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certo momento di offrire una definizione drammaturgica oltre che etico-poli tica, pedagogica e ideologica, aprendo un dibattito che appassionò per molto

1 E.H. Kadler, Literary Figures in French Drama (1784-1834), Nijhoff, The Hague

1969.

2 La definizione è nostra ed include le pièces teatrali che hanno ad oggetto la rappre-

sentazione di episodi biografici (reali o immaginari) di celebri romanzieri, poeti, dram- maturghi, filosofi, pittori, musicisti, attori e altre personalità legate al mondo del teatro. La nozione di autore è qui da intendersi come comprensiva di quella di artista, scrittore e pensatore. Non entriamo quindi nel merito delle suddivisioni che nel tempo i critici hanno operato ad esempio fra le definizioni di «autore» e «scrittore», per le quali ri- mandiamo ai testi citati in Bibliografia alla fine di questo volume.

3 Questa la suddivisione interna del saggio di Kadler: Literary Figures of the Seven-

teenth Century: Descartes, Malherbe, Madame de Sévigné, Fénelon, Mademoiselle de

Scudéry, Scarron, Saint-Evrémond; Molière; Corneille, Racine, La Fontaine, Boileau;

Literary Figures of the Eighteenth Century: Fontenelle, J.B. Rousseau, Le Sage, Monte-

squieu, Diderot, Beaumarchais; Voltaire; Jean-Jacques Rousseau.

4 Per la nozione di «monumento» si rimanda naturalmente alla celebre definizione

che ne dette Jacques Le Goff. Cfr. J. Le Goff, Documento/Monumento, in Enciclopedia

Einaudi, vol. V, Einaudi, Torino 1978, pp. 38-43.

5 Non esistono, a nostra conoscenza, saggi che offrono un’analisi della complessità

del fenomeno delle pièces à auteurs nel periodo indicato. I contributi critici recenti si

soffermano infatti generalmente sull’analisi di singole pièces, ed in particolare su quelle che vedono protagonisti i filosofi illuministi (Voltaire e Rousseau in particolar modo). Cfr. infra, Bibliografia.

6 Le ricerche, partite dall’individuazione nel Fondo teatrale Martini di un nucleo

consistente di pièces (spesso più uniche che rare) aventi a soggetto celebri Grandi Uo- mini di Lettere e di Teatro, filosofi e artisti, sono proseguite direttamente all’interno della Biblioteca del Burcardo di Roma, dell’Accademia dei Filodrammatici di Milano, delle Biblioteche Nazionali di Firenze, Roma e Torino, della Bibliothèque-Musée de la Révolution française di Vizille e della Bibliothèque Nationale de France. Fonti proficue di ricerca sono stati i siti internet in cui alcune di queste opere sono consultabili a libero accesso: <https://gallica.bnf.fr>; <https://books.google.it>; <https://cdm21047.con- tentdm.oclc.org/digital>; <https://www.europeana.eu/portal/en>.

7 E.H. Kadler, Literary Figures in French Drama (1784-1834), cit., p. 124 (trad. it.: Il

desiderio di propagandare il concetto di bienfaisance sembra essere una delle ragioni per

le quali gli autori erano scelti come protagonisti in pièces episodiche. Questo spiega in parte perché alcuni drammaturghi scelsero di porre al centro delle loro opere autori di second’ordine, le cui biografie offrivano molti esempi di atti di altruismo. Spesso li prefe- rirono a autori di prim’ordine le cui storie di vita presentavano invece pochissime azioni altruistiche o non ne presentavano affatto. La drammatizzazione degli autori può essere quindi considerata come una delle varie forme letterarie caratterizzate dalla volontà di instillare lezioni morali nel periodo oggetto del nostro discorso. In senso più ampio, essa può rientrare nella lunga tradizione del dramma morale che occupa un posto impor- tante nella letteratura francese. Le opere di teatro chiamate moralités, actes des apôtres e vies des saints rappresentavano la prima manifestazione dello stesso tipo di produzioni).

8 Ibidem (trad. it.: Quel che salta subito agli occhi è che nei cinquant’anni presi

in considerazione, dal 1784 al 1834, sembra non esserci stata alcuna evoluzione del- le pièces incentrate sulla rappresentazione degli autori. Le caratteristiche delle opere del Settecento sono le stesse di quelle dell’Ottocento. […] Non è possibile rinvenire in questi ritratti scenici delle modifiche tali da poter parlare di raffinamento del genere o di differenziazione netta che ne separi la nascita dallo sviluppo. Numerose pièces com-

poste nel periodo oggetto di studio si assomigliano fortemente e la maggior parte di esse potrebbero essere collocate indistintamente in varie decadi. Questo ne ha precluso l’analisi per stadi di sviluppo e ha reso invece necessario uno studio tematico, incentrato sulla trama, nel quale si mettono in rilievo le tendenze che accomunano i ritratti scenici degli autori ospitati dalle molte produzioni del periodo).

