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Parte I Sostenibilità, Scienza e Sistem

Capitolo 4. Morale ambientale

Morale ambientale

l’esperienza nel rimanere calmi e rilassati, nel gesti- re la tensione emotiva, poiché, come insegna John Stuart Mill3, che critica il razionalismo assoluto del pensiero economico ortodosso, il ruolo della sfera emotiva nella costruzione del processo decisionale umano è fondamentale.

La soluzione ideale o perfetta non esiste: sce- gliere significa di per se prendere una strada, che ha lati positivi e negativi, abbandonando le altre per-

corribili. Decidere è ottenere qualcosa e rinunciare a qualcos’altro.

Rimane un principio fondamentale per cui le azioni devono essere valutate in base alle conse- guenze, nella consapevolezza che si debbano im- piegare regole tramite consolidate in pregresse esperienze.

Queste esperienze pregresse a livello locale sono il patrimonio storico sedimentato nelle co- scienze degli abitanti di quel territorio che si ma- nifestano in prassi operative, in comportamenti, che espressione dei valori del contesto culturale, ambientale, territoriale e umano.

Esiste allora, anche una morale ambientale nel- le coscienze delle generazioni di donne e uomini che vivono nel territorio, secondo la quale vi sono azioni che vanno incontro ad una approvazione o a una condanna morale.

La morale ambientale, già definita come l’at- teggiamento ed il comportamento che il decisore e gli

stakeholder assumono riguardo ai problemi am- bientali, non può essere trascurata se si intendono operare scelte che vanno ad innovare il patrimonio culturale di una popolazione.

In qualsiasi contesto, sia pubblico che privato, una scelta innovativa non è determinata solamente da circostanze interne alle organizzazioni, ma an- che da atteggiamenti e comportamenti rispetto al territorio, entro il quale i decision maker operano. E’ allora importante che un decisore, che voglia operare delle scelte innovative anche su temi lega- ti all’ambiente, si faccia carico di sviluppare non solo gli aspetti interni che favoriscono il cambia- mento, ma anche i fattori esterni del sistema, che condizionano fortemente l’accettazione delle con- seguenze di certe scelte.

Dalle politiche ambientali

alle politiche di sviluppo

Nonostante i principi e le normative interna- zionali sulla sostenibilità abbiano cominciato ad essere condivisi ed accettati a livello di consape-

3 Mill J.S., (1983), Principi di economia politica, a cura di Biancamaria Fontana,

presenti nell’ambito spaziale, che sarà a sua volta influenzato dalla politica che deciderà di attuare.

Lo scopo di questo capitolo sarà pertanto quel- lo di illustrare al decisore il ruolo che ricopre la

morale ambientale nel prendere decisioni, i diversi

atteggiamenti e comportamenti attraverso i quali viene declinato operativamente il concetto di mo- rale ambientale e gli strumenti per leggerne le sue espressioni in un territorio, al momento di dover prendere una decisione.

L’auspicio è quello di rendere il concetto di so- stenibilità di immediata traducibilità pratica, decli- nandolo da teoria contenuta nei documenti e nelle Direttive europee ed internazionali a prassi di go- verno e amministrazione di un territorio.

Perché occorre valutare la morale

ambientale nel prendere buone decisioni

Se fosse sempre possibile applicare un criterio utilitaristico alle scelte, sarebbe molto semplice per qualsiasi decisore, che si trova ad affrontare e ri- solvere problemi ambientali complessi, valutare a priori quando una scelta è da considerare buona o non buona. Secondo il pensiero economico or- todosso, fondato sulle riflessioni di Jeremy Ben- tham2, è sempre possibile valutare le conseguenze delle scelte secondo il criterio dell’utilità.

Un amministratore a livello locale, per raggiun- gere il suo obiettivo, che è quello di accrescere il benessere per una comunità, dovrà accrescere l’u- tilità di un maggior numero di persone possibili, ipotizzando cioè che l’utilità delle persone sia som- mabile. Si nega in tal modo una antropologia rela- zionale e si fornisce maggiore importanza ai fini e non ai mezzi attraverso i quali questo fine viene raggiunto. Le politiche pubbliche, secondo questa logica, devono far sì che la somma delle utilità in- dividuali sia la più alta possibile.

