• Non ci sono risultati.

MOSTRO di Loch Ness

La mostrificazione di Tiamat da parte di Marduk, nella sua accezione negativa, l’orrore di quella pelle squamata, risuo- nano profondamente dentro di me e mi riporta alle scuole medie.

Un mio compagno di classe decise di rendermi la vita impossibile trovando due soprannomi fatti su misura per me. Uno era V, lettera presa dall’iniziale del mio cognome e trasformata in Visitors, esseri alieni con la pelle di serpente e la lingua biforcuta, protagonisti di una se- rie televisiva molto popolare dell’epoca. L’altro era Mostro di Loch Ness.

A posteriori mi sembra significativo che entrambe le creature scelte siano squa- mate e sinuose, evidenti discendenti metamorfiche di Tiamat.

In pochissimo tempo tutta la scuola venne a saperlo e quando passavo per i corridoi, alcuni si spostavano per non entrare in contatto con me, mentre il mio compagno gridava al mostro. Loch Ness irruppe nella mia vita come qualcosa di profondamente negativo, che amplificava il mio isolamento e la sensazione di esclusione dal gruppo. La donna è mostruosa per eccesso, scrive Rosi Braidotti.

Certo, rispondo, l'eccesso mi è stato chiaro in età adulta, ma all'inizio arriva come un coltello che punge in profon- dità e macchia tutto, shame!!!, l'imba- razzo della ragazzina con la gonna mac- chiata di rosso per il ciclo...

Sai che sei diversa e cerchi di coprire, nascondere ogni traccia.

108 Non vuoi turbare l'ordine, né attirare

l'attenzione.

Come i Visitors che indossavano pelle umana per non far intravedere il verde. Fortunatamente poi sono cresciuta e non mi vergognavo più di essere chia- mata mostro; nell'adolescenza ne ho accolto l'alleanza, cavalcando la sua potenza, quale invincibile arma distur- bante e difensiva, godendo di quella differenza diventata sfrontata.

Mi sentivo irraggiungibile ed intocca- bile.

L'accesso alla potenza del mostruoso come differenza in eccesso è quindi fondamentale, vitale, ma richiede un la- voro importante e di certo, nel mondo contemporaneo, ancora tutto aperto.

La paura e la vergogna sono sempre in agguato.

La mostrificazione di una donna da parte del maschile ha oggi nella mia te- sta un unico sottotitolo: cosa fare quando una donna è troppo grande. La potenza di Tiamat era incontenibile, tagliarla a metà ha permesso di depo- tenziarla e dominarla, ora la madre non è più il mare ma la terra: coltivabile, sol- cabile, abitabile.

Gli unici sussulti dei terremoti ci ricor- dano la sua forza abissale liquida. Alice quando diventa troppo grande fa orrore, è mostruosa agli occhi di Carroll, che “casualmente” non riesce a stare in relazione con le donne grandi, infatti passa il suo tempo immortalando pic- cole bambine idealizzate.

Leggere la mostruosità in una donna credo sia sicuramente una di quelle cose che gli uomini, e non solo, fanno quando una donna è troppo grande, e chi le è di fronte si sente troppoi pic- colo.

Quella grandezza diventa quindi minac- ciosa.

Rosi Braidotti sottolinea come più è in crisi la virilità più il femminile appare mostruoso.

Perciò analizzare dove le donne sono mostruose ci parla non solo delle paure degli uomini, ma anche dei punti di forza e delle grandezze di quelle donne demonizzate.

Ogni mostruosità, come la stella di una costellazione, illumina un di più; segnala dove l'altro ha paura, è vulnerabile, e

109 contemporaneamente dove io sono

forte e eccedente, smisurata e dispari. Il mio mostro di Loch Ness è femmina e si chiama Nessie, è una potente ed an- tica amica.

Dalle medie porto questa creatura ac- quatica gigantesca con me, mi insegna a celare parte della mia forma preser- vandola, a rigenerarmi nell’acqua e a non smettere mai di scandagliare gli abissi

7 Mia mamma mi diceva sempre che

quando le persone si arrabbiano cam- biano il colore degli occhi, come se la

3

Babau

parola torvo fosse impregnata di pol- vere di carbone.

Il lavoro sull’Origine di Tiamat e la risi- gnificazione positiva del mostro, mi permette oggi di tornare al mio di ini- zio, alla prima volta che il mostruoso venne a bussare alla mia porta.

Ero molto piccola, quando un giorno mia madre, mentre mi pettinava i ca- pelli, guardandomi fissa mi disse, sorri- dendo, che avevo gli occhi neri come quelli del Babau.

Immagino me lo avesse detto non solo perché i miei occhi sono molto scuri, ma anche perché ero arrabbiata7 con lei,

odiavo farmi spazzolare i capelli, perché è molto doloroso far venire i nodi al

110 pettine. Quando io ero piccola, tutti i

bambini e le bambine del quartiere, sa- pevano benissimo chi fosse il Babau, anche se nessuno l’aveva mai incon- trato.

Nominarlo e sentire un brivido scorrere lungo la spina dorsale, erano un tutt’uno.

Chi non aveva paura del Babau? Nessuno poteva raccontare di averlo vi- sto, era un mutaforma, mago del mime- tismo, non si poteva percepire il suo contorno, perché usciva allo scoperto solo di notte ed essendo nero, il suo corpo faceva corpo unico con il buio. Ma anche se non si poteva distinguere dall’oscurità, io ero sicura che il Babau e il buio non fossero la stessa cosa; primo,

perché non avevo paura del buio, se- condo, perché il Babau aveva qualcosa in più dell’oscurità, qualcosa di animale che lo distingueva persino dall’Uomo Nero.

