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Modello “Air-liquid interface”

Capitolo 4 – Discussione e Conclusioni

4.2 Modello “Air-liquid interface”

I casi coltivati con il metodo “air-liquid interface” non hanno riportato gli stessi risultati positivi riscontrati con i campioni del modello “submerged”. Non sono state riscontrate le caratteristiche tipiche di una cute sana per tutta la durata della coltura, ma a partire dal D7 è stata osservata la presenza di numerose cellule rigonfie con nucleo picnotico, dal D10 iperparacheratosi e degenerazione dei follicoli piliferi. La distruzione della lamina basale

(Kataranovski et al., 1999), l’aumento di volume cellulare e la picnosi possono

indicare la presenza di necrosi tissutale (McGavin et al., 2008; Scott et al., 2001), l’iperparacheratosi indica una alterazione della normale differenziazione terminale dei cheratinociti (Lu et al., 2007). I follicoli piliferi sono degenerati, la presenza di cellule rigonfie, con nucleo picnotico, che hanno perso l’adesione con le cellule vicine sono indice di necrosi (McGavin et al., 2008). In studi effettuati con il metodo “submerged” su cute di uomo i follicoli piliferi avevano mostrato un assottigliamento a livello dell’epitelio, suggerendo una progressiva atrofia epiteliale con la durata della coltivazione, con la presenza crescente di cellule apoptotiche (Lu et al., 2007). In questo caso il follicolo non si è assottigliato ma si è praticamente distrutto, la necrosi è stata l’avvenimento predominante piuttosto che l’apoptosi.

condizione riscontrata in vivo. È quindi molto importante sperimentare un modello che garantisca una durata di coltura di 14 giorni, come è stato ottenuto nel caso del “submerged”. Per poter ottenere ciò è certamente necessario apportare delle modifiche nel metodo di coltura, a partire dai materiali e metodi utilizzati. Come precedentemente descritto, in questo studio i fori in cui sono state alloggiate le biopsie sono stati effettuati manualmente. In questo modo le biopsie sono poste in un sito che ha delle dimensioni non perfettamente adatte ad esse: questo determina una compressione della biopsia stessa che potrebbe alterare i risultati della coltura, determinando probabilmente un’alterazione della diffusione dei composti del terreno a livello tissutale, oltre che una lesione diretta dei tessuti nella zona in cui è esercitata la compressione.

In uno studio del 2016 è stata allestita una coltura d’organo di cute umana con la tecnica dell’”air-liquid interface”. Le caratteristiche generali dell’esperimento erano molto simili a quelle della tecnica riportata nei nostri esperimenti, ma erano comunque presenti delle importanti modifiche: ciascuna biopsia, del diametro di 6mm, era alloggiata su un supporto specifico di 6,5mm rimanendo, in questo modo, comunque in situ senza subire compressioni, garantendo l’immersione del derma nel mezzo di coltura e l’esposizione dell’epidermide all’aria. Un’altra modifica riportata nello studio citato riguarda la composizione del terreno di coltura che, sebbene “serum- free”, prevede che il Williams’ E medium venga addizionato, oltre che con penicillina, streptomicina, L-glutamina e idrocortisone, anche con una soluzione di aminoacidi non essenziali e con l’ITS+3 (insulina-transferrina- selenite di sodio). La coltura è stata mantenuta per 10 giorni e i risultati riportati sono stati positivi: i dati istologici hanno mostrato che le biopsie mantengono la loro struttura e integrità per l’intero periodo di coltura

(Sidgwick et al., 2016).

Diversi studi hanno dimostrato l’importanza dell’utilizzo degli aminoacidi non essenziali nei mezzi di coltura: essi derivano dal glucosio e dalla glutamina (Eagle 1959), fonti importanti di energia. Un’aggiunta di questi aminoacidi,

quindi, ridurrebbe la quantità di glucosio e glutamina utilizzate dalle cellule le quali produrrebbero, a loro volta, una quantità minore di cataboliti che potrebbero alterare la loro stessa crescita e sopravvivenza.

Anche l’insulina e la transferrina sono considerati tra i fattori più importanti ai fini della crescita cellulare, come pure il selenio, dalle capacità antiossidanti (Bottenstein et al., 1979).

L’aggiunta di questi elementi risulta essere un ulteriore passo da compiere per la costituzione di un modello “air-liquid interface” che permetta di studiare gli effetti ed i meccanismi di azione di farmaci e cosmetici, ma anche, potendo utilizzare biopsie prelevabili potenzialmente da diverse condizioni, di poter osservare il processo di guarigione delle ferite, la fibrosi ed altre malattie della cute (Sidgwick et al., 2016).