Nella realtà, scegliere per un amministratore è un processo continuo, come un fiume che scorre, ed ogni scelta ha delle conseguenze che richiama- no altre scelte e spesso tanto più una decisione vie- ne percepita come importante tanto più si hanno difficoltà nella decisione.

Pensiamo a un giocatore che sbaglia un rigore ai mondiali: non si può pensare che non sappia tirare un rigore, altrimenti non sarebbe là. Cosa accade allora? E’invaso dalle emozioni poiché sente il peso

della responsabilità che ha in quell’unico tiro. Nei momenti importanti non conta la tecnica quanto

2 Bentham J., (1823), An Introduction to the Principles of Morals and Legislation; Edition used: Bentham J., (1907), An Introduction to the Principles of Morals

e tagli dei trasferimenti dallo Stato centrale4, di finanziamenti e strumenti di governance messi a disposizione a livello locale da pro- grammi e progetti comunitari dedicati all’e- nergia, all’ambiente e alla mobilità;

c) la gestione dei servizi pubblici locali quali reti idriche, rifiuti, trasporti, produzione e approvvigionamento energetico, capaci di incidere fortemente nell’economia locale, nell’organizzazione sociale di un territorio e nel consenso politico ricoperto da una am- ministrazione.

Ruolo correttivo versus ruolo strategico. Le politica e

l’atteggiamento culturale presente in molti ambiti decisionali pubblici hanno assegnato in primo luo- go alle politiche ambientali la funzione di svolgere un ruolo correttivo e di aggiustamento al degrado ecologico prima che questo si trasformi in danno economico o sociale per i territori coinvolti. Se- condo questo approccio le decisioni che riguarda- no l’ambiente non mettono in discussione il mo- dello economico e le regole che hanno generato il degrado ecologico, puntano tutt’al più ad inter- venti di bonifica, riqualificazione e riconversione di aree del proprio territorio in stato di degrado. Come afferma Magnaghi in questo modello:

il territorio è ancora trattato come un supporto tecnico-funzionale della produzione, del quale occorre con- siderare i limiti di sopportazione nel suo uso, un uso comunque strumen-

4 Cosa è il Patto di stabilità interno. Il Patto di Stabilità Interno (PSI) nasce dall’esigenza di convergenza delle economie degli Stati membri della Ue verso specifici parametri, comuni a tutti, e condivisi a livello europeo in seno al Patto di stabilità e crescita e specificamente nel trattato di Maastricht (Indebitamento netto della Pubblica Amministrazione/P.I.L. inferiore al 3% e rapporto Debito pubblico delle AA.PP./P.I.L. convergente verso il 60%). L’indebitamento netto della Pubblica Amministrazione (P.A.) costituisce, quindi, il parametro principale da controllare, ai fini del rispetto dei criteri di convergenza e la causa di formazione dello stock di debito. L’indebitamento netto è definito come il saldo fra entrate e spese finali, al netto delle operazioni finanziarie (riscossione e concessioni crediti, partecipazioni e conferimenti, anticipazioni), desunte dal conto economico della P.A., preparato dall’ISTAT. Un obiettivo primario delle regole fiscali che costituiscono il Patto di stabilità interno è proprio il controllo dell’indebitamento netto degli enti territoriali (regioni e enti locali). Il Patto di Stabilità e Crescita ha fissato dunque i confini in termini di programmazione, risultati e azioni di risanamento all’interno dei quali i Paesi membri possono muoversi autonomamente. Nel corso degli anni, ciascuno dei Paesi membri della Ue ha implementato internamente il Patto di Stabilità e Crescita seguendo criteri e regole proprie, in accordo con la normativa interna inerente la gestione delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo. Dal 1999 ad oggi l’Italia ha formulato il proprio Patto di stabilità interno esprimendo gli obiettivi programmatici per gli enti territoriali ed i corrispondenti risultati ogni anno in modi differenti, alternando principalmente diverse configurazioni di saldi finanziari a misure sulla spesa per poi tornare agli stessi saldi. La definizione delle regole del patto di stabilità interno avviene durante la predisposizione ed approvazione della manovra di finanza pubblica; momento in cui si analizzano le previsioni sull’andamento della finanza pubblica e si decide l’entità delle misure correttive da porre in atto per l’anno successivo e la

