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La modifica normativa tiene conto dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte Euro-unionale che impone al fornitore la verifica concreta della condizione dell’alto

Nel documento EMENDAMENTO A.S. 1586 Art. 60 ABATE (pagine 65-194)

mare ed è finalizzata a regolare la responsabilità dei soggetti che effettuano le operazioni senza applicazione dell’IVA, nell’ambito di un settore molto importante e strategico per l’Italia ovvero quello della nautica commerciale e mercantile, per le unità che effettuano tratte in “alto mare”. In particolare, chi intende acquistare beni o servizi godendo della non imponibilità prevista dall’art. 8-bis del DPR n. 633 del 1972, può farlo sulla base di una dichiarazione dell’acquirente, emessa sotto la propria responsabilità, che attesti la sussistenza del requisito previsto dalla predetta norma, ovvero che la nave è effettivamente e prevalentemente adibita ad effettuare viaggi in alto mare, conformemente a quanto richiesto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sent. C-197/12 citata).

La disposizione non produce effetti di gettito. Comma 2 Di conseguenza a quanto stabilito al comma 1, vengono regolate anche le conseguenze sanzionatorie.

La modifica proposta, oltre ad essere in linea con la disciplina delle dichiarazioni di intento (articolo 8, comma 1, lettera c del DPR n. 633 del 1972), tutela l’erario, responsabilizzando il soggetto che si avvale dell’acquisto senza IVA (il cessionario) ed evita irrigidimenti nei traffici commerciali, esonerando i fornitori che ricevono la dichiarazione del cessionario dall’onere – per loro tecnicamente impossibile - di verificare l’uso effettivo cui successivamente sarà adibito il mezzo. La disposizione non produce effetti di gettito. Comma 3 Il decreto-legge 12 settembre 2014, n.133, ha rimosso le sperequazioni vigenti in campo turistico riconoscendo alcuni servizi della nautica, lasciando tuttavia aperti alcuni dubbi interpretativi che ne hanno condizionato l’applicazione. La modifica li chiarisce, recependo il limite introdotto con la Circolare 6E 2015 dell’Agenzia delle Entrate. La disposizione non produce variazione di gettito. Comma 4 Ventiquattro porti turistici italiani sono in contenzioso con lo Stato per la disciplina dettata dall’art. 1, comma 252, Legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007) che ha innovato, a decorrere dal 1° gennaio 2007, i criteri per la determinazione dei canoni annui per le concessioni demaniali delle strutture dedicate alla nautica da diporto. Il CdS ha evidenziato come il piano economico finanziario del concessionario è un elemento essenziale della concessione/contratto per la realizzazione di porti turistici e l’applicazione delle nuove misure, senza una revisione del piano stesso e una verifica della sua compatibilità con la durata della concessione, rappresenta un’unilaterale, sostanziale, modifica del contratto, lesiva dei diritti del concessionario. Con questa motivazione ha sollevato la questione innanzi alla Corte Costituzionale. La Corte, con la sentenza n. 29 del 10/27.1.2017, ha evidenziato come l’aumento dei canoni è possibile (e quindi legittimo), ma “va esclusa

l’applicabilità dei nuovi criteri alle concessioni non ancora scadute che prevedano la realizzazione di impianti ed infrastrutture da parte del concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007” (paragrafo 5.7).

La Corte ha quindi dato una c.d. interpretazione giuridicamente orientata della norma, statuendo che “l’irragionevolezza (rectius illegittimità) insita in tale prospettazione (l’aumento retroattivo dei canoni) è esclusa laddove la commisurazione del canone venga

parametrata alle concrete caratteristiche dei rapporti concessori, nonché dei beni demaniali che ne formano l’oggetto”, precisando che gli aumenti “risultano applicabili, quindi, soltanto a quelle che già appartengano allo Stato e che già possiedano la qualità di

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beni demaniali. Nelle concessioni di opere da realizzare a cura del concessionario, ciò può avvenire solo al termine della concessione, e non già nel corso della medesima”. La

recentissima sentenza del TAR Sardegna, n. 789 del 2018 (la prima cui uno dei Marina interessati è approdato in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale), ha stabilito che il ricalcolo dei canoni secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata debba fare riferimento alle tabelle delle sole nude superfici concesse. Il quadro sembrerebbe dunque avviarsi a una conclusione, ma così non è. Anzi la situazione sta rapidamente precipitando, poiché, in assenza di una norma specifica, l’Agenzia delle Entrate sta comunque procedendo alla riscossione degli aumenti non dovuti e alcuni porti turistici si sono visti bloccare i conti correnti. Una situazione che prelude al default e che rischia, con effetto domino, di estendersi alle altre 23 società e ai loro 2.225 addetti, fra quelli diretti e impiegati nelle attività commerciali ubicate all’interno dei porti turistici - 1.663 - e quelli impiegati in altre attività direttamente connesse – 562 – (fonte Osservatorio Nautico Nazionale). In attesa di una soluzione normativa per chiudere, a stralcio, il contenzioso in corso, al fine di evitare il

default delle strutture e consentire la regolare gestione per la stagione 2020, la riscossione

