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1 - I modelli

Attualmente sono disponibili software di simulazione affidabili e versatili per i processi di formatura del metallo, tali da divenire d’interesse per le aziende. Per prevedere con accuratezza e precisione gli eventi a cui sono soggetti prodotti e processi, l’uso di modelli capaci di valutare la risposta del materiale alla deformazione plastica è uno dei prerequisiti più critici.

Molti modelli sono stati oggetto di analisi ed è possibile classificarli secondo: - scala scelta nella descrizione del fenomeno.

A tal riguardo i modelli ricoprono dalla scala atomica alla macroscopica, come illustra la figura 1. Mentre i modelli su scala atomica sono ancora in via di sviluppo, i modelli policristallini (solitamente 1-103 μm) sono stati oggetto di ampie attività di ricerca in campo scientifico ed industriale e la loro applicazione nel progetto di intere catene di processo di processi manifatturieri sta divenendo sempre più diffusa.

Tuttavia, i modelli del continuo, che descrivono il comportamento del materiale su scala macroscopica, sono maggiormente utilizzati, specialmente in ambito industriale, grazie alla loro formulazione semplice, adatta all’implementazione in codici FEM. D’altro canto, essendo su scala macroscopica, non possono prendere in considerazione gli effetti relativi alla microstruttura sul comportamento del materiale

Figura 1 - Scala del fenomeno descritto [1]

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Si tratta quindi di distinguere i modelli tra modelli physical-based che sfruttano teorie scientifiche per predire il comportamento del materiale e tra modelli empirici, che si basano su osservazioni sperimentali condotte in laboratorio.

- aspetti del comportamento del materiale su cui si pone l’attenzione (figura 2).

I modelli orientati al materiale affrontano le caratteristiche intrinseche del materiale, invece che l’interazione del materiale con il processo.

I modelli orientati al processo, invece, sono modelli nei quali la descrizione della reazione del materiale è strettamente connessa alle condizioni di deformazione e di post-deformazione del processo manifatturiero.

Ed infine, i modelli possono essere orientati al prodotto; questi si concentrano sulle proprietà del materiale che devono venir misurate sul componente finale e che sono conseguenza di precedenti deformazioni plastiche nel ciclo manifatturiero.

Figura 2 - Tipologie di orientamento possibile per i modelli [1]

Ogni modello possiede proprie esigenze specifiche in termini di dati sperimentali necessari allo sviluppo ed alla convalida. Come nel caso del modello, i test possono venir classificati in relazione agli aspetti del comportamento del materiale a cui sono indirizzati:

- test orientati al materiale.

In questi test la risposta del materiale è solitamente misurata sotto specifiche condizioni di deformazione che non sono rappresentative del reale processo.

- test orientati al processo.

In tal caso, invece, le prove sono caratterizzate dall’uso di un provino di materiale che viene testato in condizioni termo-meccaniche molto vicine a quelle del processo reale. - test orientati al prodotto.

Si analizzano le proprietà del componente finito e questo limita l’interesse dei progettisti per questo tipo di test.

115 | I modelli per avere successo devono, inoltre, soddisfare certi requisiti che vengono ora analizzati.

I modelli devono avere capacità previsionale, ovvero devono essere in grado di replicare il fenomeno d’interesse. A tal fine devono possedere buona accuratezza (in termini di errore medio), buona consistenza (bassi valori della deviazione standard), caratteristiche di trasferibilità (quanto i dati simulabili sono riportabili nella realtà del processo in analisi) ed infine devono essere versatili (l’applicabilità della struttura del modello in diverse condizioni operative, cambiando, ad esempio, solo i coefficienti).

Secondo requisito sono i test ed i calcoli necessari all’identificazione dei coefficienti. Si richiede quindi la disponibilità di attrezzature idonee o di dati affidabili, si ha infatti che l’uso errato di dati è la principale causa di errori. Il modello è di successo, cioè, se le prove necessarie alla realizzazione di quel modello sono sufficientemente semplici da realizzare, poco costose e non richiedono tempi eccessivi.

I modelli disponibili sono di due categorie: microstrutturali e reologici.

I modelli microstrutturali sono modelli che al variare dei parametri di processo forniscono valori legati all’aspetto microscopico del materiale, quale la dimensione dei grani. Correlano cioè la microstruttura del materiale ai parametri della deformazione prima e durante la deformazione stessa. Sono modelli semplici, ma necessitano di prove lunghe e costose; si richiedono infatti due campagne di prove differenti, meccaniche e metallografiche.

I modelli reologici descrivono il comportamento durante la deformazione in termini del valore della tensione di flusso. Si individuano tre diverse categorie di modelli reologici:

- modelli analitici-empirici - modelli basati su fenomeni fisici - modelli empirici-non analitici

I modelli analitici-empirici sono modelli poco versatili, proprio a causa della loro natura empirica: non descrivono infatti un fenomeno, bensì a forma. Un modello appartenente a tale categoria è il modello di Hansel-Spittel, che viene analizzato nel paragrafo 2. Vantaggi principali di questa classe di modelli è la semplicità di determinazione dei coefficienti necessari (questi vengono determinati sulla base di un’operazione di fittng con i dati sperimentali), la facilità di implementazione nei software FEM, la richiesta non eccessiva di test (si richiedono solo parametri macroscopici)

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I modelli basati su fenomeni fisici forniscono la tensione di flusso come funzione delle variabili interne. Tale categoria di modello possiede una eccellente capacità previsionale, una buona versatilità. Da contro, richiede un’estesa campagna prove (comprese analisi metallografiche), non è di facile implementazione nei FEM e richiede una dettagliata conoscenza scientifica, che ne preclude l’utilizzo da parte delle industrie.

I modelli empirici non analitici, infine, sfruttano le reti neurali, ovvero un sistema matematico che tenta di replicare il funzionamento del cervello umano. Si immagini, ad esempio, di voler descrivere la tensione di flusso in funzione di ε, e T. Il cervello umano impara dalle situazioni in cui opera e, la successiva volta in cui si trova in una condizione analoga, reagisce sulla base di quanto ha appreso.

Le reti neurali lavorano sulla base dello stesso principio: si espone il sistema rete neurale alle risposte della tensione di flusso in funzione dei parametri di processo, in mofo che possa imparare la correlazione esistente. Terminata tale prima fase, denominata fase di training, il sistema è in grado di lavorare in autonomia.