volezza sociale ed istituzionale fin dalla fine dagli anni Novanta, il passaggio dal piano dei principi alla traduzione operativa delle politiche ambientali è ancora oggi viziato da una serie di atteggiamen- ti e comportamenti assunti dall’amministratore locale sulle questioni ambientali riconducibili al secolo passato. Occuparsi di ambiente, infatti, era tutt’al più un compito portato avanti avendo una percezione separata dal resto delle politiche e del

tutto secondaria rispetto alle decisioni strategiche da prendere per lo sviluppo del territorio. Rias- sumiamo in seguito i punti più rilevanti di questi atteggiamenti: Ruolo secondario versus priorità, Ruolo correttivo versus ruolo strategico, Indicatori di precauzio- ne versus indicatori di prevenzione, Natura versus società, Approccio settoriale versus approccio integrato, Ambiente come business versus ambiente condizione per lo sviluppo, Generazioni presenti versus generazioni future.

Ruolo secondario versus priorità. Le politiche am-

bientali, così come le politiche sociali, nell’agenda delle priorità e nel setting dei problemi da affrontare

a livello decisionale sono sempre stati concepite come secondarie e marginali rispetto alle politiche di sviluppo. La logica conseguente a questo atteg- giamento è il frutto della politica delle due fasi: prima

di tutto occorre occuparsi dei problemi economici, della produzione e del lavoro e soltanto dopo si può dare attenzione alle tematiche inerenti all’am- biente. Questo atteggiamento si è ulteriormente aggravato a partire dalla crisi recessiva del 2008, anche se questa modalità di approccio appare a molti decisamente da superare. L’ambiente non gioca più nella piattaforma di governo del territo- rio un ruolo di contorno, bensì costituisce ormai una priorità. La politica dei due tempi ha ceduto il passo ad un unico processo decisionale nel quale le scelte ambientali giocano un ruolo cruciale nel go- verno del territorio. La ragione di questa centralità è dovuta ad una serie di fattori:

a) il legame e l’interdipendenza sempre più for- te delle politiche ambientali con le politiche del lavoro, il rilancio dell’economia locale, le politiche abitative, l’attenzione crescente verso la salute e la qualità della vita dei citta- dini, la riconversione ecologica di una parte del tessuto produttivo-industriale non più competitivo ed in via di riconversione, il tu- rismo. Oltre a ciò, vi è una forte richiesta da parte della cittadinanza di maggiore infor- mazione, trasparenza ed efficienza dell’ope- rato della Pubblica Amministrazione; b) la presenza sempre più diffusa, in tempi

bo. Il passaggio dal principio della precauzione a quello della prevenzione ha implicazioni sia nella scelta degli indicatori, sia nel tipo di informazione che viene data al cittadino. Dal punto di vista della prevenzione, se la priorità di intervento è quella di ridurre il livello di emissione da trasporti, è ne- cessario considerare non tanto gli indicatori della qualità dell’aria, che sono dati per certi, ma con- centrarsi su parametri che descrivano il modello di trasporto per poter agire su di esso. Per quan- to riguarda l’informazione, come già accennato in precedenza, la prevenzione implica un diverso ap- proccio comunicativo. Nel caso della prevenzione l’informazione non può limitarsi a interpretare la gravità dei fenomeni di deterioramento ambientale in termini di emergenza. La prevenzione, infatti, presuppone, ad esempio, campagne continuative basate su dati certi e orientati a favorire un pro- gressivo aumento della consapevolezza.

