48 La prevalenza del ruolo sociale rispetto all’identità angioina si riscontra in parte anche nei monumenti funebri di alcuni ufficiali. Per l’Italia settentrionale l’unica sepoltura nota di un grande ufficiale è quella di Hugues de Baux. Morto il 2 dicembre 1319 nei pressi di Alessandria, all’epoca sotto i Visconti, il suo cadavere, secondo una notizia non altrimenti verificabile dello Schiavina, fu dapprima sepolto con tutti gli onori a Bergoglio, un quartiere della città sotto il controllo angioino (superbo funere sepultum fuit Bergolii)96. Con maggior certezza, poiché la fonte è Guglielmo Ventura, cronista coevo, il corpo fu trasferito ad Asti, dove fu inumato con tutti gli onori nel convento di San Francesco, «compianto dagli uomini e dalle donne» della città (plorante eum viri et mulieres)97. Voluta per testamento o suggerita dai collaboratori di Hugues, la destinazione, una chiesa dei Minori, è senz’altro consonante con gli indirizzi funerari angioini e con quelli della famiglia, che anche nel Regno privilegiarono Santa Chiara a Napoli e San Francesco a Montepeloso. La sepoltura astigiana fu corredata da un monumento funebre, che dopo una prima rimozione nel 1683, fu distrutto assieme alla chiesa nel 1805, in età napoleonica. Ne rimane un disegno ritratto dal Boateri sul finire del Settecento (fig. 9): Hugues è rappresentato in piedi, con le mani congiunte in orazione, i guanti penzolanti, la spada alla cinta e ai piedi lo scudo con lo stemma della sua famiglia. Tale scelta figurativa doveva apparire fedele agli ideali cavallereschi, propri tanto della tradizione familiare dei de Baux, quanto della connotazione militare dei siniscalchi angioini98. L’iconografia s’inserisce perfettamente nel quadro dei monumenti funebri di aristocratici di area francese e provenzale, secondo un modello in realtà poco diffuso in Italia settentrionale e offre una conferma della penetrazione in Italia del Nord di nuovi linguaggi figurativi99. L’assenza di gigli sembra invece in linea
con la priorità assegnata all’identificazione personale e familiare che ricorre anche in altri grandi ufficiali.
Fig. 9 – Disegno del monumento funebre di Hugues de Baux ad Asti. Riproduzione da Pietro Giovanni Boateri, Lapidi ed iscrizioni esistenti nelle chiese della città di Asti, I, fol. 14 (Cherasco, Biblioteca civica, Fondo Adriani).
49 Per l’Italia centrale, si può invece ricordare la lastra tombale di Guillaume de Durfort, bailli del capitano militare di Firenze Aimeric de Narbonne, che trovò la morte a Campaldino100. Nella sua pur breve permanenza a Firenze, Guillaume strinse rapporti con l’Ordine dei Servi di Maria, nato nella prima metà del Duecento proprio in quella città. Nel suo testamento, egli dispose la propria sepoltura nell’attuale Santissima Annunziata, nel cui chiostro si può oggi ammirare la lastra che lo ritrae sul cavallo al galoppo (fig. 10). Guillaume brandisce una spada con la mano destra e lo scudo con la sinistra, identico a quelli, portati dall’entourage di Aimeric, riprodotti in un affresco fiorentino del Cinquecento che narra una scena del 1291101. Nella lastra, però, non mancano i simboli angioini: l’armatura è infatti disseminata di gigli della casata. In questo caso, dunque, la dimensione sociale, militare e cavalleresca è integrata con quella dell’appartenenza angioina. Ciò accade, a conferma di quanto si diceva sopra, nella raffigurazione di un ufficiale militare importante, ma non di vertice.
Fig. 10 – Lastra tombale di Guillaume de Durfort, Firenze, Santissima Annunziata, chiostro. cl.
Pierluigi Terenzi.