67 A.S.1586- EMENDAMENTO

FENU

Dopo l’articolo, inserire il seguente:

Art.32-bis

(Misure in favore dell’internazionalizzazione delle imprese italiane).

1. Al fine di contribuire al rafforzamento degli strumenti a supporto dell’export, all’articolo 15 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, sono apportate le seguenti modificazioni: 1) la lettera a) è sostituita dalla seguente: “a) gli operatori nazionali che ottengano finanziamenti in Italia o all'estero da banche nazionali o estere ovvero da intermediari finanziari autorizzati all’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma ai sensi del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385;”;

2) alla lettera b), dopo le parole: “banche, nazionali o estere” sono aggiunte le seguenti: “e gli intermediari finanziari autorizzati all’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma ai sensi del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385”.

MOTIVAZIONI

NOTA (Proposta dell'on. Trano): SIMEST interviene a sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese italiane, tra l’altro, erogando contributi agli interessi su finanziamenti di crediti relativi a esportazioni di merci e servizi, esecuzione di studi, lavori e progettazione e approntamento di forniture, a valere su un fondo pubblico istituito nello stato di previsione del MEF (c.d. Fondo 295/73). Tale contributo è finalizzato, in estrema sintesi, a ridurre il tasso applicato e/o gestire le sue oscillazioni ed è generalmente destinato alla banca che finanzia l’esportatore italiano. Più in particolare, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 143/1998, tale contributo è destinato espressamente a tre categorie di soggetti:-operatori nazionali che ottengano finanziamenti all'estero anche per il tramite di banche nazionali (lettera a); -banche, nazionali o estere, che concedano finanziamenti agli operatori nazionali o alla controparte estera (lettera b); -acquirenti esteri di beni e servizi nazionali, nonché committenti esteri di studi, progettazioni e lavori da eseguirsi da imprese nazionali (lettera c).La normativa vigente, pertanto, non permette l’intervento di SIMEST nei casi in cui i finanziamenti ottenuti dagli operatori nazionali o dagli acquirenti esteri siano concessi non da banche ma da intermediari finanziari autorizzati ai sensi dell’art. 106 del d.lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), soggetti a cui è esteso il regime di vigilanza prudenziale di Banca d’Italia al pari degli operatori bancari.Al fine di superare la limitazione suddetta e consentire a SIMEST di potenziare il proprio supporto alle esportazioni, l’emendamento:-alla lettera a), dispone che la prima categoria di soggetti beneficiari includa (i) gli operatori nazionali che ottengono finanziamenti anche in Italia (non più solo all’estero) da banche nazionali o estere (non più solo anche per il tramite di banche nazionali), nonché (ii) gli intermediari finanziari autorizzati all’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma ai sensi del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (categoria prima non espressamente prevista);-alla lettera b), prevede che la seconda categoria di soggetti beneficiari includa non solo le banche nazionali o estere che concedano finanziamenti agli operatori nazionali o alla controparte estera

68 (categoria già prevista) ma anche gli intermediari finanziari sopra richiamati;-non modifica la terza categoria di soggetti beneficiari (ossia gli acquirenti esteri di beni e servizi nazionali, nonché committenti esteri di studi, progettazioni e lavori da eseguirsi da imprese nazionali)

RELAZIONE TECNICA. La disposizione non comporta nuovi o maggiori oneri per la

finanza pubblica.

69 EMENDAMENTO A.S. 1586

FENU

Dopo l’articolo, aggiungere il seguente:

Art.32-bis

(Misure in favore dell’export per le imprese italiane).