4.3 Prova di danneggiamento della barriera cutanea in modello di

coltivazione “air-liquid interface”

Come già esposto in precedenza, non è ancora del tutto chiaro il ruolo della barriera cutanea in corso di dermatite atopica. In medicina umana si sta riconsiderando l’ipotesi che questa patologia sia primariamente dovuta ad un’alterazione di tipo immunologico (“inside/outside”), passando ad una teoria che considera tra le cause primarie anche un danneggiamento della barriera cutanea (“outside/inside”) (Elias et al., 2008). La stessa cosa sta avvenendo in ambito veterinario, in particolare nel cane. Studi recenti hanno permesso di ipotizzare che un difetto di barriera sia in grado di aumentare il rischio di una sensibilizzazione allergica e lo sviluppo di una risposta immunologica abnorme in individui geneticamente predisposti alla dermatite atopica (Marsella et al., 2010).

questo scopo. Ricreare ex vivo una cute che presenta un danneggiamento della barriera è un passo utile se non necessario.

Dal punto di vista morfologico, i casi non scarificati hanno presentato prevalentemente le caratteristiche di una cute sana, a parte qualche caso isolato di apoptosi. Questo ha permesso di identificare nella scarificazione la causa dei danni rilevati nelle biopsie trattate con il bisturi. La presenza della disepitelizzazione già al D1 indica che il tentativo di danneggiamento dello strato corneo non sembra essere andato a buon fine. La scarificazione ha determinato infatti un danno all’intera epidermide e non al solo strato corneo, come ci si aspettava.

Questo risultato spinge a considerare metodi alternativi di danneggiamento della barriera cutanea.

In diversi studi è stata indotta l’alterazione della barriera cutanea ricorrendo a vari metodi.

Metodo “tape stripping”. In un recente articolo è stata testata l’ipotesi che un

difetto di barriera determinato sperimentalmente favorisse lo sviluppo di una sensibilizzazione atopica.

Sono stati studiati dei parametri immunologici (valutando l’attivazione allergene specifica dei linfociti T, i livelli sierici delle IgE allergene-specifiche ed effettuando il test intradermico, o IDT, per verificare l’attività mastocitaria) dopo aver applicato sulla cute l’allergene di Dermatophagoides farinae, il comune acaro della polvere. L’applicazione è stata effettuata su cani atopici appartenenti alla razza Maltese-Beagle (razza che presenta una spontanea ipersensibilità agli allergeni del cibo e a sviluppare sintomi della dermatite atopica in seguito a stimolazione con allergeni) in siti dove lo strato corneo era stato rimosso attraverso il metodo del “tape stripping”, ovvero applicando del nastro adesivo sulla parte di cute interessata per poi rimuoverlo, ripetendo il procedimento per un numero definito di volte. I cani coinvolti sono stati 10, divisi successivamente in 2 gruppi da 5 soggetti ciascuno: in un gruppo è stato eseguito il “tape stripping” per 10 volte (gruppo TS) prima dell’applicazione

dell’allergene, nell’altro (gruppo NTS) è stato effettuato solo quest’ultimo passaggio. La sensibilizzazione è stata effettuata per due mesi, una volta a settimana. Dopo di che, circa quattro settimane dopo la fine di questo procedimento, è stato somministrato un ulteriore booster di allergeni. Dai risultati è stata evidente la differenza tra i soggetti che avevano subito la rimozione dello strato corneo e tra quelli con la cute integra: in entrambi i gruppi la titolazione sierica di IgE non è aumentata prima della sensibilizzazione avvenuta con l’allergene, mentre ha superato la soglia di positività dopo il trattamento con Dermatophagoides farinae. Inoltre, comparando i due gruppi, in quello TS questo è avvenuto prima, e ad ogni prelievo (effettuati al mese 1, 2 e 3) presentava livelli di immunoglobulina maggiori rispetto il gruppo NTS. Il gruppo TS ha mostrato anche un aumento precoce ed un’alta percentuale di Linfociti T CD4+ allergene specifici. Infine, l’IDT, effettuato prima della sensibilizzazione e alla fine dell’esperimento, ha mostrato una reazione negativa in entrambi i gruppi nei soggetti non ancora sensibilizzati, mentre, nel secondo test, il gruppo TS ha presentato un numero di casi con una reazione positiva immediata al test molto più accentuata rispetto quelli verificatisi nel NTS. Ciò ha confermato l’ipotesi che lo strato corneo ha un ruolo importante nel limitare la sensibilizzazione agli allergeni esogeni (Olivry et al., 2010).

