

Nelli Andrikopoulou ha tenuto a mente che nella prima notte a bordo, dopo avere ascoltato gli annunci del Commissario di bordo inglese sui severi regolamenti relativi all’igiene e ai comportamenti da tenere durante la traversata, si erano finalmente resi conto che all’alba sarebbero partiti veramente. E che allora il loro animo si era rivolto alla Grecia che si lasciavano alle spalle.

Manos Zacharias, che evidentemente faceva parte di un altro gruppo, racconta che non dormirono per tutta la notte, perché la Mataroa sarebbe partita all’alba: rimasero svegli, per la paura che qualcuno potesse venire a prenderli e così ostacolare o impedire la loro partenza (Ανδρικοπούλου 2007, 74).

Dicos Byzantios, uno dei più giovani del gruppo, nel suo testo intitolatoΗ Οδύσσεια μου στο Ματαρόα (La mia Odissea sulla Mataroa), narra storie di azioni stravaganti, che giustifica con l’entusiasmo degli studenti per l’ignoto e l’avventura, che lasciarono stupefatti i membri dell’equipaggio inglese: […] είδα τους συντρόφους μου να σκαρφαλώνουν στους ιστούς και να αιωρούνται από τα σκοινιά, όπως είχαν δει να κάνουν οι πειρατές στα έργα του Χόλυγουντ. […] Στη συνέχεια μας έκαναν μια άσκηση επιβίωσης για την αντιμετώπιση του ναυαγίου, κάτι που είχαν κάθε λόγο να φοβούνται, αφού η Μεσόγειος ήταν γεμάτη νάρκες. Θα το θυμάμαι πάντα: μας είχαν βάλει να σχηματίσουμε δύο σειρές αντικριστά ο ένας στον άλλον. […] Δεν προλαβαίνει (ο ‘Άγγλος αξιωματικός) όμως να στρίψει την πλάτη και μεμιάς ολόκληρη η σειρά ρίχνει όλα τα σωσίβια στη θάλασσα. Εμείς θέλαμε να είμαστε ελεύθεροι, να φύγουμε, και τούτα τα σωσίβια μας ήταν εμπόδιο (Βυζάντιος 2007, 119).

[…] ho visto i miei compagni arrampicarsi sugli alberi della nave e librarsi nell’aria con le corde, come avevano visto fare ai pirati di Hollywood. [...] Ci hanno quindi fatto fare una prova di sopravvivenza per affrontare un possibile naufragio, che avevano tutti i motivi per temere, poiché il Mediterraneo era pieno di mine. Me ne ricorderò sempre: siamo stati messi insieme per formare due file, uno di fronte all’altro. […] Ma [l’ufficiale inglese] non fa in tempo a voltare le spalle e di colpo l’intera fila lancia tutti i salvagenti in mare. Volevamo essere liberi, volevamo partire, e i salvagenti erano per noi un ostacolo.

Ancora nel 1980, in una loro intervista alla radio francese, gli ex studenti del viaggio avevano ricordi molto rarefatti: erano i segni di quella che sarebbe stata chiamata la loro “mémoire trouée”, il lorogap di memoria. La nave infine si accosta all’Italia, in grave ritardo rispetto alle previsioni. Le reazioni dei viaggiatori sono varie. Andreas Kedros, impressionato,

afferma che mentre il suo paese di partenza avrebbe potuto benissimo stare in un acquerello, il paese di arrivo era più robusto e solido, e avrebbe potuto essere rappresentato soltanto in un quadro di pittura a olio

(Ανδρέας Κέδρος 1990, 36).

Nelli Andrikopoulou dice che nella piena luce mediterranea non videro altro che il porto di Taranto: solo alcuni dei moli non erano distrutti e le facciate degli edifici ancora in piedi avevano un tono di color ocra. Ma la nave rimase al largo perché arrivò la notizia che in città era scoppiata la peste. La scrittrice conclude con la frase:

Πώς ξεμπαρκάραμε, δεν θυμάμαι (Ανδρικοπούλου 2007, 80). Come siamo sbarcati, non me lo ricordo.