1. Al fine di garantire una più efficiente gestione delle risorse disponibili per l’operatività del Fondo di cui all'articolo 3 della legge 28 maggio 1973, n. 295, nonché di ridurre le esigenze di rifinanziamento del predetto Fondo, al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 143, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 16, comma 1-bis, le parole: “atteso di mercato per la copertura dei rischi di variazione dei tassi di interesse e di cambio, nonché gli ulteriori accantonamenti necessari ai fini della copertura dei rischi di maggiori uscite di cassa almeno nel biennio successivo, connessi ad eventuali ulteriori variazioni dei predetti tassi, quantificati” sono sostituite dalle seguenti: “imputabile alla componente di contributo agli interessi relativa alle operazioni di stabilizzazione del tasso di interesse, quantificato” ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Il Ministero dell’economia e delle finanze gestisce la copertura dei rischi di variazione dei tassi di interesse e di cambio.”

b) all’articolo 17, comma 1, lettera b), le parole: “, comprensivi degli accantonamenti volti ad assicurare la copertura dei rischi di ulteriori uscite di cassa, quantificati sulla base della metodologia cui all'articolo 16, comma 1-bis” sono soppresse.

Nota (Proposta dell'on. Trano). L’articolo 3 della legge 28 maggio 1973, n. 295, ha istituito un fondo (c.d. Fondo 295/73) –gestito da Simest S.p.A. –per la concessione di contributi al pagamento degli interessi sui finanziamenti, riservato agli interventi finanziari di sostegno alle esportazioni e agli investimenti delle imprese all'estero. Il Fondo 295/73 consente dunque, tramite l’erogazione di un contributo in conto interessi a valere su risorse pubbliche, di stabilizzare il tasso a cui gli esportatori italiani si finanziano. L’operatività del Fondo è esposta a differenti rischi. Più in particolare: -al rischio di tasso di interesse e di cambio, consideratoche il Fondo si impegna a corrispondere il tasso variabile nella valuta del finanziamento dalla data di stipula del contratto, e-al rischio di liquidità relativo alla capacità del Fondo 295/73 di far fronte agli impegni assunti per tutta la durata dei finanziamenti sottostanti. Il rischio di tasso del Fondo 295/73 è funzione dell’andamento dei tassi di mercato, con particolare riferimento all’andamento dei parametri Euriboro USD Libora cui il contributo è indicizzato. Pertanto, tale rischio si traduce in un potenziale aumento degli esborsi futuri del Fondo stesso in caso di scenari di mercato avversi. Posta l’esigenza di migliorare la gestione dei predetti rischi, assicurando al contempo che –in tal modo –le esigenze di futuri rifinanziamenti del Fondo diminuiscano, la proposta normativa:-alla lettera a), prevede la necessità di specifici accantonamenti di risorse nel Fondo pari al costo imputabile alla componente di contributo agli interessi relativa alle operazioni di stabilizzazione del tasso di interesse (tali accantonamenti, a legislazione vigente, sono invece più ampi: sono, infatti, pari al costo atteso di mercato per la copertura dei rischi di variazione dei tassi di interesse e di cambio. A questi si aggiungono gli ulteriori accantonamenti necessari ai fini della copertura dei rischi di maggiori uscite di cassa almeno nel biennio successivo, connessi ad eventuali ulteriori variazioni dei predetti tassi). A tal fine, si prevede che –al fine di assicurare una più efficiente gestione di tali rischi finanziari

70 –sia il Ministero dell’economia e delle finanze a gestirli nell’ambito della più ampia gestione dei rischi di mercato inerenti il debito pubblico;-alla lettera b), prevede una disposizione di mero coordinamento. Per effetto della lettera a),infatti, non è più necessario che il Piano previsionale dei fabbisogni finanziari del Fondo, deliberato annualmente dal CIPE, tenga conto degli accantonamenti volti ad assicurare la copertura dei rischi di ulteriori uscite di cassa (a quel punto gestito direttamente dal MEF).La gestione dei rischi sopra richiamati da parte del MEF consentirebbe, in ultima istanza, di ridurre le previsioni di uscite potenziali a carico del Fondo nel caso in cui si verificassero scenari avversi di mercato, riducendo, così, il corrispondente ammontare di accantonamenti di risorse previsti a tal fine e di rifinanziamenti futuri. Tali risorse potrebbero quindi essere destinare a nuove operazioni di supporto all’export, potenziando l’operatività del Fondo stesso.

71 EMENDAMENTO A.S. 1586

Art. 91 FENU

Dopo l’articolo inserire il seguente:

Articolo 91- bis

(Disapplicazione sanzioni per omessa fatturazione) 1. All’articolo 10, comma 1, del decreto-legge del 26 ottobre 2018, n. 119:

le parole “Per il primo semestre del periodo d’imposta 2019” sono sostituite con le seguenti: “Per l’anno d’imposta 2019”;

le parole “Per i contribuenti che effettuano la liquidazione periodica dell'imposta sul valore aggiunto con cadenza mensile le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano fino al 30 settembre 2019.” sono abrogate.