Natura versus società. L’atteggiamento assunto

verso l’ambiente viene del tutto disgiunto dall’at- tenzione al territorio, dalle società e dalle culture che in esso si esprimono. Questo atteggiamento persegue un comportamento di tipo opposto e tende a concepire le politiche ambientali esclusiva- mente in funzione di salvaguardia e conservazione delle risorse del sistema naturale, biosfera, geosfe- ra, idrosfera, fauna e flora, sistemi ambientali, reti ecologiche, come un tutt’uno di cui vanno rispet- tate le leggi di autoproduzione. L’accento, piutto- sto che sull’uso, viene posto sull’intoccabilità. In questo senso l’ambiente è percepito come spazio naturale del tutto disgiunto non solo dall’ambien- te costruito e modificato, bensì anche separato dal sistema sociale del quale esso è parte. Le radici di questo atteggiamento sono da rintracciare nel mo- vimento romantico ecologista di fine ottocento in cui si prefigurava una società utopistica nella quale l’ambiente veniva liberato dalle storture del siste- ma capitalistico e industriale e l’uomo tornava a vivere in armonia con la natura. Questo immagi- nario, che percepisce l’ambiente come uno spazio naturale intoccabile e incontaminato dalla mano dell’uomo, viene oggi riproposto con altri mezzi nelle rappresentazioni pubblicitarie. Questi mes- saggi associano i nuovi prodotti appena introdotti nel mercato, spesso ad alto impatto ambientale, all’interno di uno scenario idilliaco nel quale la na- tura è raffigurata pura, intatta e senza la presenza dell’uomo, salvo ovviamente a quella del consuma- tore che si appresta ad usufruire del nuovo prodot- to. Le decisioni ambientali ispirate in forma più o meno radicale a questo approccio sono prese del tutto a prescindere dalle ripercussioni economiche e sociali che da esse derivano e dalle espressioni e tale rispetto al modello di sviluppo e

alle variabili che ne connotano la pro- duzione di ricchezza5.

Al contrario, dallo svolgere solamente un ruolo correttivo le politiche ambientali oggi sono fonda- mentali per lo sviluppo locale di aree geografiche e contesti territoriali che fanno della sostenibilità la cornice strategica dei loro interventi, specie quan- do agiscono a monte del processo decisionale anzi-

ché a valle.

Indicatori di precauzione versus indicatori di preven- zione. La prima cosa con cui entra in contatto un

decisore che si trova sul tavolo una serie di pro- blemi e di situazioni ambientali è una serie infi- nita di numeri e dati statistici: gli indicatori. Gli indicatori sono costituiti da un insieme sintetico di informazioni rappresentative di un fenomeno. La caratteristica principale di un indicatore è che, anche di fronte ad una realtà complessa, l’indica- tore deve descrivere e comunicare a differenti li- velli di informazione. Il primo errore nel quale si può facilmente incorrere è quello di credere che gli indicatori siano neutri, basati su criteri oggettivi di natura tecnico-scientifica e del tutto separati da valutazioni economiche e/o politiche. Questa idea è errata e corrisponde ad una concezione novecen- tesca nella quale la scienza veniva considerata una religione secolare in grado di interpretare e risolve- re qualsiasi problema. In realtà gli indicatori sono una costruzione sociale. Per dimostrare la verità di questa affermazione facciamo una serie di esempi basati su due principi: il principio di precauzione ed il principio di prevenzione.

Per sua natura il principio precauzionale è ba- sato su una sorta di adesione volontaria che parte dal cittadino, può coinvolgere l’industria, come nel caso dell’adesione all’Ecolabel, e infine coinvolge la Pubblica Amministrazione. Il principio della prevenzione si basa, invece, su presupposti diver- si. Secondo questo principio il punto di partenza è l’esistenza di una situazione certa: di fronte alla certezza di cambiamenti climatici in atto e delle loro conseguenze negative sull’ambiente, bisogna attuare misure che mitighino il fenomeno e che alla lunga lo eliminino. L’accettazione dell’uno o dell’altro comporta approcci differenti sia dal pun- to di vista tecnico-scientifico, ma soprattutto dal punto di vista delle azioni politiche. In questo caso si restringono i margini di volontarietà e le misu- re sono prese nell’ambito di normative vincolanti. I costi economici, ad esempio, non possono, nel caso della prevenzione, giustificare la mancata ado- zione della misura: è questo il caso della abolizione a livello europeo della benzina contenente piom-

attraverso il progresso tecnologico si possono su- perare e rendere risolvibili tutti i problemi e che il mercato possa funzionare come agente regolatore per evitare il sovra-consumo e l’esauribilità delle risorse6. Secondo questa morale i costi ambien- tali vengono esternalizzati ed i beni comuni mo- netizzati. La monetizzazione e la privatizzazione dei principali beni comuni, quali l’acqua, l’aria, le foreste, le sementi agricole e il suolo, diventano pertanto la strategia ottimale da perseguire per sal- vaguardarne la qualità e l’esistenza. Al contrario, un atteggiamento alternativo a questo approccio meccanicistico è quello che individua nella salva- guardia dei cicli della natura e nella definizione di limiti e confini per gli interventi sul territorio la condizione sine qua non e la compatibilità tra cre-

scita e sviluppo, dove il rilancio qualitativo della crescita economica risulta fondamentale. Questa morale, riconducibile all’approccio eco-sistemico, descritto nel Capitolo 3, si traduce nel tentativo di internalizzare i costi ambientali e favorire l’accesso di tutti ai beni comuni.