9 Uno dei primi esempi del genere è stato individuato nella commedia in un atto

scritta da Brécourt, intitolata L’ombre de Molière e pubblicata nel 1674, in cui il celebre

drammaturgo viene messo in scena ai Campi Elisi in compagnia di alcuni personaggi delle sue opere (quali «la précieuse de la comédie des Précieuses; le marquis de Masca-

rille de la même comédie; le cocu du Cocu imaginaire; Nicole du Bourgeois gentilhomme;

Pourceaugnac de la comédie de Pourceaugnac; Madame Jourdain du Bourgeois gentil-

homme; quatre médecins de la comédie des Médecins [i.e. L’Amour médecin]»). Circa

dieci anni prima Gabriel Gilbert aveva tuttavia composto una pastorale incentrata sugli amori di Ovidio. Cfr. G. Gilbert, Les amours d’Ovide, pastorale héroïque, chez Etienne

Loyson, à Paris 1663. Per l’elenco dei personaggi cfr. infra, Appendice. Catalogo per au- tori.

10 Jean-Claude Bonnet, Naissance du Panthéon, essai sur le culte des Grands Hommes,

Fayard, Paris 1998.

11 Jean-Claude Bonnet, che ripercorre nel suo studio l’evoluzione del concetto di

Uomo Illustre partendo dalle Vite di Plutarco, indica come data di inizio ‘ufficiale’ del

culto dei Grandi Uomini in Francia il 1758, quando i soggetti del concorso di eloquenza dell’Académie française furono rimpiazzati dagli elogi dei Grandi Uomini della Nazione. Cfr. Jean-Claude Bonnet, Naissance du Panthéon, essai sur le culte des Grands Hommes, cit.

12 Il termine rimanda al dibattito che si sviluppò, durante il Settecento, in merito alla

definizione di Grande Uomo (con la quale si intese designare soprattutto gli uomini di Lettere e di Genio) opposta a quella di Uomo Illustre o Eroe (che fu invece riferita agli uomini d’arme e tutti coloro che appartenevano ai cosiddetti ranghi ‘illustri’ – nobili, monarca, ecc.). Su questo argomento avremo modo di tornare in seguito.

13 Si consideri ad esempio quanto affermato da Cubières-Palmézeaux nella prefazio-

ne a La mort de Molière: «Pourquoi, au défaut de caractères, ne mettrait-on pas sur la

scène française les Grands Hommes de tous les états qui, depuis environ douze siècles, ont illustré la Nation? Nos rois vertueux, par exemple, nos vaillants généraux, nos mi- nistres habiles et nos auteurs immortels? Henri IV nous a déjà charmés par sa noble loyauté, sa simplicité auguste et sa touchante sensibilité. […] Et si on entendait le bon La Fontaine, dépouillé de tout, dire naïvement à son ami qui lui offre un asyle, “j’y allais”, croit-on que ces mots prononcés par des acteurs intelligents et sensibles n’exciteraient pas en nous la plus vive admiration et ne contribueraient pas à nous rendre meilleurs? Pélisson sacrifiant son honneur pour sauver l’honneur de son ami, Fénelon instruisant son royal élève, Jean-Jacques Rousseau confessant noblement ses fautes, ne valent-ils pas les Valère, les Clitandre, les Damis, et mille autres personnages éclos du cerveau des poètes et qui n’ont jamais eu d’existence réelle que dans quelque cercle où on les choisit pour leur donner l’expression et la physionomie qui leur manquent?» (M. de Cubières- Palmézeaux, La mort de Molière, pièce historique en quatre actes, en vers et à spectacle,

reçue à la Comédie Française le 31 janvier 1788 et représentée pour la première fois

à Paris sur le Théâtre Français le 29 novembre 1789, in Id., Œuvres dramatiques, chez