Relazione illustrativa. La proposta ha l’obiettivo di estendere a tutto il primo anno di applicazione del nuovo obbligo di fatturazione elettronica il regime sanzionatorio più mite che è stato introdotto dall’articolo 10 del DL n. 119/2018. Merita ricordare al riguardo che, introducendo un periodo di sospensione o riduzione delle sanzioni, il Legislatore ha preso atto del contesto ancora nebuloso e non completamente preparato in cui si sarebbe trovate a operare le imprese nelle prime fasi di applicazione.

Si è trattato di una misura che, da un lato, ha evitato di dover far fronte al mancato gettito IVA che sarebbe derivato da una eventuale proroga dell’adempimento, dall’altro, sta favorendo un approccio all’adempimento più sereno per le imprese che, pur trovandosi di fatto coinvolte nel nuovo sistema di fatturazione, possono operare in contesto di maggiore tolleranza degli errori e dei ritardi.

Peraltro, nei primi mesi di vigenza del nuovo obbligo di fatturazione elettronica, le segnalazioni di ritardi o malfunzionamenti del Sistema di Interscambio sono numerose; si tratta di criticità che, oltre a poter compromettere il rispetto degli altri adempimenti IVA da parte delle imprese (es. rispetto dei termini di annotazione), non stanno facilitando l’affidamento delle imprese alle nuove procedure di fatturazione, tenuto altresì conto che, in questi primi mesi dell’anno, l’infrastruttura informatica dell’Agenzia delle Entrate è oggetto di modifiche (rese necessarie per rispondere alle segnalazioni pervenute dal Garante della privacy) che rendono meno efficienti taluni servizi su cui le imprese avevano fatto affidamento (si pensi, a titolo esemplificativo, al servizio di archiviazione e consultazione delle fatture elettroniche).

In considerazione delle difficoltà e delle criticità che fisiologicamente si accompagnano a una prima fase di adozione di un adempimento di tale portata innovativa - quale è l’obbligo di fatturazione elettronica - si propone di estendere il regime sanzionatorio più favorevole, introdotto dal DL n. 119/2018, per tutto il 2019, al fine di tutelare gli operatori coinvolti,

72 garantendo continuità e evitando loro di dover modificare in corso d’anno le tempistiche di fatturazione.

In ultimo, si rileva che la proposta consentirebbe di allineare il trattamento di favore riconosciuto ai contribuenti che liquidano l’imposta trimestralmente con quello applicabile ai contribuenti mensili. Al riguardo, si ricorda, che il DL n. 119/2018, in sede di conversione in legge, ha disposto che il regime sanzionatorio più favorevole fosse applicabile, per i soli contribuenti mensili, anche alle operazioni effettuate fino al 30 settembre 2019, in modo tale da far coincidere, col mese di novembre, la scadenza del termine ultimo entro emettere fattura elettronica con tardiva ma con la riduzione della sanzione al 20%. Tuttavia, si è trattato di un intervento normativo che ha destato non pochi dubbi interpretativi (nonostante il chiarimento fornito con la circolare AE n. 14/2019 residuano perplessità sul trattamento sanzionatorio applicabile alle operazioni effettuate dal 1/7 al 30/9) e che, in ogni caso, ha creato ulteriori asimmetrie di trattamento in quanto, i contribuenti trimestrali, devono rispettare gli ordinari termini di emissione sin dalle operazioni effettuate dal 1° luglio 2019.

73 EMENDAMENTO A.S. 1586

Art. 91 FENU

Dopo l’articolo inserire il seguente:

«Articolo 91-bis (Split payment).

1. L’articolo 17-ter del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, è abrogato.».

Relazione illustrativa

Nell’attuale sistema di fatturazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA vige l’obbligo di emissione del documento in formato elettronico, obbligatorio dal 1° gennaio 2019 e, al contempo, si mantengono altri due meccanismi di assolvimento dell’imposta - Split payment e reverse charge - che sono stati introdotti, negli anni passati, al medesimo fine di contrasto all’evasione fiscale in taluni settori. Nello specifico, in presenza dell’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica, si rivela ridondante e, paradossalmente, quasi privo di utilità, il meccanismo dello Split payment che si applica a tutte le operazioni effettuate nei confronti della Pubblica amministrazione e di società da essa controllate e collegate, nonché per le operazioni effettuate nei confronti delle società quotate all’indice FTSE MIB.

