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Le modalità di acquisizione dell’ager

Nel documento Il pomerium e lo ius proferendi pomerii (pagine 139-143)

3.3 La prolatio pomerii di Claudio

3.3.2 Le caratteristiche dello ius proferendi pomerii di Claudio

3.3.2.2 Le modalità di acquisizione dell’ager

Sulla base del passo di Seneca, M. Taliaferro Boatwright ha attribuito a Claudio l’elaborazione di uno ius basato sulla conquista540. Ma su cosa si basa quest’affermazione? Il testo dei cippi pomeriali di Claudio fa riferimento all’aumento di territorio soggetto al popolo romano:

C.I.L. VI 1231b = 31537b: Ti. Claudius/ Drusi f(ilius) Caisar/ Aug(ustus) Germanicus/ pont(ifex) max(imus) trib(unicia) pot(estate)/ VIIII imp(erator) XVI co(n)s(ul) IIII/ censor p(ater) p(atriae)/ auctis populi Romani/ finibus, pomerium ampliavit terminavitq(ue)

538 Abbiamo già sottolineato come queste tematiche si intreccino con il dibattito politico sul ruolo della penisola

italica e dei suoi senatori. Cfr Capitolo 1.

539 Si vedano il Capitolo 1 e il Capitolo 3 (paragrafo 3.3) riguardo alla definizione e alle caratteristiche di

Augusto come precedente di Claudio per la prolatio.

540 T

ALIAFERRO BOATWRIGHT 1986, p. 14, pp. 18-19 (in part. n. 20), seguita da F. Hinard (HINARD 1994, p. 235).

138 L’esplicito richiamo all’ampliamento dei fines, che è il motivo della prolatio di Claudio, rappresenta l’associazione dello ius proferendi pomerii con l’imperialismo romano. Tacito ne sintetizza il senso nel celebre passo sulla propagatio di Claudio:

Tac. Ann. XII, 23, 4-5: Et pomerium urbis auxit Caesar, more prisco, quo iis qui protulere

imperium etiam terminos urbis propagare datur.

D’accordo con M. Taliaferro Boatwright è E. Lyasse, secondo il quale, però, la formula presente sui cippi pomeriali di Claudio doveva evocare piuttosto quella usata da Silla, che aveva allargato il pomerio grazie all’estensione dei confini dell’ager Romanus conseguente alla concessione della cittadinanza ai Socii italici. Claudio ne avrebbe modificato il senso: dalla formula il riferimento all’ampliamento dell’ager Romanus sarebbe ancora coglibile nell’uso dell’espressione fines populi Romani, ma la conquista della Britannia aveva accresciuto l’imperium di Roma, non il suo territorio. A sostegno della sua tesi, E. Lyasse porta le testimonianze di Gellio e della H.A., che dimostrerebbero, a suo avviso che il n’est

plus question de fines. Da ciò egli ricava che il mos priscus di cui parla Claudio non risalga

che all’imperatore stesso e che sia il frutto di un’interpretazione nel senso di imperium di ciò che nel mos apud antiquos (scil. Silla) era l’ager Romanus541.

La prima difficoltà che si riscontra in tale ricostruzione è il fatto che E. Lyasse attribuisca la paternità della formula dello ius proferendi pomerii presente nel testo delle

Noctes Atticae a Gellio e non all’augure Messalla542. Abbiamo cercato di dimostrare nel paragrafo precedente che quasi tutto il quattordicesimo capitolo del libro XIII delle Noctes

Atticae si deve a Messalla o, più genericamente, ai libri de auspiciis. Inoltre, sia nella formula

di Messalla, sia in quella, probabilmente di fonte antiquaria, della H.A., l’utilizzo del termine

ager sembra fare riferimento piuttosto ad un territorio assoggettato che all’estensione di un

dominio, che si può perpetrare anche sotto altre forme. Non si può dire, infine, che la conquista della Britannia abbia segnato un aumento dell’imperium di Roma piuttosto che un’espansione territoriale, ma bensì il contrario: dalla seconda impresa di Cesare, Roma aveva intavolato rapporti di clientela con alcune tribù dell’isola, portando parte della Britannia nella sfera di influenza romana. La conquista territoriale vera e propria e lo spostamento del limes su suolo britannico si deve invece proprio all’impresa di Claudio. Una volta ribaltata, l’osservazione di E. Lyasse offre argomentazioni alla tesi di M. Taliaferro Boatwright: il richiamo al finis dà la dimensione di un’acquisizione attraverso la conquista.

541 L

YASSE 2005, p. 173.

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139 Un’altra difficoltà può consistere nel riconoscere nell’ager citato da Messalla l’ager

Romanus: niente autorizza E. Lyasse a preferire il dominium ex iure Quiritium all’ager publicus. Anzi, le caratteristiche di quest’ultimo si sposano meglio con la formula di Messalla

e ne confermano l’associazione con la conquista. L’ager publicus, infatti, è quel territorio risultante proprio dalla conquista di suolo nemico ‒ potremmo dire ager de hostibus captus ‒ e che resta proprietà dello Stato romano. Esso rappresenta meglio, dal nostro punto di vista, il senso di un aumento del populus Romanus rispetto all’ager Romanus, che invece apparteneva alla sfera del possedimento privato543.