Madame Desmarest, à Paris 1810, t. I, pp. xiii-xiv; trad. it.: Perché, in mancanza di per- sonaggi, non portare sulla scena francese i Grandi Uomini di ogni tipo che, da dodici secoli, hanno dato lustro alla Nazione? I re virtuosi, per esempio, i generali valorosi, gli abili ministri e gli autori immortali? Enrico IV ci ha già affascinati con la sua nobile leal-

tà, con la sua semplicità augusta e la sua toccante sensibilità. […] E se sentissimo il buon La Fontaine, povero in canna, dire ingenuamente a un amico che gli offre un rifugio: “ci vò”, non credete che queste parole pronunciate da attori intelligenti e sensibili po- trebbero suscitare la più viva ammirazione, contribuendo a renderci migliori? Pélisson che sacrifica il suo onore per salvare quello di un suo amico, Fénelon che insegna al suo allievo reale, Jean-Jacques Rousseau che confessa nobilmente i suoi sbagli, non valgono quanto i Valère, i Clitandre, i Damis, e i mille altri personaggi partoriti dal cervello dei poeti e che non hanno mai avuto un’esistenza effettiva se non in qualche circolo in cui li si sceglie per dare loro l’espressione e la fisionomia che non hanno?).

14 Per la nozione settecentesca, ampiamente studiata, di «genio», cfr. infra, Bibliografia.

15 Come avremo modo di dimostrare, il contributo che esse apportarono fu effetti-

vamente cospicuo; un contributo che tuttavia Jean-Claude Bonnet tende a sottovaluta- re, a causa di quella che egli ritiene essere la «mediocrità» di molte pièces à auteurs di

questo periodo: «Par l’esthétique du tableau qui se prête particulièrement à l’évocation biographique, le genre du drame semblait en mesure de montrer le Grand Homme de façon plus saisissante que l’éloge académique limité aux seuls effets rhétoriques. Mais ce ne fut pas généralement le cas en raison de la médiocrité de la plupart de ces pièces» (Jean-Claude Bonnet, Naissance du Panthéon, essai sur le culte des Grands Hommes, cit.,

p. 126; trad. it.: Attraverso l’estetica del tableau che si presta particolarmente all’evoca-

zione biografica, il genere del dramma sembrava in grado di mostrare il Grande Uomo in modo migliore rispetto all’elogio accademico, limitato ai soli effetti retorici. Questo tuttavia non avvenne: la maggior parte di tali pièces sono mediocri).

16 L’idea dell’improvviso risveglio dal lungo «sonno della ragione» è presente in molti

scritti del tempo: «Quel réveil que celui de la France! qu’il est heureux pour la nature! qu’il est consolant pour le genre humain! qu’il est épouvantable pour les prêtres et les rois! qu’elle est belle! qu’elle est divine cette révolution!» (Louis-Marin Henriquez, Epîtres et évangiles du républicain, chez Cailleau, à Paris an II [1793], p. ii; trad. it.: Che risveglio quel-

lo della Francia! Quanto è benefico per la natura! Com’è consolante per il genere umano! Quanto è terribile per i preti e per i re! Com’è bella! Com’è divina questa rivoluzione!).

17 Cfr. ad esempio, tra i numerosi scritti sull’argomento, B. Baczko (éd.), Une éduca-

tion pour la démocratie, textes et projets de l’époque révolutionnaire, Droz, Genève 2000.

18 Il riferimento è naturalmente alla vocazione universale della Rivoluzione, che fu

espressa fin dai primi giorni che seguirono la presa della Bastiglia. Pamphlets e giornali

dettero voce all’espressione di uno stupore per l’immediatezza degli avvenimenti coinci- dente con la consapevolezza che gli eventi rivoluzionari sarebbero andati ad influire non solo sul destino dei francesi ma anche sulla storia del mondo, presente e futura. Per un elenco (certo non esaustivo) di tali testi, cfr. infra, Bibliografia.

19 La venerazione nei confronti dei Grandi Uomini fu sostenuta e amplificata dalla

produzione di una miriade di oggetti-culto (diffusi anche in ambito popolare) su cui vennero raffigurati i loro volti, le loro apoteosi o scene di vita privata (stampe, porcel- lane, mobili, manufatti artigianali di vario tipo, ecc.) Cfr. in particolare: J. Husson (qui Champfleury), Histoire des faïences patriotiques sous la Révolution, E. Dentu, Paris 1867; La caricature française et la Révolution, catalogue d’une exposition organisée conjoin-

tement par l’Université de Californie à Los Angeles et la Bibliothèque nationale de France, Paris, dans le cadre de 1789-1989, Grunwald Center for the Graphic Arts, Los Angeles 1988; Musée de la Révolution française, Premières collections, Conseil National

de l’Isère, Vizille 1995; Musée de la Révolution française, L’affiche en révolution, Conseil

National de l’Isère, Vizille 1998.