Si ricorda che tale meccanismo costituisce una deroga all’ordinaria modalità di riscossione dell’imposta per la quale, infatti, era stata richiesta specifica autorizzazione agli organi comunitari nelle more della completa attuazione del processo di fatturazione elettronica nei confronti della PA (oggi a regime). L’autorizzazione, arrivata con la decisione 2015/1401 del 14 luglio 2015 del Consiglio dell’Unione europea, consentiva esplicitamente l’applicazione del meccanismo fino al 31 dicembre 2017. In essa, il Consiglio dell’Unione Europea aveva infatti osservato che, una volta pienamente attuato tale sistema, “non dovrebbe essere più necessario derogare alla direttiva 2006/112/CE. L’Italia ha pertanto assicurato che non chiederà il rinnovo dell’autorizzazione alla misura di deroga”. Tuttavia, disattendendo quanto assicurato, il nostro Paese ha deciso di prorogare l’efficacia dello split payment (nonché, come sopra osservato, di ampliarne il suo ambito applicativo, originariamente limitato alle sole operazioni effettuate nei confronti della PA), chiedendo un’ulteriore autorizzazione arrivata con la decisione del Consiglio dell’Unione europea n. 2017/784 del 25 aprile 2017. Tale ultima decisione osservava che “dal 1° gennaio 2017 si applicano in Italia misure di controllo supplementari: il sistema contabile facoltativo (noto come «fatturazione elettronica») e la comunicazione obbligatoria alle autorità fiscali delle fatture emesse e ricevute" e che “tali misure sono volte a consentire alle autorità fiscali italiane la verifica incrociata delle diverse operazioni dichiarate dagli operatori e il controllo dei versamenti IVA”, concludendo che “una volta che tale sistema sia pienamente attuato, non dovrebbe essere più necessario derogare alla direttiva 2006/112/CE. L'Italia ha pertanto assicurato che non chiederà il rinnovo della deroga”.

Ne emerge, con tutta evidenza, che la decisione 2017/784 del 25 aprile 2017 prevede una sostanziale sostituibilità tra split payment e fatturazione elettronica, ribadendo l’impegno

74 del nostro Paese a non rinnovare la richiesta di deroga alla direttiva 2006/112/CE una volta che il sistema di fatturazione elettronica/controllo dei dati delle fatture sia implementato. Oggi che l’adempimento di fatturazione elettronica è entrato in vigore, è stato giustamente abrogato l’altro adempimento di comunicazione dei dati delle fatture (c.d. spesometro). Tuttavia, l’efficientamento dei controlli, il miglioramento della riscossione e, soprattutto, il contrasto alle frodi a cui l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica mira, dovrebbe comportare, al contempo, l’eliminazione degli altri meccanismi antifrode, in special modo dello split payment, al fine di non addossare sui contribuenti oneri e adempimenti palesemente sovrabbondanti e sproporzionati e di evitare il rischio di compromettere gli obiettivi di semplificazione del sistema tributario e di miglioramento del rapporto tra fisco e contribuenti, spesso auspicati da tutti gli interlocutori istituzionali, coinvolti nel processo di attuazione e di applicazione delle disposizioni tributarie.

Inoltre, si osserva che l’introduzione del meccanismo dello split payment ha comportato un aggravio significativo sulle imprese, per la costante incertezza sul perimetro soggettivo di applicazione ma, soprattutto, è stato motivo di grosse difficoltà finanziarie per le imprese fornitrici dovute all’inevitabile accumulo di ingenti crediti IVA, dove l’accesso al rimborso IVA prioritario si è rivelato uno strumento insufficiente per far fronte alla mancata liquidità che ne deriva.

Per quanto sopra osservato, la proposta persegue l’obiettivo di abrogare il meccanismo dello split payment, di cui all’articolo 17-ter del DPR n. 633/72.

75 A.S. 1586 - Emendamenti

Art. 91 FENU

Dopo l’articolo, inserire il seguente:

«Articolo 91-bis (Detrazione IVA).

1. All’articolo 19, al comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, al secondo periodo le parole da “ed è esercitato” fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: “e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa all’anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto e alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo.”;

2. All’articolo 25, al comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, le parole da “nella quale” fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: “, ovvero alla dichiarazione annuale, nella quale è esercitato il diritto alla detrazione della relativa imposta.”.

3. Le disposizioni dei precedenti commi si applicano alle operazioni di acquisto di beni e servizi la cui imposta è esigibile dal 1° gennaio 2019.».

Relazione illustrativa

L’articolo 2 del DL n. 50/2017 (c.d. Manovrina) ha ridotto significativamente il termine ultimo entro cui il contribuente può esercitare il diritto di detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti di beni e servizi, ai sensi dell’articolo 19, comma 1, DPR n. 633 del 1972. In particolare, in base alla disciplina previgente, tale diritto poteva essere esercitato entro il

Nel documento EMENDAMENTO A.S. 1586 Art. 60 ABATE (pagine 65-194)

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