Trattamento con acetone. In un altro esperimento è stato dimostrato che

l’acetone determina un’alterazione della barriera, dovuta principalmente alla rimozione dei corneociti. Lo scopo dello studio era stabilire un metodo che determinasse una distruzione della barriera, in modo da studiare i meccanismi di guarigione di quest’ultima dopo l’applicazione topica di farmaci. Successivamente al trattamento con acetone è stata esaminata l’entità della distruzione della barriera misurando la TEWL, la composizione lipidica, l’organizzazione dei lipidi e la morfologia. È stato inoltre effettuato un confronto delle caratteristiche morfologiche e della TEWL con quelle di cute

L’esperimento è stato eseguito su dei topi nudi maschi, divisi in 2 gruppi: in uno è stato effettuato un trattamento con un tampone imbevuto di acetone che è stato strofinato su un lato del dorso degli animali per circa 10 volte, mentre l’altro lato del dorso non è stato trattato; sull’altro gruppo è stato effettuato il “tape stripping” per 7 volte. Successivamente ai trattamenti gli animali sono stati sacrificati e sono state ottenute delle biopsie cutanee. Osservando la TEWL, i due metodi di distruzione della barriera hanno dato risultati simili, con un periodo di guarigione di 3 giorni. Dal punto di vista morfologico entrambi i trattamenti hanno determinato una riduzione del numero di strati dello strato corneo rispetto la cute non trattata. Non è stata riscontrata alcuna alterazione della distribuzione dei lipidi all’interno dello strato corneo e nessun cambiamento nella composizione dei lipidi di barriera.

L’organizzazione lipidica è rimasta simile prima e dopo il trattamento con acetone. Questi dati indicano che l’aumento della TEWL può essere spiegata dalla rimozione dei corneociti. Eppure sarebbe comunque preferibile ricorrere al metodo del “tape stripping”, in quanto l’attuazione del metodo con acetone ha molte variabili in più: ad esempio il tipo di tampone usato o la forza impiegata per sfregarlo sulla cute (Rissman et al., 2009).

Trattamento con laurilsolfato di sodio. Il laurilsolfato di sodio è un

ingrediente molto usato nei saponi e nei detergenti per la pelle ma è anche una sostanza che induce il danneggiamento della barriera cutanea. In uno studio effettuato sull’uomo, è stato esaminato l’espressione dell’mRNA di markers di differenziazione dei cheratinociti (involucrina, transglutaminasi 1 e filaggrina) e di due enzimi coinvolti nei processi di desquamazione, la callicreina-7 (KLK-7) e la callicreina-5 (KLK-5), durante la fase di riparazione della barriera, successivamente all’esposizione di 11 volontari sani adulti (5 maschi e 6 femmine) ad una soluzione di SLS all’1%. Sono stati riscontrati dei cambiamenti circa l’espressione dell’mRNA dei marker di differenziazione dei cheratinociti dopo il trattamento con SLS, infatti questo ha determinato un aumento dei livelli di involucrina, transglutaminasi 1 e filaggrina, dimostrando il verificarsi di un processo riparativo. È stata osservata anche una riduzione

dell’espressione dell’mRNA di KLK-5 e KLK-7 e dell’espressione proteica del KLK-5. Ricerche precedenti avevano riportato un danno alla barriera con il metodo del “tape stripping” in dei topi nudi. Dopo il trattamento si è riscontrata una riduzione di KLK-5 e KLK-7, avvenuta probabilmente per facilitare la guarigione della barriera (Hachem et al., 2006). Quindi, lo studio ha dimostrato che anche l’applicazione di SLS determina alterazioni a livello della barriera cutanea (Törmä et al., 2008).

4.4 Conclusioni

I modelli sperimentali mostrati nel presente studio hanno mostrato dei limiti, e quindi ampi margini di miglioramento, ma anche potenzialità applicative degne di nota. Entrambi i modelli, una volta validati con composti farmacologici di noto effetto e meccanismo d’azione, potranno essere utilizzati per la comprensione degli effetti di nuovi farmaci nel campo delle malattie allergiche e della riparazione tissutale. Nonostante il modello “air-liquid interface” e la prova di danneggiamento della barriera abbiano bisogno di ulteriori modifiche del processo sperimentale, è possibile prevederne un utilizzo nel test di composti a somministrazione topica.

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