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Modernità e ideologia nell’esperienza di viaggio di Onorina Passerini Bargagli Petrucci

Il viaggio delle donne nell’Africa coloniale italiana, tra conferma e trasformazione di sé

2 Modernità e ideologia nell’esperienza di viaggio di Onorina Passerini Bargagli Petrucci

Figlia del conte Passerini, Onorina si presenta nelle vesti non solo di testi-mone, ma anche di portavoce del discorso del regime fascista in colonia. Come scrive Elvira Diana,

Leggere oggi il diario di Onorina lascia alquanto perplessi, a volte sgo-menti. [...] È indubbio che l’opera vada contestualizzata nel suo partico-lare periodo storico: il suo diario di viaggio si inserisce in pieno in quel

4  «Ma di ‘dimenticato’ qualcuno ce n’era: e col volger degli eventi, sarebbero stati i più, perché anche l’affetto materno sarebbesi scemato, e l’indigena, passata ad altri facili amori, li avrebbe lasciati al loro destino» (pp. 312-313).

tipo di letteratura italiana rivolta a far conoscere, ai propri connazio-nali, la validità e l’importanza della conquista dello scatolone di sab-bia e a fare da cassa di risonanza della politica fascista di espansione coloniale. (2011, p. 136)

La contessa viaggia nel 1932 in compagnia del marito, della figlia e di una amica di quest’ultima da Tripoli a Murzuck, nella regione del Fezzan che dà il titolo alle sue memorie, pubblicate nel 1934. La consuetudine con il viaggio risale già al 1910, quando aveva navigato lungo il Nilo Bianco, con visite in Egitto e con spedizioni nel Sudan, che avrebbero portato alla pub-blicazione del volume Nel Sudan Anglo-Egiziano. Come lo vidi dopo molti

anni di dominazione inglese (Firenze, Marzocco, 1941). Sono le passioni

botaniche a spingerla nel 1930 in Tripolitania fino all’oasi di Tunin dove raccoglie più di 150 esemplari,5 mentre nel viaggio oggetto del volume Nel

Fezzan ne raccoglierà più di 200.6

Il viaggio del 1932 appare significativo perché Passerini è la prima don-na bianca, a parte Eledon-na d’Orleans, ad avventurarsi fino a Murzuck e poi a Brach. Tra i motivi di questo viaggio, oltre all’interesse archeologico e botanico, spicca la volontà di osservare e immortalare con una macchina fotografica i costumi locali, nonché l’attrazione per l’avventura, seppure in una versione turistica e non priva di confort;7 infine vi è l’intento pro-pagandistico, poiché la Libia, dopo l’uccisione del capo della resistenza Omar al Mucktar, sta venendo riconquistata e dunque è necessario ribadire il carattere civilizzatore dell’impresa. A tale proposito, occorre precisare che Passerini copre un ruolo istituzionale in patria, in quanto addetta, nell’Istituto fascista dell’A frica italiana, ai corsi femminili di preparazione coloniale della provincia di Firenze, che spiegano anche l’attenzione nei confronti delle donne indigene.

Gli elementi che ci permettono di affermare anche a proposito della contessa che la colonia si traduce in luogo di maggiore agency, pur in un contesto di forte ideologia che ella rende propria e amplifica, originano dall’accesso agli spazi privati delle libiche: ciò è concesso dal suo status di classe, rappresentato feticisticamente dal possesso di una macchina fotografica che avvalla e giustifica la sua funzione pubblica di testimone e i cui riscontri, al pari di quelli di Bossiner, avranno destinazione pubblica.

5  Si veda a tale proposito il saggio di Isabella Bonati, La Sfinge Nera. L’Africa coloniale

delle donne (2012).

6  Sul tema della classificazione naturalistica praticata in colonia come ulteriore forma di appropriazione e addomesticamento di un territorio sconosciuto, si rinvia alle riflessioni di Mary Louise Pratt in Imperial Eyes: Travel Writing and Transculturation (1992).

7  A tale proposito Polezzi parla del diario di Passerini in termini di «literature of tour-ism» (2006, p. 194), differenziandolo da quello di Bossiner che, pur appartenendo al genere odeporico, rientra tra i «tales of exploration and settlement» (p. 194).

