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Modalità di funzione dell’imperativo categorico

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ragionevole, i fatti sono soltanto fatti. Questa impostazione fornisce anche una chiave di lettura del concetto di dissenso che ho trattato all’inizio di questo lavoro: se l’oggettività dipende dal raggiungimento di un equilibrio tra giudizi ragionevoli, è prevedibile che i cittadini possano dissentire per tutta una serie di ragioni – la realtà politica del nostro paese dimostra che il più delle volte è dovuto ad un difetto di ragionevolezza - ma è altrettanto vero che tale dissenso può basarsi su ragioni oggettive che ogni cittadino razionale e ragionevole non può non riconoscere.

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Gli imperativi categorici particolari, ovvero i doveri di giustizia e di virtù, nonostante siano considerati da Rawls il frutto di un processo di costruzione, sono comunque incondizionati, essendo i cittadini agenti finiti caratterizzati da bisogni pratici concreti.

Non sono a priori, perché si giunge ad essi attraverso la procedura dell’imperativo categorico, prendendo in considerazione alcune leggi della natura e utilizzando diverse conoscenze empiriche a proposito del nostro mondo sociale; tuttavia si differenziano dai principi categorici ipotetici che sono condizionati dal fine a cui si tende. La posizione originaria proposta da Rawls riflette la stessa struttura dell’imperativo categorico. Non vi è nessun contenuto di partenza, nessun valore con cui i partecipanti alla posizione originaria siano pre impegnati, emerge solo la consapevolezza di essere agenti liberi ed eguali in quanto individui razionali e ragionevoli.

La seconda formulazione dell’imperativo categorico viene privilegiata da quelle forme di costruttivismo che ne valorizzano l’aspetto contrattualistico, come nel caso di Rawls:

“Considera l’umanità in te e negli altri sempre al tempo stesso come fine e mai soltanto come mezzo.”119

Se è vero che la volontà razionale per non incappare in contraddizione deve rispettare un principio formale, è altrettanto vero che il nostro essere finiti impone di individuare uno scopo verso cui tendere: il rispetto dell’umanità, vincolo determinato dall’esser agenti soggetti a ragioni, può esser considerato come l’unico fine appropriato e compatibile con l’imperativo categorico, in quanto è l’unico obiettivo che conserva i dettami della forma dell’imperativo categorico stesso. Una delle distinzioni fondamentali della dottrina kantiana riguarda la distinzione tra imperativo categorico e imperativo ipotetico; Rawls sottolinea che fra le diverse forme di imperativo vi sono due differenze principali.120 In primo luogo sostiene che Kant considerava l’imperativo ipotetico come analitico e non sintetico; infatti gli imperativi ipotetici, considerando un mezzo in vista di un fine, hanno la possibilità di determinare la nostra volontà. In secondo luogo, gli imperativi ipotetici sarebbero condizionati da altro, ovvero rivestirebbero una forza vincolante ai fini

119 Cfr. I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, Roma, Laterza, 1997.

120 J. Rawls, “Kantian Constructivism in Moral Theory”, in The Journal of Philosophy, IXXVII, 1980, pp. 515-573.

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dell’azione a seconda dei bisogni e delle inclinazioni particolari e contingenti. Gli imperativi categorici viceversa sono incondizionati e, in quanto proposizione sintetica a priori pratica, hanno la forza di determinare la volontà del singolo individuo, indipendentemente dai fini ricercati dai nostri interessi e dalle nostre inclinazioni.

L’imperativo categorico comanda in modo incondizionato ed esprime una necessità pratica assoluta, è l’espressione del principio di autonomia del soggetto. Sono postulati che hanno quindi un valore assoluto, sia rispetto ai mezzi che proibiscono di adottare in vista del perseguimento dei nostri fini, ma sono anche incondizionati rispetto ai fini obbligatori cui ci richiedono di assegnare un certo peso. I doveri di giustizia e i doveri di virtù rivestono rispettivamente un ruolo di limite e di specificazione del contenuto dell’imperativo categorico. La concezione dei bisogni umani reali è una concezione speciale del bene introdotta per garantire un contenuto alla legge morale, un bisogno che secondo Rawls, è proprio della ragione pratica pura. Questi bisogni infatti non devono essere considerati come inclinazioni o desideri particolari che proviamo nella vita quotidiana ma piuttosto beni fondanti la vita quotidiana stessa. Secondo Rawls qui emergerebbe il problema della determinazione della volontà, più specificatamente, si chiede come sia possibile che l’imperativo categorico determini la volontà dell’agire pratico. Si presenta in questo modo il problema della deduzione trascendentale della Critica della ragion pura, ovvero: se le categorie dell’intelletto, come ad esempio il concetto di causa, sono a priori e quindi indipendenti dall’esperienza, come possono applicarsi agli oggetti?