L’accostamento tra la formula presente in Messalla (habebat autem ius proferendi

pomerii, qui populum Romanum agro de hostibus capto auxerat) e quella iscritta sui cippi

pomeriali claudî (auctis populi Romani finibus), poi ripresa fedelmente in quelli flavi, fa cogliere lo slittamento di significato avvenuto tra i due momenti storici: se per Messalla è il popolo romano ad aumentare grazie all’acquisizione di territorio, per Claudio è l’ampliamento del territorio del popolo romano a determinare l’ottenimento del diritto ad allargare il pomerio. Secondo la tesi di E. Lyasse, come abbiamo già in parte visto e come vedremo più avanti, nel caso di Messalla è possibile che lo ius proferendi pomerii fosse più articolato e richiedesse l’ampliamento dell’ager Romanus in seguito alla concessione della cittadinanza: così accadde per Servio Tullio, che procedette alla prolatio dopo aver censito per la prima volta i cittadini di Roma, e così fu per Silla, che diede la cittadinanza ai Socii, estendendo di fatto l’ager Romanus all’Italia subappenninica544. L’acquisizione di territorio, quindi, secondo questa interpretazione della formula di Messalla, doveva essere funzionale all’aumento del corpo civico e per questo il censimento doveva essere un passaggio fondamentale per l’ottenimento dello ius proferendi pomerii.

Proviamo ad andare oltre il ragionamento di E. Lyasse e ad applicare questa interpretazione anche a Claudio e a Vespasiano. Sappiamo che entrambi attuarono le loro

prolationes a pochi mesi di distanza dalla chiusura del censimento (e dalla celebrazione del lustrum). Ammettendo, come si ammetterà qui, la reale esistenza di una tradizione che

associava lustrum e pomerium, bisogna allora chiedersi se da parte dei due imperatori si trattò solo di un’adesione formale alla tradizione oppure di un’aderenza sostanziale. La domanda è: Claudio (e Vespasiano) ottenne lo ius prolationis perché aumentò l’imperium di Roma in

543 Tali caratteristiche vanno riferite al momento in cui si formò la tradizione sullo ius proferendi pomerii e,

anzi, contribuiscono a definirne il quadro cronologico. Cfr. oltre, al paragrafo 3.7.

544

140 seguito alla conquista di nuovi territori oppure lo ottenne perché aumentò l’ager Romanus in seguito all’iscrizione nelle liste censorie di nuovi cittadini?

Il dubbio, a mio parere, è lecito, soprattutto alla luce delle considerazioni di A. Giardina, di cui si è ampiamente discusso nel primo capitolo di questa tesi. La polemica sull’allargamento pomeriale di Claudio, infatti, sembra strettamente connessa con quella sull’estensione dei pieni diritti attivi alle élites galliche. È vero che in quel caso non si trattava di un’estensione della cittadinanza, ma, paradossalmente, la concessione dello ius

honorum (come lo chiama Tacito545) significava molto di più di questo; infatti, con questo provvedimento Claudio dava il segno di un vero ampliamento dei “confini” di Roma, che adesso integrava e spartiva il proprio potere con i provinciali546.

Quest’atto è quanto di più vicino ci sia allo ius proferendi pomerii di Silla, che dell’integrazione degli Italici fece il presupposto dell’ampliamento del pomerio547. Anche in quel caso le contestazioni furono dovute alla contrarietà della vecchia élite romana all’idea di spartire il proprio potere con i nuovi cittadini, che con quel provvedimento di fatto potevano ora accedere al Senato. L’imperium di Roma, sia nel caso di Silla sia in quello di Claudio, si accresceva grazie all’innesto di forze nuove nel Senato.

Trovo questa ipotesi molto seducente, ma poco adatta alla motivazione addotta da Claudio e iscritta sui cippi pomeriali: l’ampliamento dei confini del popolo romano non sembra poter significare altro che una conquista di tipo militare e questa è, evidentemente, quella della Britannia548.

Che il diritto rivendicato dall’imperatore fosse basato sulla conquista e per di più su suolo extra-italico è confermato dai termini del dibattito senecano; i detrattori dell’imperatore non avrebbero sostenuto la priorità della penisola italica se non fosse stato a questa che in qualche modo si attentava. Risulta anche evidente, d’altro canto, che invece non era in questione il fatto che si trattasse di territorio conquistato. Dobbiamo allora presumere che questo aspetto facesse parte della natura dello ius prolationis almeno da un tempo tale perché nell’età di Claudio ciò fosse ritenuto placidamente acquisito. E in effetti la testimonianza di Messalla sembra confermare questo stato di cose almeno dalla seconda metà del I sec. a.C.

545 La formula per esteso è ius adipiscendorum in urbe honorum (Ann. XI, 23, 1). 546 Riprenderemo queste “suggestioni” anche nel paragrafo finale di questo capitolo. 547 Vedi paragrafo 3.6.

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Nel documento Il pomerium e lo ius proferendi pomerii (pagine 139-143)