Stemmi
50 L’assunzione d’incarichi su nomina o conferma angioina procurava a molti cittadini la possibilità di intraprendere o consolidare una carriera. Il controllo politico e militare esercitato dai re angioini fece sì che coloro che erano già parte della rete degli ufficiali comunali, personalmente o attraverso la famiglia, assumessero la connotazione angioina nell’esercizio delle loro funzioni. Altri riuscirono a entrare nella rete proprio durante il periodo di dominazione angioina, anche se nel contesto di un fenomeno regolare di apertura di nuovi spazi. In entrambi i casi, la militanza per la causa angioina fu usata come elemento di rafforzamento dell’identità aristocratica familiare, tanto che alcuni ufficiali aggiunsero ai loro stemmi il capo d’Angiò o i gigli. In assenza di uno stemmario degli ufficiali angioini è difficile quantificare il fenomeno, ma si possono prendere a modello gli stemmi di ufficiali forestieri di Prato dipinti su diversi registri conservati nel locale Archivio di Stato102.
51 Basandoci su un catalogo che presenta 180 stemmi di podestà, capitani, conservatori etc., dal 1269 al 1497 (senza coprire tutti gli anni), possiamo osservare che 24 di essi presentano simboli angioini (13 %)103. Essi sono compresi fra il 1289 e il 1361, con un maggior numero nei primi decenni del Trecento, cioè il periodo di più intensa presenza angioina a Prato. Esaminando le provenienze di questi ufficiali, la prevalenza di Firenze è netta (5), seguita da San Gimignano, Perugia e Narni (2). Più in generale, dall’attuale Toscana provenivano 11 ufficiali, 10 dall’Umbria. Senza che ciò assuma un significato generale, si deve rilevare la concentrazione in queste aree di ufficiali che fecero delle insegne dinastiche un elemento della propria identità personale e familiare. È infatti da considerare anche l’appartenenza a famiglie che sin dal Duecento erano impegnate nel circuito degli ufficiali angioini, come ad esempio gli Adimari e i Rossi di Firenze. Per gli altri, spesso non è agevole capire quando inserirono elementi angioini nei blasoni, o se ciò fosse la conseguenza immediata dell’inclusione di una persona nel circuito oppure la celebrazione di una durevole collaborazione. Ad ogni modo questi ufficiali o le loro famiglie dovevano aver sviluppato un rapporto politico o personale molto stretto con
uno dei tre re angioini del Due-Trecento. Dal punto di vista della propaganda, si deve però sottolineare che si trattava di iniziative di cittadini e non della monarchia.
52 Allo stesso modo, il rapporto con gli Angiò poteva essere sottolineato anche includendo gli stemmi della dinastia in teorie o gruppi d’insegne riprodotti in palazzi e logge di famiglia, come fecero, tra i tanti altri, gli Alberti di Firenze104, oppure commissionando affreschi che celebrassero il potere angioino attraverso scene di battaglia, come fecero, a titolo d’esempio, i fiorentini Cerchi105. I Falletti di Alba fecero a loro volta dipingere gli stemmi angioini (del regno e della contea) nella decorazione del soffitto del palazzo Serralunga, realizzata probabilmente negli anni 1330-1340, in un’epoca in cui la dinastia già coltivava piuttosto disinvoltamente anche relazioni con i Savoia, le cui effigi sono anch’esse raffigurate nei cassettoni106.
