• Non ci sono risultati.

Il modello Mediterraneo dell’immigrazione: un tentativo di classificazione degli strumenti di controllo.

GOVERNO GLOBALE DEL FENOMENO?

3.1 Il modello Mediterraneo dell’immigrazione: un tentativo di classificazione degli strumenti di controllo.

Con la nascita dell’Unione europea, l’ambito delle politiche comuni e l’esigenza di creare un modello mediterraneo di gestione dell’immigrazione, come ampiamente illustrato nel capitolo precedente, si accresce sia in qualità che in quantità, ragion per cui sempre più le decisioni assunte nelle sedi comunitarie influenzano la vita quotidiana dei cittadini europei.

L’ipotesi di modello mediterraneo dell’immigrazione, in particolare, nasce con riferimento alle caratteristiche migratorie abbastanza omogenee riscontrate in Italia,Grecia, Portogallo e Spagna.

Invero, molteplici fattori di ordine demografico, politico, sociale ed economico, nonché geografico, hanno contribuito alla trasformazione dell’Europa mediterranea da area caratteristica di emigrazione ad area di crescente immigrazione.

Nonostante il fenomeno migratorio abbia assunto ed assuma una dimensione sovranazionale, nel diritto comunitario, tuttavia, l’immigrato non è titolare di diritti ben definiti, poiché desumibili solo “per relationem” dalle Convenzioni internazionali e dagli accordi bilaterali di portata giuridica vincolante: per tali motivi, il migrante ad oggi non gode di una definizione europea sotto il profilo giuridico e sociologico stabile ed unanime, atteso che le norme che regolano gli ingressi, la permanenza, l’accesso al lavoro, i diritti sociali e civili dei

cittadini extracomunitari, l’integrazione sociale e la lotta alla discriminazione restano saldamente “ancorati” alla competenza degli Stati membri, con sensibili variazioni tra nazione a nazione119.

Invero, da un’attenta analisi comparativa delle normative interne europee, emerge che gli stessi concetti di immigrato, straniero, regolare, irregolare, clandestino, profugo e rifugiato acquisiscono una valenza giuridica diversa e presuppongono condizioni soggettive tipiche differenti a seconda del Paese europeo esaminato, in ragione dell’adozione di politiche orientate ora all’inclusione, ora all’esclusione, e talvolta, all’universalismo o alla selettività120.

Prova ne sia che la massima convergenza e tra gli stati membri è stata attualmente raggiunta dai paesi dall’UE in tema di coordinamento legislativo per la regolazione e concessione dei visti, l’armonizzazione dei documenti di viaggio e le procedure per il trattamento dei richiedenti asilo (ad esempio, ponendo il divieto di ripresentare domande per l’ottenimento dello status di rifugiato, già rigettate da un altro Paese UE), distinguendo nettamente tra le richieste dei rifugiati o sedicenti tali, ed i ricongiungimenti familiari.

       

119

Proposte mirate per una strategia comune volta all’ armonizzazione giuridica comunitaria sui temi dell’occupazione, integrazione sociale e lotta alla discriminazione sono state oggetto di molteplici Comunicazioni della Commissione europea indirizzate al Consiglio ed al Parlamento europeo già a partire dal 1999. In particolare, nel Novembre 1999, la Commissione predispose un pacchetto di proposte specifiche per la lotta alla discriminazione poi approvate nel 2000 dal Consiglio europeo con l’adozione di una peculiare direttiva nell’ambito dell’occupazione, della formazione, della protezione sociale dell’istruzione e della fornitura di beni e servizi in favore dei migranti. Da segnalare, in particolare, l’approvazione nel 2001, da parte del Consiglio, di nuove azioni di tutela sociale, più incisive ed efficaci mediante l’attuazione del programma “Equal”.

120

M. Marenco, “La sfida della politica europea nel bacino del Mediterraneo, in “Direonline”, n. 27, 2004, disponibile su www.direonline.it.