Per rispondere a ciò Rawls ricorre a un ulteriore accezione dell’a priori che caratterizza l’imperativo categorico. Infatti afferma che data la formulazione da parte dell’imperativo categorico delle richieste della ragione pratica pura, esso è a priori rispetto alla ragione pratica empirica. Come le categorie dell’intelletto specificano le condizioni a priori della possibilità dell’esperienza di oggetti, l’imperativo categorico e gli imperativi categorici particolari cui esso conduce impongono vincoli a priori sull’esercizio della ragione pratica empirica, dovendo le nostre massime risultare conformi alla procedura dell’imperativo categorico. Dunque i vincoli imposti sono sintetici a priori in due sensi:

prescrivono incondizionatamente una serie di azioni ad individui ragionevoli e razionali e sono imposti a tali persone senza che siano derivati dal concetto individuo ragionevole

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e razionale. Senza presupporre alcun fine particolare voluto dai desideri naturali, la procedura dell’imperativo categorico connette un’azione a ciò che una persona ragionevole e razionale dovrebbe fare, abbiamo così una proposizione pratica nella quale ciò che deve essere fatto non è derivato analiticamente da nessun fine specifico già presupposto, come invece accade nel caso degli imperativi ipotetici. Ciò che una persona dovrebbe fare in un caso particolare è determinato direttamente dalla procedura dell’imperativo categorico senza l’intermediazione di un qualche fine di desideri naturali specifici. L’intrinseca capacità della legge morale di motivare l’azione dell’agente, non lo fa in forza di un incentivo extra razionale, un fine esterno e indipendente dal singolo ma in forza dell’interesse della ragione pratica di esercitare la sua autorevolezza normativa.

A essere sintetiche a priori dunque sono solo la legge morale e la procedura dell’imperativo categorico, in quanto rappresentazione procedurale di questa legge per come si applica a noi. La procedura ricavata dalla struttura dell’imperativo categorico, oltre ad esprime l’operare corretto di un agente razionale, esprime anche l’esplicitazione concreta dei caratteri interni costitutivi dell’individuo, cioè la possibilità di autodeterminarsi autonomamente. La ragione pratica pura, rappresentata dalle tre formulazioni dell’imperativo categorico, costruisce autonomamente il proprio oggetto sulla base dei materiali che le vengono presentati dalle massime razionali. Si potrebbe anche affermare che la procedura dell’imperativo categorico è un dispositivo selettivo che accetta alcune massime, in quanto precetti generalizzati, e ne respinge altre a seconda che esse soddisfino o meno i criteri della ragione pratica che essa incorpora.

Un giudizio è quindi ragionevole e ben fondato se ottenuto seguendo correttamente la procedura corretta a partire da premesse vere; nella concezione kantiana del ragionamento morale, la rappresentazione procedurale è fornita dall’imperativo categorico che esprime i requisiti imposti alle massime dalla ragione pura pratica. La ragione è infatti pratica e al tempo stesso attiva, non è inerte e non applica all’azione principi colti esternamente da sé. In conclusione di questa breve e non esaustiva riflessione sugli elementi di funzione che contraddistinguono l’imperativo categorico, possiamo concludere che esso fornisce un metodo che, fondato all’interno dei singoli cittadini di una società democratica, consente di elaborare una risposta corretta ad un problema pratico reale. La disobbedienza

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civile esprime così una forma di dissenso rispetto allo status quo, ma rinvia alla possibilità di un accordo su principi la cui oggettività è fondata su una procedura razionale di costruzione.