Conclusioni
53 Presenti in una larga parte delle città dell’Italia centro-settentrionale, depositari di un potere monarchico, gli Angioini seppero impiegare l’immagine come strumento di propaganda. Per iniziativa diretta, attraverso soprattutto i vicari inviati nelle città soggette, o indiretta, per intervento e volontà dei gruppi dirigenti locali, l’insediamento degli Angiò nell’Italia comunale fu accompagnato pressoché ovunque dallo sviluppo di una campagna d’immagini complessa e articolata, con differenze tanto sul piano regionale (in special modo fra Piemonte, Lombardia e Toscana), quanto su quello cronologico, ma pur sempre mirata a rappresentare l’autorità sovrana e le sue prerogative. In sintonia con le forme della comunicazione iconica elaborate, a partire soprattutto dai primi del XIV secolo, dalle nascenti signorie cittadine, gli Angioini si posero da un lato tendenzialmente in continuità con i temi e i caratteri dell’iconografia politica comunale, che conobbe il suo primo sviluppo attorno alla metà del Duecento, con raffigurazioni di episodi storici, di santi, di stemmi; dall’altra, i sovrani napoletani (o chi per loro) non esitarono però a dare rappresentazione, attraverso l’immagine, a istituti e valori tipicamente «monarchici»107, come faranno a partire dai primi decenni del Trecento altre famiglie signorili quali i Visconti, gli Scaligeri, i Carraresi108.
54 In assenza di una politica monumentale – gli Angiò non costruirono residenze proprie nelle città sottoposte come faranno invece i signori trecenteschi – l’iconografia angioina trovò espressione tanto negli edifici ecclesiastici quanto, e soprattutto, in quelli civili già esistenti, lasciando proprio in questi ultimi le tracce più evidenti di un discorso politico per immagini coerente. Le rare attestazioni materiali e le più consistenti menzioni scritte attestano come nei palazzi comunali, centro simbolico e funzionale delle istituzioni civiche, la presenza del sovrano e dei suoi rappresentanti si fosse fatta più marcata, attraverso il ricorso al ritratto (siamo agli albori del genere), anche inserito in contesti narrativi più larghi, e, in modo ben più intenso, all’immagine araldica109.
55 Come l’avvento degli Angiò non mutò nella sostanza il quadro istituzionale locale, contrariamente a quanto accadrà per larga parte dei governi signorili trecenteschi, all’interno delle sedi del potere civico, dal punto di vista dell’immagine, la loro presenza s’inserì armonicamente nel repertorio iconografico comunale, senza rivoluzionarlo. Semplici riferimenti all’autorità regia inseriti all’interno di temi già appartenenti alla tradizione celebrativa del comune urbano permisero così agli Angiò
di «appropriarsi», anche sul piano visivo, di tali spazi, rendendoli monarchici senza per questo cancellare la loro dimensione civica e comunale110.
56 D’altra parte, gli stessi gruppi dirigenti locali seppero appropriarsi delle immagini angioine per trasmettere messaggi di natura politica e istituzionale e connotare politicamente gli spazi urbani. Infatti, sono spesso le magistrature cittadine a commissionare gli stemmi scolpiti o dipinti sulle pareti degli edifici pubblici, così come quelli riprodotti sugli apparati effimeri realizzati in occasione delle visite dei sovrani o per accompagnarne i rappresentanti nell’esercizio delle loro funzioni. In queste sue manifestazioni pubbliche, lo stemma angioino non sostituisce, ma affianca quelli delle istituzioni locali e dei loro funzionari, prima per visualizzare una componente dello spazio istituzionale cittadino e dichiarare un’appartenenza di fazione, poi, per esprimere l’identità locale, permanendo con tale accezione nell’immaginario simbolico civico, persino oltre il termine dell’esperienza signorile. Con tale valenza ben più generale il capo angioino, brisura distintiva della casata rispetto al ramo principale dei Capetingi-Valois, fu addirittura incorporato negli stemmi di città e istituzioni, talvolta convivendo (Bologna, Firenze) – in modo solo apparentemente ossimorico, ma in realtà in coerente continuità con la capacità angioina di armonizzare le istituzioni monarchiche con quelle cittadine – con motti inneggianti alla Libertas. In ambito privato invece, quello dei funzionari e degli esponenti delle famiglie dei centri guelfi, l’immagine (ancora una volta essenzialmente araldica) dei sovrani di Napoli sarà usata come elemento di promozione sociale e di rivendicazione di appartenenza politica, in opposizione al capo imperiale, simbolo distintivo di appartenenza ghibellina.