Ciò permette una discrezionalità ampia sulla leva migratoria in tema di ingressi e di permanenza nell’UE, che si innesta su sistemi giuridici complessi che di volta in volta, favoriscono, bloccano, selezionano ed intervengono sui flussi migratori in modo differente: al riguardo, il dato certo è che in tutta Europa l’attuale orientamento politico oggi perseguito in tema di migrazioni internazionali, è il cosiddetto “back door policy”, volto a restringere i flussi migratori, ridurre gli incentivi e mantenere la temporaneità delle migrazioni.

Invero, tale orientamento era già stato esposto dalla Commissione europea nell’ambito dell’ ”Aggiornamento del quadro di controllo per l’esame dei progressi compiuti nella creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’UE” del 2001-2002, sede in cui l’organismo suddetto relaziona circa i progressi compiuti dagli stati membri in tema di politica migratoria comune e di coordinamento normativo121.

Pertanto, in sede UE, gli stati membri sono attualmente impegnati nel perseguimento di politiche comuni, tese alla conservazione di spazi ampi di discrezionalità politica mediante il raggiungimento di macro obiettivi generali che possono così riassumersi: gestione dei flussi migratori; ammissione dei migranti per motivi economici; partenariati con i Paesi di origine; integrazione dei cittadini dei Paesi terzi.

Relativamente al primo macro obiettivo, gli orientamenti sono tre: elaborare un’impostazione coordinata per la gestione

       

121

A.E. Carbone, “Le politiche migratorie in Europa. I quindici alla ricerca di un

dell’immigrazione a livello nazionale; migliorare la diffusione delle informazioni sulle possibilità legali di ingresso nell’UE e sulle conseguenze dell’utilizzo dei canali clandestini; rafforzare la lotta contro gli immigrati clandestini e la tratta degli esseri umani.

Per quanto concerne gli altri macro obiettivi perseguiti, i Paesi membri dell’UE si impegnano ad adottare procedure coerenti e trasparenti per l’apertura del mercato del lavoro ai cittadini terzi nell’ambito della strategia europea dell’occupazione, collaborando con i Paesi di origine attraverso accordi mirati all’integrazione socio- culturale dei lavoratori stranieri.

Sin qui il quadro “de jure condendo” prospettato: in questa ottica, appare quindi, ancora presente e sentita da parte degli Stati membri la necessità di conservare un’amplissima discrezionalità sulle dinamiche migratorie, senza ostracismi di sorta, ma con l’intento dichiarato di selezionare e bloccare i flussi, secondo un’espressione calzante, “non necessari e non benvenuti”122.

A tal fine, le strategie migratorie europee oggi perseguite sono tese a ridurre al minimo le titolarità all’entrata123 ed a mantenere i flussi migratori all’interno di canali che riducano il più possibile la generazione successiva dei diritti, facendo ricorso a meccanismi generali quali la politica dei visti, il coinvolgimento dei vettori nel

       

122

A. Zolberg, “Wanted but not welcome: Alien labor in Western development”, in W. Alonso “Population in an Interacting World”, Cambridge, MA: Harvard University Press, rinvenibile in G. Sciortino, “L’ambizione della frontiera”, op. cit., p. 100.

123

Sul punto si veda G. Bolaffi, “Una politica per gli immigrati”, Bologna, il Mulino, 1996, il quale riconduce l’intera politica di gestione dei flussi migratori ai soli controlli esterni volti a determinare l’ampiezza degli ingressi.

controllo dei documenti di viaggio e le normative che ristrutturano il sistema delle cittadinanze delle popolazioni ex coloniali.

Altre tecniche utilizzate prevedono la forte riduzione della migrazione “atomica”, rendendo più difficile la regolarizzazione “ex post” degli irregolari, nonché pianificando i canali del ricongiungimento familiare e dell’asilo politico e determinando limiti temporali stringenti e perentori, per scoraggiare il ricorso alla magistratura ed alle autorità indipendenti, durante il periodo di fermo124.