In tali termini ne parla anche Barbara Spadaro, sottolineando lo stretto nesso tra consapevolezza del ruolo pubblico nel contesto fascista e volontà di sottolineare la propria personale intraprendenza e modernità:

Il fatto di essere donne in viaggio con la macchina fotografica è uno dei particolari che la contessa sottolinea riferendosi sia a se stessa che alle ragazze che l’accompagnano, in mezzo ad altri di cui si serve per mettere in luce la propria intraprendenza e abilità. Ma queste, e la disinvoltura con la quale lei stessa affronta le difficoltà di viaggio, indossa abiti maschili e si mette sulle orme di esploratrici europee, sono comunque messe al servizio della causa coloniale italiana. (Spa-daro s.d.)

Il desiderio di avventura – seppure in contesti protetti – e il dinamismo che caratterizzano la contessa, che la accomunano a Bossiner, si desumono da numerosi passaggi nel testo. Sin dalle prime pagine, quando da Tripoli l’Ente Turistico della Colonia non trova nessuno che desideri avventurarsi nel Fezzan con il suo piccolo gruppo, Passerini scrive: «Bastava questo per farci venire l’acquolina in bocca!» (1934, p. 12). Inoltre, anche l’as-sunzione di atteggiamenti maschili, che nella prossima autrice troveranno la massima espressione, è fonte di soddisfazione individuale e prestigio dinanzi agli occhi altrui:

A notte fatta, rientriamo nel Forte in perfetta formazione militare, attra-versando tutta Murzuck fra l’ammirazione degli indigeni, specialmente per le ‘mabruke’ Italiane, che, essi dicono, riescono a tutto, sanno mon-tare a cavallo e andare ‘a mehari’ come gli uomini. Queste abilità, nella loro mente primitiva ci elevano al massimo grado. (p. 86)

Esibire la propria autonomia e emancipazione, simboli di civiltà, non per-mette di individuare una netta corrispondenza con l’immagine ieratica del femminile che il discorso nazionale propone, nelle figure sintetizzate da Banti. Inoltre, al pari del resoconto di Bossiner, il ruolo del marito della contessa appare del tutto marginale: egli è sempre presente durante il viaggio, ma scarsamente evocato, e quando si descrivono le sue azioni, esse non presentano tratti eroici. Ad esempio, la prima azione dell’uomo vede l’uccisione di una tortora, un animale non propriamente feroce o esotico come ci si potrebbe aspettare in colonia. In un’altra occasione, leggiamo: «La caccia di Piero si protrae per oltre un’ora. Finalmente lo vediamo apparire in lontananza. È bagnato di sudore... ed a mani vuote. Che la polvere abbia preso l’umido?!» (p. 138). Il tono ironico non solo mette alla berlina il personaggio maschile, ma decostruisce il mito della caccia intesa come metafora del possesso maschile di un territorio.

della contessa di creare uno spazio domestico in colonia assurgendo al ruolo di donna madre della nazione, fuori dai suoi confini. Il luogo dell’a-zione di Passerini è sempre pubblico ed ella si proietta più favorevolmente in questa dimensione, anziché in quella privata. Nel suo caso la coinciden-za con le figure individuate da Banti risulta labile, pur nella sua perfetta integrazione all’interno del discorso pubblico del tempo; ella infatti, senza venir meno al suo ruolo di portavoce del regime, non asseconda la visione della donna/madre sacrificale che in colonia riproduce il domestico. Se, dunque, da questo punto di vista si misura la distanza con l’immagine che Bossiner trasmette di se stessa, d’altro canto pare accomunarle uno sguardo moralista nei confronti dei costumi locali: entrambe si appropria-no del discorso nazionale attorappropria-no alla morigeratezza dei costumi rivolgen-dolo agli e alle indigene e rendendosi così attive portatrici di uno sguardo eterodiretto. Nel caso della contessa, l’attenzione quasi feticistica per il femminile le conferisce il potere di giudicare i costumi locali sul fronte dei rapporti tra i sessi,8 che giustificano di conseguenza la missione mo-dernizzatrice italiana di cui si sente a pieno titolo portavoce.