57 Se il governo diretto degli Angiò sui comuni dell’Italia centro-settentrionale fu in molti casi limitato a pochi anni, il loro passaggio lasciò un’impronta di lunga durata nel panorama monumentale urbano e nelle forme della rappresentazione araldica di persone fisiche e morali. Guardando all’Italia comunale guelfa del Due-Trecento, si può così ben dire, parafrasando le parole di Montaigne, che gli angioini «y sont partout»111.
NOTE
1. L’articolo è frutto di una scrittura congiunta e di un continuo confronto fra gli autori. Per comodità si possono attribuire a Matteo Ferrari l’introduzione generale, i paragrafi «I palazzi comunali e gli altri luoghi della propaganda politica» e «L’araldica angioina», e le «Conclusioni»; a Riccardo Rao i paragrafi «Rituali feudali, rituali civici e vessilli gigliati» e «Monumenti funebri»; a Pierluigi Terenzi i paragrafi «L’immagine del sovrano», «Le pitture celebrative», «Gli ufficiali angioini», «Sigilli» e «Stemmi». Sulle dominazioni angioine in Italia centro-settentrionale, si faccia riferimento almeno a R.
Comba (a cura di), Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1259-1382), Milano, 2006, e P.
Terenzi, Gli Angiò in Italia centrale. Potere e relazioni politiche in Toscana e nelle terre della Chiesa (1263-1335), Roma, 2019. Sull’iconografia politica comunale si rimanda, in particolare, ai lavori di Maria Monica Donato (di cui una selezione è ora presentata in M. Ferrari (a cura di), Maria Monica Donato. La «bellissima inventiva». Un percorso
nell’iconografia politica comunale, Pisa, in corso di stampa) e, limitatamente ai comuni dell’area padana, a M. Ferrari, Comunicare per immagini nei Comuni lombardi. Temi, funzioni, committenza (XIII-XIV secolo), in preparazione.
2. Tale questione, comune a tutta l’iconografia politica medievale, è centrale nella riflessione metodologica di M. M. Donato, Dal Comune rubato di Giotto al Comune sovrano di Ambrogio Lorenzetti (con una proposta per la ‘canzone’ del Buon governo), in A. C.
Quintavalle (a cura di), Medioevo: immagini e ideologie, Atti del convegno (Parma, 23-27 settembre 2002), Milano, 2005, p. 489-509, in part. p. 489.
3. Per l’area padana il fenomeno è stato messo in luce da M. Ferrari, Stemmi esposti.
Presenze araldiche nei broletti lombardi, in Id. (a cura di), L’arme segreta. Araldica e storia dell’arte nel Medioevo (secoli XIII-XV), Firenze, 2015, p. 91-107, a p. 91-93. Sull’araldica comunale sono fondamentali A. Savorelli, Piero della Francesca e l’ultima crociata. Araldica, storia e arte tra Gotico e Rinascimento, Firenze, 1999; V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana. Identità e territorio attraverso l’araldica dei comuni: storia e invenzione grafica (secoli XIII-XVII), Firenze, 2006; Ch. F. Weber, Zeichen der Ordnung und des Aufruhrs. Heraldische Symbolik in italienischen Stadtkommunen des Mittelalters, Colonia-Weimar-Vienna, 2011, e altri studi degli stessi autori.
4. Per esempio, a Tortona, l’abitazione privata in cui risiedeva il siniscalco Pierre de Cadenet fu provvista di nuovi materassi, pagati dal clavaro del comune: R. Rao, I siniscalchi e i grandi ufficiali angioini di Piemonte e Lombardia, in Id. (a cura di), Les grands officiers dans les territoires angevins - I grandi ufficiali nei territori angioini, Roma, 2017, p. 237-260: p. 241-242. Per la Toscana si veda l’esempio di Prato portato da C. Cerretelli, La piazza ed il palazzo del Comune dal XIII agli inizi del XIV secolo, in Prato storia e arte, XXXI, 91, n. 77, p. 7-44: p. 25-28.
