• Non ci sono risultati.

Capitolo 2 : Il rischio Credito: una disamina della modellistica d

2.2 Modelli a Forma Ridotta

Il tentativo di eliminare i suddetti punti deboli dei modelli strutturali ha dato luogo a modelli a forma ridotta. Questi comprendono Litterman e Iben (1991), Madan e Unal (1995), Jarroe e Turnbull (1995).

Al contrario dei modelli strutturali, i modelli a forma ridotta non mettono in relazione l’insolvenza con il valore dell’azienda, e non occorre valutare i parametri correlati al valore dell’impresa per metterli in pratica. Oltre a questo, i modelli a forma ridotta introducono assunti specifici e distinti sia sulla dinamica del PD che dell’RR73. Queste variabili vengono definite

indipendentemente dalle caratteristiche strutturali dell’impresa dalla volatilità del suo attivo e dall’effetto leva. In termini generali, i modelli a forma ridotta ipotizzano un RR esogeno che è indipendente dal PD. Più precisamente, i

72 Geske R. (1977) The valuation of corporate liabilities as compound options. Journal of

Financial and Quantitative Analysis, 12:541–552.

73Costa M. (2001) Metodi statistici nell’analisi di variabili finanziarie. Indicatori descrittivi

58

modelli a forma ridotta prendono come punto di partenza il comportamento dei tassi di interesse non a rischio di insolvenza, l’RR delle obbligazioni a rischio di insolvenza al momento dell’insolvenza, nonché un processo stocastico per l’intensità dell’insolvenza. In ogni momento, vi è una qualche probabilità che una impresa sia inadempiente rispetto ai propri obblighi. Sia la suddetta probabilità, sia l’RR in caso di insolvenza possono variare stocasticamente nel tempo. Tali processi stocastici determinano il prezzo del rischio di credito. Sebbene questi processi non siano apparentemente legati al valore dell’attivo dell’impresa, vi è presumibilemente una qualche relazione latente. Duffie e Singleton (1999) definiscono quindi tali approcci alternativi come modelli a forma ridotta.

I modelli a forma ridotta differiscono essenzialmente dai modelli strutturali nel grado di prevedibilità dell’insolvenza, in quanto possono tenere conto di insolvenze improvvise. Un tipico modello a forma ridotta ipotizza che una variabile casuale esogena determini l’insolvenza e che il PD in un qualsiasi intervallo di tempo sia diverso da zero. L’insolvenza si verifica quando la variabile casuale subisce un cambiamento discreto nel proprio valore.Questi modelli trattano le insolvenze come eventi di Poisson imprevedibili. Il momento nel quale avverrà il cambiamento discreto non può essere previsto sulla base delle informazioni disponibili74.

I modelli a forma ridotta differiscono per il modo in cui viene parametrizzato l’RR. Ad esempio Jarrow e Turnbull (1995) ipotizzano che al momento dell’insolvenza, un obbligazione abbia un valore di mercato equivalente a una frazione determianta in modo esogeno di una obbligazione non a rischio insolvenza altrimenti equivalente. Duffie e Singleton (1999) hanno proseguito con un modello che, qunado il valore di mercato al momento dell’insolvenza (ossia l’RR) viene determianto in modo esogeno , tiene conto di soluzioni a forma chiusa per la struttura dei margini di credito. Il loro modello tiene anche conto di un RR casuale che dipende dal valore che l’obbligazione aveva prima dell’insolvenza. Sebbene questo modello ipotizzi

59

un processo esogeno per la perdita attesa al momento dell’insolvenza, ovvero che l’RR non dipenda dal valore della sopravvenienza a rischio di insolvenza, esso tiene conto della relazione tra il processo legato al rischio di insolvenza e l’RR. Infatti, in questo modello sia il comportamento del PD che quello dell’RR possono dipendere da variabili specifiche dell’azienda o macroeconomiche che devono pertanto essere messe in relazione tra loro75.

Altri modelli ipotizzano che obbligazioni dello stesso emittente, anzianità e valore nominale abbiano lo stesso RR al momento dell’insolvenza, indipendentemente dalla durata rimanente dell’obbligazione. Ad esempio, Duffie (1998) ipotizza che al momento dell’insolvenza il detentore di una obbligazione avente un determinato valore nominale riceva un pagamento fisso, indipendentemente dal tasso di interesse o dalla scadenza, e la stessa frazione del valore nominale di una qualsiasi altra obbligazione avente la stessa anzianità76. Ciò consente di utilizzare i parametri di recupero basati

sulle statistiche fornite da agenzie di rating quali Moody’s. Jarrow et.al (1997) tengono conto anche di diverse anzianità del debito per tradurle in RR differenti per una determinata azienda. Sia Lando (1998) che Jarrow et al. (1997) utilizzano matrici di transizione per quantificare le obbligazioni a rischio di insolvenza.

Le analisi empiriche riguardanti i modelli a forma ridotta sono piuttosto limitate. Utilizzando il modello di Duffie e Singleton (1999), Duffee (1999) scopre che questi modelli hanno difficoltà nella spiegazione della struttura osservata dei margini di credito per aziende aventi qualità di rischio di credito differenti. In particolare tali modelli presentano difficoltà generando dei differenziali di rendimento relativamente piatti quando le imprese hanno un basso rischio di credito e differenziali di rendimento maggiori quando le imprese hanno un rischio di credito più elevato77.

75 L. V. Carty e D. Lieberman. (1997) Historical default rates of corporate bond issuers, 1920-

1996. Moody’s Global Credit Research.

76 A. Di Clemente e C. Romano (2004) Measuring and optimizing portfolio credit risk: a

copula-based approach. Economic Notes, 33:325–357.

77 J. Franks e W. Torous. (1994) A comparison of financial recontracting in distressed

60

Un recente tentativo di unire i vantaggi dei modelli strutturali e quelli dei modelli a forma ridotta si può ritrovare in Zhou (2001). Questo viene effettuato definendo l’evoluzione del valore dell’impresa come un processo jump diffusion. Tale modello mette in relazione gli RR con il valore dell’impresa al momento dell’insolvenza, di modo che la variazione degli RR si genera in maniera endogena e si giustifica la relazione tra gli RR e le posizioni finanziarie riportata in Altman (1989) e Gupton et al. (2000).

Documenti correlati