Durante la lunga attesa del treno che avrebbe portato i giovani a Parigi, il Console francese a Taranto era venuto a salutare i “boursiers”. Nel

frattempo, essi dovevano pensare alla montagna dei loro bagagli, insieme ai pacchi di libri, di commestibili e di sigarette che fino ad allora avevano usato come moneta al posto della dracma, inflazionata e svalutata. Il treno che infine arrivò era un convoglio da trasporto, di legno: uomini e pacchi furono ammassati in due vagoni che erano freddi, senza finestre, luce e riscaldamento, contro ogni norma igienica, mentre il vento invernale entrava da ogni parte. Sulla fiancata dei vagoni c’era la scritta “Otto cavalli, quaranta persone”. Έπειτα τα ερείπια χωριών και πόλεων, σιωπηλοί μάρτυρες των μανιασμένων μαχών που οι στρατιές των Ναζί έδιναν ενάντια στους Αγγλοαμερικανούς κατά την υποχώρησή τους. Για άγνωστους λόγους το τρένο σταματούσε για ώρες στους σταθμούς που είχαν καταστραφεί από τους βομβαρδισμούς. Πεινούσαμε, διψούσαμε αλλά οι σταθμοί, όπως κι οι πόλεις, ήταν έρημοι.[…] Μας έμεναν μια μέρα και δυο νύχτες για ν’ αντικρίσουμε τη Ρώμη. Από δω και πέρα η Ιταλία μας 6 | Lettera del Ministero degli

Esteri Greco del 1945, relativa al viaggio degli studenti da Atene a Parigi.

φάνηκε ότι είχε πληγεί λιγότερο απ’ την καταστροφή του πολέμου (Ανδρέας Κέδρος 1990, 37).

Dopo furono le rovine di villaggi e città, testimoni muti delle furiose

battaglie che le armate naziste durante la ritirata avevano fatto contro inglesi e americani. Per ragioni ignote il treno si fermava per ore in stazioni

distrutte dai bombardamenti. Avevamo fame e sete, ma le stazioni, come anche le città, erano deserte. […] Passarono un giorno e due notti perché arrivassimo a vedere Roma. Da lì in poi, l’Italia sembrava avere sofferto meno delle devastazioni della guerra.

A Roma presero un altro treno, con i vetri delle finestre rotti e senza riscaldamento, e, tremando per il freddo, proseguirono il viaggio verso nord. Si fermarono a Bologna e restarono abbagliati dalle bellezze del centro storico:

“Ακόμα με επηρεάζει” λέει ο (αρχιτέκτων) Μανουηλίδης “διότι είδα ότι ήταν ένα μουσείο. ‘Ηταν αριστούργημα” (Ανδρικοπούλου 2007, 80). “Sono ancora colpito” – dice (l’architetto) Manouilidis – “perché ho visto che era un museo. Era un vero capolavoro”.

In seguito, presero un treno rapido e comodo per la Svizzera, dove tuttavia la polizia di frontiera elvetica, che temeva la peste di Taranto, riservò loro un trattamento scioccante: imposero infatti a tutti di fare una doccia sotto lo sguardo sprezzante delle ausiliarie della Croce Rossa, nonché una disinfestazione con DDT, che, come dissero gli studenti nei loro scritti, fu spruzzato sui loro corpi e sui loro vestiti (Κέδρος 1990, 39; Μανιτάκης 2018, 44)). In quel periodo, nel contesto dell’immediato dopoguerra, un totale di sette giorni era la durata media del viaggio, che in condizioni normali, al massimo, sarebbe stata di tre giorni; ma per gli studenti, esausti, la sensazione era che non avesse mai fine. Però oramai Parigi era vicina.