5. G. Donato, Il cielo dipinto. Il cosmo cavalleresco nei soffitti di età angioina del palazzo Serralunga, in R. Comba (a cura di), Alba medievale: dall’alto medioevo alla fine della dominazione angioina (secoli VI-XIV), Alba, 2009, p. 209-252.
6. Per l’iconografia di san Ludovico da Tolosa, si veda, limitatamente all’Italia comunale, I. Gagliardi, San Ludovico fra tradizione agiografica e diffusione del culto in partibus Tusciae, in A. Benvenuti, R. Nelli (a cura di), Culto dei santi e culto dei luoghi nel Medioevo pistoiese, Atti del convegno di studi (Pistoia, 16-17 maggio 2008), Pistoia, 2010, p. 75-96. Si vedano anche le osservazioni di R. M. Dessì, Les spectres du bon gouvernement d’Ambrogio Lorenzetti. Artistes, cités communales et seigneurs angevins du Trecento, Parigi, 2017, p. 184-194. Più in generale, sulla rappresentazione dei «santi angioini» nell’Italia centrale, M. Seidel, La scoperta del sorriso. Vie di diffusione del gotico francese (Italia centrale, 1315-25), in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 51, 2007, p. 45-158, a p.
60-67. Per la committenza angioina a Sant’Andrea di Savigliano, si veda almeno M. Piccat, Carlo Magno e la cultura angioina in Piemonte: la cappella di San Nicola in Savigliano, Savigliano, 2000.
7. A. Savorelli, Segni e simboli araldici nell’arte fiorentina dal Medioevo al Rinascimento, in M.
M. Donato, D. Parenti (a cura di), Dal giglio al David. Arte civica a Firenze fra Medioevo e Rinascimento, Firenze, 2013, p. 73-77: p. 74.
8. Su questi aspetti si veda anche il saggio di Laurent Hablot nel presente volume.
Un’utile illustrazione degli stemmi dei diversi sovrani angioini è fornita da Ch. de Mérindol, L’héraldique des princes angevins, in N.-Y. Tonnerre, É. Verry (a cura di), Les
princes angevins du XIIIe au XVe siècle. Un destin européen, Rennes, 2003, p. 277-310, http://
books.openedition.org/pur/18350 (URL consultato il 14/05/2017).
9. D. Balestracci, La rappresentazione del potere. Considerazioni sull’Italia centro-settentrionale (XIII-XV secolo), in F. Cavalli, M. Cecere (a cura di), Significar per verba.
Linguaggi, comunicazione e divulgazione dal medioevo ad oggi, Atti del convegno (Gradisca d’Isonzo, 14-15 novembre 2003), Gradisca d’Isonzo, 2004, p. 93-114: p. 107.
10. M. Ferrari, Stemmi esposti… cit., p. 95, 98: «Sul finire del Duecento […] l’araldica nei Comuni settentrionali aveva ormai assunto una valenza polisemica, elevata a strumento autonomo della comunicazione politica», sicché le insegne araldiche, che ancora alla metà del secolo non erano «un elemento portatore di significato, né sul piano descrittivo, né su quello ideologico», divengono «funzionali alla costruzione di una comunicazione ormai pienamente politica».
11. Si veda P. Terenzi, Gli Angiò in Italia centrale… cit., p. 65-85.
12. Oltre, paragrafo 2.
13. M. Ferrari, Stemmi esposti… cit., p. 103.
14. Su cui si veda A. Savorelli, Piero della Francesca… cit., p. 49-76.
15. F. Filippini, G. Zucchini, Miniatori e pittori a Bologna. Documenti dei secoli XIII e XIV, Firenze, 1947, p. 163-164.
16. A. Savorelli, Segni e simboli araldici… cit.
17. Sugli aspetti problematici di questa panoplia araldica si veda Id., Quanti sono i «nove stemmi della Repubblica fiorentina?». Un indovinello dantesco, in A.Parigi, 2018, p. 31-62.