Per questo non si poteva vedere ad oc- chio nudo, ma si poteva percepire, nello stesso modo in cui in una stanza al buio possiamo riconoscere la presenza di un gatto nero.

Lo immaginavo più nero del petrolio, più nero del nero dell’inchiostro intinto nella fuliggine, qualcosa che assomi- gliasse ad un buco nero avvolto in un ampio mantello, come faceva Dracula; quando lo apriva era pronto a farti spa- rire nel nulla.

Credo che lo associassi al Principe della Notte, sia perché entrambi sono dei

mutaforma, sia perché il nome Babau, rievocava in me immagini dell’Est dell’Europa, la Transilvania, la Jugosla- via, le favole popolate dai vampiri e dalle Baba Yaga.

Chiamandosi così, quel mostro doveva essere uno straniero che veniva da un luogo freddo e lontano, per questo il suo mantello era di lana.

Inoltre non avevo dubbi di trovarmi al cospetto di qualcosa di enorme, dalla presenza imponente ed inarrestabile; se arrivava neppure un adulto avrebbe po- tuto fermarlo o farlo desistere.

Questo oggi mi fa pensare che, nella mia testa, fosse una Creatura che non faceva sconti, annunciando l’irreparabi- lità di alcune azioni, l’idea che non tutto

111 si può aggiustare e che le scelte impli-

chino delle conseguenze.

Un modo molto diretto di affrontare la percezione del tempo lineare, dove esi- ste un prima e un dopo.

Il Babau non si poteva ingannare, non si poteva corrompere, né si poteva ricor- rere alla mamma o al papà, ti metteva in una condizione iniziatica di prova che solo tu potevi superare, scappando o affrontandolo.

La tua salvezza dipendeva esclusiva- mente da te e dalle tue azioni, come nel giudizio finale.

Era un mostro interessato solo ai bam- bini e alle bambine, una specie di guar- diano minorile, il suo compito era quello di spaventarci, prenderci e por- tarci via; Foucault direbbe che svolgeva

perfettamente il suo lavoro di sorve- gliare e punire.

Il Babau era cattivo ma contemporanea- mente governato dalla giustizia degli adulti, infatti ogni genitore confermava che sarebbe venuto a prenderti solo se avevi fatto qualcosa di male, non muo- veva passo senza una buona causa. Quindi la sua malvagità poteva essere tollerata perché agiva come conse- guenza di una malvagità precedente. L’ipotetica vittima era già avvisata, prima di compiere qualunque misfatto. Ma nonostante la paura che questo Es- sere provocava è innegabile ritrovare in quel brivido lungo la schiena anche una forma di eccitazione.

Credo che in molte ricordino il piacere adrenalinico infantile dello scappare e

farsi rincorrere, o il fiato trattenuto e il cuore che batte forte mentre giocando a nascondino stiamo per essere sco- perte.

La paura del Babau mescolava il terrore dell’ignoto all’ebbrezza elettrizzante dell’essere prese, a tratti accendeva per- sino la voglia di sfidare il Babau, di guar- darlo negli occhi con la spavalderia del provocatorio “vedrai che non mi prendi”.

Ma da quel giorno in cui mia madre, tra un nodo e l’altro, mi rivelò il grande se- greto sulla mia vera natura, smisi di avere paura della Creatura della notte, perché non rappresentava più l’ignoto. Era diventata parte della mia famiglia, di me, della mia specie.

112 Qualcosa di me sfuggiva al concepi-

mento carnale tra mia madre e mio pa- dre, c’era un resto, quella che in cosmo- logia si definisce materia oscura, una materia non osservabile e sino ad oggi sconosciuta.

La mia materia oscura che eccedeva la carne era la stessa materia fuligginosa del Babau.

Oggi non posso non ripensare a quel momento senza sentire il canto del film Freaks e vedere la tavola imbandita, la rivelazione di mia madre fu il mio Goo- ble Gobble8.

8 Gooble Gobble, Gooble Gobble, One

of Us.

Ora sapevo che quando mi arrabbiavo, in un angolo buio, mi potevo confon- dere con il Babau.

Non c’era più bisogno di sfidarlo, né tantomeno di guardarlo negli occhi, perché io avevo i suoi occhi.

La rivelazione di mia madre ebbe tantis- sime conseguenze, grazie alle quali si inaugurava una nuova fase della mia esistenza.

Dopo lo stupore e l’orrore che provai, nello scoprire dentro di me una fonte della paura, iniziai a trarre delle conclu- sioni, la prima mi riempiva di orgoglio: mia madre era l’unica persona al mondo che conoscessi ad aver visto il

Babau ed essere rimasta viva per po- terlo raccontare!

Questo confermava quello che avevo sempre pensato, cioè che mia madre avesse dei poteri speciali, che sapesse vedere oltre il visibile, perché c’era un’altra visione possibile, non retinica, a cui lei sapeva accedere.

Le cose importanti non si vedono con gli occhi umani.

La seconda conclusione mi riempiva di stupore e di preoccupazione, se i miei occhi potevano diventare come quelli del Babau, significava che erano in grado di far paura e che potevano far

113

4

MOSTRO

Documenti correlati