L’arrivo a Parigi

La ‘Υποτροφιάς’, la ‘Borsiade’ fece approdo a Parigi il 28 dicembre 1945, alla Gare de l’Est. L’architetto Henri Ducoux, della Scuola di archeologia francese, scrisse un telegramma al direttore Merlier per informarlo che lui

stesso, insieme a Roger Milliex, il suo più stretto collaboratore, sarebbero stati alla stazione per ricevere gli studenti. Il giorno dopo, presso il padiglione greco dellaCité Universitaire, dove si era organizzato l’alloggio per la maggior parte dei borsisti, tre professori universitari di neogreco – Hubert Pernot, André Mirabel e Sophie Antoniadi – vennero a dare loro il benvenuto. Secondo NiKolas Manitakis, l’accoglienza dei viaggiatori di Mataroa in Francia fu un episodio unico, mai accaduto fino a quel momento (Μανιτάκης 2018, 46, 47). Nelle storie dell’emigrazione studentesca greca era senza precedenti già il fatto stesso che una delegazione di borsisti tanto numerosa e bene organizzata fosse sotto la tutela delle autorità istituzionali. Per quanto riguarda gli studenti rimasti in Grecia, essi partirono due mesi dopo su una nave svedese chiamata ‘Gripsholm’ – il nome di un castello vicino al lago idilliaco Mälaren, nel centro sud della Svezia – furono trasportati direttamente a Marsiglia e, a seguire, a Parigi, in treno, con un viaggio meno faticoso e meno

avventuroso.

All’arrivo della seconda nave non si prestò molta attenzione; l’intera generazione di intellettuali greci che arrivò in Francia immediatamente dopo la guerra – la liberazione di Parigi data all’agosto del 1944 – fu ascritta alla nave Mataroa.

Per gli studenti greci, Parigi rappresentava, già da prima, laVille Lumière. Qui i borsisti della Mataroa furono liberi di continuare i loro studi interrotti durante la guerra, di iniziare una nuova vita, di coltivare i loro talenti, di sviluppare la loro creatività. Il medico Eleni Thomopoulou, che non aveva problemi di tipo politico e dopo un anno era già di ritorno in Grecia, in un’intervista pubblicata nel 2013 afferma:

Αυτό που προείχε τότε, ήταν να φύγει κανείς, και η παριζιάνικη ζωή μας έκανε πολύ σύντομα να ξεχάσουμε το ταξίδι (Μανιτάκης, Jollivet 2018, 11).

Α quel tempo la priorità era andarsene via, e la vita parigina fece dimenticare fin troppo presto il viaggio.

Il regista Manos Zacharias, che aveva lasciato la Grecia per motivi politici, intervistato nel 2007, ha dichiarato:

Ητανε ο πόλεμος, η Κατοχή, γλυτώσαμε, επιζήσαμε και βρεθήκαμε ελεύθεροι στην Ευρώπη. Αυτό ήτανε. Τίποτε άλλο… (Ανδρικοπούλου 2007, 107).

C’era la guerra, l’Occupazione, ci siamo salvati, siamo sopravvissuti ed eravamo liberi in Europa. Nient’altro …

Ma i racconti degliυπότροφοι (dei ‘borsisti’) dopo il loro primo contatto con Parigi, sono, su un punto, concordi: era una città “nera” perché Parigi portava i duri segni della recente occupazione tedesca. Lo storico Nikos Svoronos ha raccontato alla radio francese che, quando arrivarono, si trovarono di fronte a una città che aveva appena iniziato a rinascere. Gli ingressi alla metropolitana erano chiusi e pochissimi autobus erano in funzione. Videro la città rinascere lentamente (v. la trasmissione

radiofonica in Malaurie 1980). Tutto il paese, in effetti, si trovava davanti a una nuova era, a un’epoca di ricostruzioni su tutti i fronti, e tutte le forze erano impegnate a contribuire con grande cura a quel nuovo

‘risorgimento’. Da tenere in considerazione la distanza tra il punto di partenza dei ‘boursiers’ – la Grecia che la guerra aveva devastato – e il punto di arrivo – un paese che si presentava come un contesto

organizzato, dove il livello delle infrastrutture materiali, tecniche e culturali era alto e permetteva loro di coltivare i propri talenti e di eccellere.

Nel frattempo, il direttore dell’Institut français d’Athènes era stato rimosso, in quanto era stato accusato di aver distribuito borse di studio a studenti di sinistra per salvarli. Da ricordare che Octave Merlier aveva preso parte alla resistenza francese ed era amico personale di De Gaulle. Merlier si difese sostenendo che il criterio principale per la selezione era

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