Casanova et al. (a cura di), E sì d’amici pieno. Omaggio di studiosi italiani a Guido Bastianini per il suo settantesimo compleanno, Firenze, 2016, vol. 2, p. 665-677.
18. M. Ferrari, Stemmi esposti… cit., p. 100 con bibliografia indicata.
19. R. M. Dessì, Les spectres du bon gouvernement … cit., p. 135-136 (di tale lavoro abbiamo potuto rendere conto solo parzialmente, poiché uscito quando il contributo era già stato consegnato dagli autori per la pubblicazione).
20. Si vedano i numerosi esempi di matricole e statuti di corporazioni del Tre-Quattrocento che, fra le miniature, presentano stemmi angioini o con elementi angioini, in M. Medica (a cura di), Haec sunt statuta. Le corporazioni medievali nelle miniature bolognesi, Catalogo della mostra (Rocca di Vignola, 27 marzo-11 luglio 1999), Modena, 2003.
21. Sigillo riprodotto in apertura da L. Fumi, Codice diplomatico della città d’Orvieto.
Documenti e regesti dal secolo XI al XV […], Firenze, 1884, sul quale si veda ora G. Ermini, La campana del Palazzo del Popolo di Orvieto (1316), in M. Ferrari (a cura di), L’arme segreta.
Araldica e storia dell’arte nel Medioevo (secoli XIII-XV), Firenze, 2015, p. 109-125, a p.
124-125.
22. Anche i sigilli dei comuni di Colle Valdelsa e Incisa Valdarno presentavano, nella prima metà del Trecento, un capo d’Angiò: A. Muzzi, B. Tomasello, A. Tori (a cura di), Sigilli nel Museo nazionale del Bargello, III, Civili, Firenze, 1990, n. 37 e 113. Riproduzioni degli attuali stemmi comunali italiani sono facilmente reperibili sul web, pertanto evitiamo di fornirle nel corpo del testo.
23. Sullo stemma di San Gimignano, la cui genesi resta comunque problematica, si veda C. Tibaldeschi, A. Savorelli, V. Favini, Popolo di Toscana, cavalieri di Francia. L’araldica del Palazzo Comunale di San Gimignano, in Nobiltà. Rivista di Araldica, Genealogia, Ordini
cavallereschi, XV, 2008, p. 25-43. Per altri esempi di area toscana, non trattati nel nostro contributo, oltre ai già citati lavori di Savorelli, si veda M. Popoff, Répertoire d’héraldique italienne, I, Florence (1302-1700), Paris, 1991 e II, Toscane (hors Florence): Arezzo, Borgo San Sepolcro, Fiesole, Lucca, Montepulciano, Pisa, Pistoia, San Gimignano, Siena, XIIIe-XIXe siècles, Parigi, 2009.
24. Così V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana… cit., p. 100.
25. C. Cerretelli, Sui pittori di stemmi e scudiccioli, in Leoni vermigli e candidi liocorni, Prato, 1992, p. 99-126, a p. 111-119.
26. V. Favini, A. Savorelli, Segni di Toscana… cit., p. 90-92.
27. I. Cappellini, Un inconsueto stemma angioino a Firenze, in Archivio Storico Italiano, CXXIII, 1965, n. 445, p. 74-80 e V. Camelliti, scheda 12 (Incoronazione della Vergine), in M. M. Donato, D. Parenti (a cura di), Dal giglio al David… cit., p. 132.
28. D. Liscia Bemporad, A. Savorelli, D. Giorgi, scheda 56 (Bossolo per votazioni), ibid., p. 227-228.
29. Sull’opera, probabilmente frutto dell’assemblaggio di pezzi preesistenti e forse modificata nell’Ottocento, si veda A. Cavinato, F. Klein, D. Liscia Bemporad, scheda 57 (Vangeli per il giuramento dei Priori), ibid., p. 230-232.