Da quanto esposto, ai fini della successiva disamina delle normative internazionali e nazionali che disciplinano le migrazioni internazionali, urge operare quindi, una classificazione sistematica ed organica delle politiche di controllo migratorio: al riguardo, la migliore dottrina con Vogel125, Brochmann e Hammar126 e il Monar127, ha inteso praticare una prima distinzione generale tra controlli interni ed esterni, con una separazione tra le varie fasi del processo migratorio di gestione e selezione delle dinamiche migratorie.

Nel primo caso, la concessione di un visto ovvero gli accordi di riammissione rappresentano tipici esempi di intervento sul controllo

       

124

Tali misure determinano una notevole alterazione delle condizioni di vita dello straniero nel periodo del processo e della verifica delle condizioni di ingresso: basti pensare al divieto di accesso al lavoro,alle restrizioni spaziali, all’ obbligo di residenza in una certa area, alla riduzione dell’assistenza.

125

D. Vogel, “Migration Control in Germany and the United States” in “International

Migration Review” n. 34, 2000, pp.390-422.

126

G. Brochmann e T. Hammar ( a cura di), “Mechanisms of Immigration control”, Oxford, Berg, 1999.

127

J. Monar, “Comprehensive Migration Policy: The main elements and options”, pp. 51- 78, in K. Hailbronner, D. Martin and H. Motomura, “Immigration Admission. The search

esterno, al contrario un permesso di soggiorno o un decreto di espulsione costituiscono modalità di intervento interno.

Se negli anni ’70, per come illustrato, la politica del blocco migratorio si fondava sull’adozione di controlli interni volti a regolamentare l’accesso al mercato del lavoro ed a minimizzare le tensioni sociali, al contrario, le attuali politiche di blocco e gestione delle correnti migratorie vedono la centralità dei sistemi di controllo esterno, operanti prima o durante il passaggio della frontiera, per due ordini di motivi: il primo è certamente legato all’esigenza dello Stato di “difendersi” da correnti migratorie improvvise e massicce, anche per ragioni di ordine pubblico interno e di contrasto all’immigrazione clandestina; la seconda ragione è da ricercarsi nel fatto che in prossimità delle frontiere ed in sede di difesa della propria territorialità, le norme derivanti dall’ “embedded liberalism” poste a garanzia dei diritti degli stranieri subiscono un inevitabile affievolimento128.

Al riguardo, alcuni autorevoli studiosi parlano di due visioni e filosofie contrapposte: un regime normativo “intra-europeo”, volto alla tutela dei diritti umani universali all’interno dello Stato ed un regime restrittivo esterno, teso a garantire la sicurezza interna degli Stati129.

       

128

C. Joppke, ”The domestic Legal sources of Immigrants Rights: The United States,

Germany and The European Union”, Firenze, EUI, working paper SPS n. 99/3, 1999.

129

C. Joppke,”Immigration Challenge to Nation State Immigration in Western Europe

and United States”, Oxford University Press, Inc. New York, 1998, p.21, in cui lo

studioso, all’uopo, osserva: “Both European migrations regimes are dominated by

Un secondo modo di classificare i meccanismi di controllo, pienamente compatibile con il primo, li differenzia a seconda della fase del processo migratorio sul quale mirano ad intervenire: il Vogel130 distingue gli strumenti di controllo migratorio in quattro categorie: strumenti che operano prima, al momento e durante la permanenza e strumenti che operano al momento dell’uscita; Brochmann e Hammar distinguono, invece, ben cinque categorie: gli strumenti di controllo del potenziale migratorio, delle dimensioni e della distribuzione del flusso e delle frontiere( controlli di tipo “esterno”), nonché strumenti di controllo operanti durante la permanenza del migrante distinti a loro volta in misure di controllo sulla residenza e sul mercato del lavoro, e strumenti di controllo operanti sulle uscite.