21 Nel corso di questo primo capitolo cercheremo di dimostrare come le scene tea-

trali, poste al centro del Mondo Nuovo, non solo si affiancarono al Pantheon di Soufflot nel propagare il sentimento di riconoscenza dovuto ai Grandi Uomini istituzionalizzato nel 1791 dai legislatori della Nazione, ma anzi lo superarono in ampiezza (perché vi confluì tutta una serie di nuove figure – in primo luogo gli attori – che la società rivo- luzionaria giudicò degne di venerazione) e in finalità (perché in grado di adempiere meglio, secondo molti commentatori del tempo, alla funzione di «tempio di memoria» e «scuola di patriottismo» che gli ideatori dell’edificio del Pantheon avevano attribuito alla nuova istituzione pubblica).

22 Ci riferiamo con questa espressione al periodo definito da alcuni storici anche

come ‘rivoluzione propriamente detta’ e cioè agli anni 1789-1794.

23 Un segnale forte in direzione dell’attenuazione o quanto meno della trasformazio-

ne del culto dei Grandi Uomini è rappresentato dalla distruzione dei busti (in particolar modo di Marat) nei foyers dei teatri ed in altri luoghi pubblici negli anni 1794-1795, ad opera soprattutto della jeunesse dorée.

24 Molte pièces à auteurs scritte dopo il 1794 portano, come vedremo, i segni della

trasformazione del culto dei Grandi Uomini in atto nella società. Sotto la doppia azio- ne della censura (direttoriale e consolare prima e imperiale poi, che impedì, di fatto e sempre più, l’inserimento nelle opere drammatiche del tempo di elementi direttamente riferibili alla ‘pittura della realtà’ politica e sociale) e del sentimento di disillusione ge- nerale scaturito in seguito al fallimento degli ideali rivoluzionari, i drammaturghi si vol- sero verso una rappresentazione non idealistica dei Grandi Uomini (tipica del periodo 1789-1794), e cominciarono ad offrire tranches de vie basate su aneddoti senza nessun valore politico e sociale, in cui venivano mostrati anche i piccoli e grandi difetti privati dei Benefattori della Patria.

25 Sulla sua complessa figura (fu architetto, uomo politico, filosofo e teorico dell’ar-

te) si consultino in particolare: H.A. Jouin, Antoine-Chrysostome Quatremère de Quincy,

aux bureaux de l’artiste, Paris 1892; S. Lavin, Quatremère de Quincy and the invention of a modern language of architecture, The MIT Press, Cambridge 1992; G. Pavanello, F.P.

Luiso (a cura di), Il carteggio Canova-Quatremère de Quincy (1785-1822), Quaderni del

Centro di Studi Canoviani, Vianello 2005.

26 Sulla storia della Chiesa di Sainte-Geneviève in costruzione e non ancora consa-

crata all’epoca del decreto che imponeva la sua trasformazione in Pantheon cfr. in par- ticolare: C. Ouin-Lacroix, Histoire de l’église Ste-Geneviève, Sagnier et Bray, Paris 1852.

27 A. Quatremère de Quincy, Rapport fait au directoire du Département de Paris le

13 novembre 1792, l’an premier de la République française, sur l’état actuel du Panthéon français; sur les changements qui s’y sont opérés; sur les travaux qui restent à entreprendre, ainsi que sur l’ordre administratif établi pour leur direction et la comptabilité, de l’imprime-

rie de Ballard, Paris s.d. (trad. it.: Quando la morte di Mirabeau fece nascere nell’Assem- blea Costituente la grande idea di aprire un tempio alla riconoscenza pubblica, la nuova Chiesa di Sainte-Geneviève dovette presentarsi inizialmente come l’edificio che, per la grandezza delle dimensioni, la ricchezza delle decorazioni, la bellezza del suo aspetto e la posizione che domina tutta la città, […] poteva maggiormente e più in fretta ac- cordarsi ai desideri dei fondatori di questa bella istituzione. […] Questo monumento consacrato ai Grandi Uomini […] diverrà per loro una sorta di Eliso visibile in cui go- dranno, nei loro simulacri, degli omaggi che l’ingratitudine contemporanea avrà forse invidiato alle loro persone).

28 La definizione di «Mausoleo dei Grandi Uomini» è dello stesso Quatrèmere de

atti a designare in modo ‘trasparente’ le funzioni del nuovo tempio laico: «Si les mots

simples de Portique des Grands Hommes ne semblent pas au niveau de l’idée, on pourra

employer ceux de Basilique Nationale, Panthéon, Cénotaphe ou Mausolée des Grands Hom-

mes, etc» (A. Quatremère de Quincy, Extrait du premier rapport présenté au Directoire dans le mois de mai 1791, sur les mesures propres à transformer l’Eglise dite de Sainte-Ge- neviève en Panthéon français, de l’imprimerie de Ballard, à Paris 1792, p. 7; trad. it.: Se

la definizione semplice di Portico dei Grandi Uomini non sembra all’altezza dell’idea,

si potranno impiegare quelli di Basilica Nazionale, Pantheon, Cenotaffio o Mausoleo dei Grandi Uomini, ecc.).