30. Sul quale A. Savorelli, Quanti sono i «nove stemmi della Repubblica fiorentina?»… cit., con bibliografia indicata.
31. Su queste due ultime statue si vedano R. Davidsohn, Di due statue angioine a Piacenza e a Napoli, in Rivista d’Arte, VII, 1-2, p. 45-46 e J. Gardner, Boniface VIII as a patron of sculpture, in A. M. Romanini (a cura di), Roma anno 1300, Atti della IV settimana di studi dell’arte medievale (Roma, 19-24 maggio 1980), Roma, 1983, p. 513-521, a p. 516.
32. G. Sivieri, Il comune di Prato dalla fine del Duecento alla metà del Trecento, in Archivio storico pratese, XLVII, 1971, p. 3-57, a p. 21-22.
33. Sulla signoria angioina a Prato e il relativo contesto, si veda ora P. Terenzi, Gli Angiò in Italia centrale… cit., p. 100-118.
34. C. Grassi, Il testo latino e la traduzione, in Convenevole da Prato, Regia Carmina dedicati a Roberto d’Angiò re di Sicilia e di Gerusalemme, ed. C. Grassi, Cinisello Balsamo, 1982, p. 7-14 e, più recentemente, L. Debernardi, scheda 30 (Regia carmina), in M. M. Donato, D. Parenti (a cura di), Dal Giglio al David… cit., p. 166-169, e A. Tomei, I Regia Carmina dedicati a Roberto d’Angiò nella British Library di Londra: un manoscritto tra Italia e Provenza, in Arte medievale, s. 4, 6, 2016, p. 201-212. La riproduzione digitale del manoscritto Royal MS 6 E IX della British Library è disponibile al seguente indirizzo:
http://www.bl.uk/manuscripts/FullDisplay.aspx?ref=Royal_MS_6_E_IX (consultato il 14/05/2017).
35. Sulla moneta, imitazione del gigliato napoletano, si veda M. Bernocchi, Il gigliato pratese, Prato, 1970, p. 41-49.
36. Il disegno si trova all’interno di un manoscritto conservato dall’Accademia toscana di scienze e lettere «La Colombaria» di Firenze – sul quale M. Ferrari, scheda 31 (Statua di Roberto d’Angiò al Palazzo Pretorio di Prato, 1335), in M. M. Donato, D. Parenti (a cura di), Dal giglio al David… cit., p. 170-171 – ed è stato pubblicato per la prima volta da S.
Nicastro, La statua di re Roberto sulla facciata del Palazzo Pretorio, in Archivio Storico Pratese, II, 1919, p. 140-147. A. Assirelli, Una statua di Roberto d’Angiò a Prato, in Prato storia e arte,
XXXII, 1991, n. 78, p. 71-76, ne offre una riproduzione ripulita dalle linee verticali presenti nel disegno originale.
37. Si veda F. Aceto, S. D’Ovidio, E. Scirocco (a cura di), La chiesa e il convento di Santa Chiara. Committenza artistica, vita religiosa e progettualità politica nella Napoli di Roberto d’Angiò e Sancia di Maiorca, Napoli, 2014.
38. M. Ferrari, scheda 31 (Statua di Roberto d’Angiò)… cit.
39. Si veda, in sintesi, E. B. Di Gioia, C. Parisi Presicce, Carlo I d’Angiò Re di Sicilia e Senatore di Roma. Il monumento onorario nel Campidoglio del Duecento, Roma, 2009.
40. Queste opere, perdute, sono documentate da fonti scritte. Si veda M. M. Donato,
«Cose morali, e anche appartenenti secondo è luoghi»: per lo studio della pittura politica nel tardo medioevo toscano, in P. Cammarosano (a cura di), Le forme della propaganda politica
«Cose morali, e anche appartenenti secondo è luoghi»: per lo studio della pittura politica nel tardo medioevo toscano, in P. Cammarosano (a cura di), Le forme della propaganda politica