Gli strumenti sul potenziale migratorio mirano a creare, o a ridurre o a espandere i flussi a secondo delle esigenze dello Stato: all’uopo, si ricordano gli accordi internazionali di tipo espansivo o restrittivo, nonché i progetti di politica estera volti a creare sviluppo e compiere operazioni di pacificazione nei Paesi soggetti a forte rischio di migrazione (cosiddetto “root cause approach”); gli strumenti che riguardano le dimensione, la composizione e la distribuzione dei flussi, ossia i meccanismi volti a regolamentare i canali d’ingresso, l’introduzione di quote o di contingente, la politica dei visti; gli

      

under the signs of universal human rights: In its confortable view from Brussels the secretive Trevi, Dublin, and Schengen efforts of external border fortification appears as a disgusting relapse into a bygone era of sovereign states. Indeed, the inter-european regime stands under the opposite sign of internal security”.

130

strumenti legati al controllo della frontiera atti sia a prevenire l’immigrazione clandestina con pattugliamenti (denominati “illegality prevention”), che ad impedire l’accesso ad una posizione regolare da parte di persone non aventi le caratteristiche richieste (denominati “eligibility check”).

Queste tre categorie di misure rappresentano l’insieme degli controlli “esterni”131; dopo l’ingresso nel territorio nazionale, il migrante diviene, invece, soggetto a controlli interni in ragione delle condizioni stabilite per l’ingresso del migrante e la sua permanenza, determinati dal permesso di soggiorno che ne vincola i tempi e le modalità di e permanenza132 e dal permesso (o l’autorizzazione) di lavoro, che ne dispone l’accesso al mercato del lavoro, al fine di evitarne la concorrenzialità reale o temuta, con i lavoratori autoctoni.

Appartiene, infine, a quest’ultima categoria, anche gli strumenti sanzionatori volti a scoraggiare l’impiego di lavoratori irregolari o l’impiego irregolare di lavoratori regolari.

Per quanto concerne gli strumenti di controllo per l’uscita del migrante dal territorio nazionale, infine, si ricordano le misure volta all’allontanamento coatto dello straniero irregolare o clandestino, nonché quelle generalmente di tipo sovranazionale, che prevedono il

       

131

M. Anderson, “Contrôles : frontières, identités. Les enjeux autour de l’immigration et

del’asile “, in “Cultures et Conflits, n.26-27”, estate-autunno 1997. Anderson, nel suo

studio sulle frontiere europee, sostiene che l’apertura delle frontiere interne e la relativa chiusura di quelle esterne contribuisce alla costruzione di uno spazio comune e ad un’interpretazione sociale e politica comune all’interno dei paesi dell’Unione.

132

Il permesso di soggiorno non solo in alcuni Stati, vincola la stessa mobilità geografica dello straniero, per quanto con l’apparato sanzionatorio predisposto, impone tempi e modalità di rinnovo e comporta in caso di violazioni, accertamenti ed espulsioni mirate.

rimpatrio volontario dei migranti mediante la previsione di contributi finanziari, il trattamento preferenziale in caso di ulteriori ingressi, la possibilità di godere nel Paese di origine dei benefici maturati lavorando nel Paese di destinazione migratoria.

Dal contemperamento dei suesposti strumenti giuridici che disciplinano le misure tese al controllo e alla gestione dei flussi migratori con l’impianto valoriale rappresentato dai principi consacrati nelle Convenzioni internazionali a tutela dei diritti inviolabili del migrante, scaturiscono gli ordinamenti giuridici nazionali su cui si fondano i Paesi più rappresentativi dell’UE, i quali da un lato mirano alla valorizzazione delle risorse umane offerte dai flussi migratori, ma dall’altro, non smettono di vigilare accuratamente sulla governabilità e gestione di tipo discrezionale sull’entità e sulla qualità dei flussi migratori, mediante l’emanazione di normative e legislazioni “speciali”, sempre più efficaci e restrittive.

3.2 La tutela internazionale dell’emigrazione, della sicurezza