29 C. Chaisneau, Le Panthéon français ou discours sur les honneurs publics décernés par

la Nation à la mémoire des Grands Hommes, de l’imprimerie de P. Causse, à Dijon 1792,

pp. 2-14(trad. it.: Certamente, niente è più in grado di far fiorire i talenti e le virtù del portare dei fiori sulla tomba dei Grandi Uomini! Se nel corso della nostra vita aspiriamo alla stima e al suffragio dei contemporanei, non lo desideriamo anche per il momento in cui non ci saremo più? Questo desiderio innato di sopravvivere a sé stessi non è più una chimera in tempi in cui siamo testimoni dei modi con i quali sono onorate le spoglie dei Grandi Uomini; oggi che, garantiti dalla Nazione, siamo certi di ottenere gli stessi onori se li avremmo meritati. […] È in questo tempio augusto che la Nazione deporrà le ceneri dei suoi più Grandi Uomini, senza distinzione d’età né di sesso. […] La Nazione chiamerà gli eroi di tutti i secoli: ratificherà gli onori che gli uni hanno già ricevuto dai loro contemporanei; vendicherà gli altri dalle ingiustizie di cui sono stati oggetto. […] È l’ultimo asilo, l’eterna dimora dei Grandi Uomini; è anche la migliore scuola di virtù civiche: la Nazione ci offre dei grandi esempi da seguire, dei bei modelli da imitare. […] Davanti alla statua di Mirabeau, come può il fuoco sacro della libertà non infiammare un cuore francese? […] Lo stesso despota, se in buona fede, deve cedere ai colpi vittoriosi del silenzio eloquente di quest’uomo immortale. Così, ogni oggetto del Pantheon ispira il santo amore della patria).

30 Honoré Gabriel Riqueti, comte de Mirabeau (1749-1791). Numerosi gli studi de-

dicati alla ricostruzione biografica di questa emblematica figura storica, che divenne og- getto, come vedremo meglio, di culto popolare, per poi cadere in disgrazia nel momento in cui, dopo la sua morte, fu aperta la cosiddetta armoire de fer, che conteneva documenti

comprovanti la stipula di suoi accordi segreti con Luigi XVI e Maria Antonietta. Cfr. in particolare: L. Barthou, Mirabeau, Hachette, Paris 1913; P. Nezelof, Mirabeau: lover and statesman, Robert Hale, London 1937; P. Dominique, Mirabeau, Flammarion, Paris

1947.

31 Fleury, Mémoires, publiés par J.B.P.L. Lafitte, seconde série (1789-1820), Adolphe

Delahays, Paris 1847, pp. 18-19 (trad. it.: Nel 1790, bisognava che vi fosse Mirabeau in tutto. Che reputazione! Che successo! Fu forse il solo uomo in Francia che creò, nu- trì e sostenne la propria celebrità. Coloro che non l’hanno visto, quelli che non hanno frequentato la società parigina dell’epoca, non possono immaginarsi l’effetto di questo nome altisonante. Mirabeau era la prima e ultima ragione di tutto, Mirabeau poteva tut-

to. […] Era il factotum nazionale, l’eroe del movimento, l’uomo mago, l’uomo miraco-

loso. Il re tremava davanti a lui, la regina lo temeva, i Grandi lo odiavano, l’Assemblea dei rappresentanti gli obbediva, le donne l’adoravano, la Francia l’ammirava, lo applau- divano anche per le strade. […] Che illusione! Che fascino! La sua voce risuonava nelle stanze, le mura sembravano limitare i suoi gesti, intorno a lui tutto sembrava piccolo e infimo. Fui cosciente del suo potere; mi resi conto che, grazie alla sua immaginazione e alla sua abilità di parola, era riuscito ad avere non degli ammiratori ma dei devoti. […] Molé, che su questo non accettava obiezioni, sosteneva che calcolando un pollice di superficie per ogni suo ritratto, vi erano in circolazione quasi duecento piedi quadra-

ti di miniature). La morte di Mirabeau fu commemorata attraverso un impressionan- te numero di stampe, ritratti, caricature, produzioni pittoriche, scultoree e musicali, di cui «Le Moniteur Universel» cominciò a rendere conto nelle sue pagine sin dai giorni

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