Generazioni presenti versus generazioni future. Dalla

dichiarazione contenuta nel Rapporto della Com- missione Brundtland in poi, l’atteggiamento e il comportamento dei decisori dovrebbe essere ri- volto ad uno sviluppo sostenibile che, come affer- ma il Wced (World Commission on Environment and Development)

soddisfi i bisogni del presente sen- za compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i pro- pri7.

Il concetto cardine è l’acquisizione della con- sapevolezza, soprattutto da parte di governanti ed amministratori, che le azioni e gli interventi effet- tuati hanno delle ripercussioni sulla generazione contemporanea e su quelle che verranno. Questo concetto nasce in un periodo storico nel quale nel ricadute a medio-lungo termine di azioni, politiche e progetti non venivano considerate e le ripercus- sioni negative di tali azioni presentavano spesso il

conto alle generazioni successive. Normative come

la VIA e la VAS rappresentano il superamento di questo impasse, unitamente a direttive orientate a dare continuità a interventi e decisioni prese nel campo della salvaguardia ambientale. Nonostan- te talune eccezioni e resistenze, questa maggiore attenzione agli impatti futuri è entrata a far par- te della cultura e della prassi amministrativa. Gli scenari di sostenibilità tendono ad avere un oriz- zonte temporale molto ampio, in alcuni casi fino

6 Magnaghi A., (2000), Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino, p. 54 7 World Commission on Environment and Development, (1987), Our

peculiarità culturali di un dato contesto. Al con- trario l’ambiente oggi non è più considerato come spazio naturale a sé stante, bensì come fatto socia- le inserito all’interno di un’organizzazione sociale con la quale interagisce. Tra società e ambiente c’è quindi un complesso dialettico continuo che cerca il suo equilibrio, ma che spesso produce e trova conflitto e competizione anziché cooperazione.

Approccio settoriale versus approccio integrato. Le de-

leghe assegnate ai diversi Amministratori Locali che ricoprono incarichi nell’ambito di responsa- bilità ambientali quali i rifiuti, la mobilità, l’acqua, l’energia, l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca, nonché la pianificazione urbana sono spesso divi- se tra diversi assessorati ed il più delle volte sono gestite in maniera settoriale e autoreferenziale. Al contrario i vari ambiti che rientrano nelle politiche ambientali non solo non possono essere concepiti in maniera isolata e settoriale, bensì non possono disgiungersi dalle politiche di sviluppo, dalle poli- tiche culturali, dalle politiche sociali, dalle politi- che sul turismo e dalle politiche sul lavoro. Per un decisore locale operare sui rifiuti ha conseguenze sul sistema e sull’infrastruttura energetica presente nel proprio territorio così come prendere decisioni sulla pianificazione urbana e sulle politiche abitati- ve non può non avere ripercussioni sulla mobilità. Allo stesso modo l’acqua è connessa a questi am- biti così come a quello inerente le politiche agrico- le, della pesca o forestali. Il turismo a sua volta è condizionato dallo stato dei servizi e dalla qualità ambientale di una destinazione. Nel governo del territorio questa interdipendenza è oggi resa con- creta dall’approccio alla smart city. Ciò che diffe-

renzia l´approccio smart city rispetto al passato è quello di vedere in una unica cornice tanti aspetti che fino ad oggi sono stati affrontati separatamen- te. Si pensa alla città come ad un insieme di reti interconnesse (vedi anche Capitolo 13). L’integra- zione delle reti in un disegno coordinato è quella che rende possibile nuovi servizi impensabili fino al decennio scorso ed apre possibilità di trasfor- mazione progressiva della città. Di conseguenza la smart city diventa oltre che una scommessa anche una necessità per il nostro futuro.

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