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Per capire il significato profondo del patto appare particolarmente illuminante la conversazione che Riobaldo e Diadorim hanno la notte prima della partenza della banda dalla Fazenda Santa Caterina, subito dopo che il protagonista ha conosciuto Otacilia. Diadorim, dopo aver chiesto a Riobaldo cosa provasse per la ragazza, gli pone la seguente domanda, che ha una stretta attinenza con la situazione che stanno vivendo:

“ “– Você sabe do seu destino, Riobaldo?”

Não respondi. Deu para eu ver o punhal na mão dele, meio ocultado. Não tive medo de morrer. Só não queria que os outros percebessem a má loucura de tudo aquilo. Tremi não.

– “Você sabe do seu destino, Riobaldo?” – ele reperguntou. Aí estava ajoelhado na beira de mim.

– “Se nanja, sei não. O demônio sabe...” – eu respondi – “Pergunta...” “111

Questo dialogo ha una forte valenza anticipatoria rispetto alla scena del patto e svolge l’importante funzione di dichiarare che cosa c’è dietro alla volontà di Riobaldo di accordarsi col Diavolo. Per la prima volta infatti si stabilisce una stretta connessione tra il patto, fulcro dell’intero romanzo, e la situazione di dubbio esistenziale del protagonista, che, come illustrato nei capitoli precedenti, investe sia la sfera inerente alla sua personalità sia quella emotiva e relazionale.

Come testimonia questa scena infatti Riobaldo si trova per la prima volta davanti ad un bivio che deve essere lui stesso ad affrontare. La scelta tra le due strade, così diverse ma allo stesso tempo entrambe dotate di un fascino

111

J. GUIMARÃES ROSA, Grande Sertão: Veredas, cit., p. 270. ““ Tu sai del tuo destino, Riobaldo? ”

Non risposi. Riuscii a vedere il pugnale che aveva in mano, mezzo nascosto. Non ebbi paura di morire. Solo non volevo che gli altri si accorgessero della triste pazzia di tutto quello. Non tremai. “ Tu sai del tuo destino, Riobaldo? “ lui chiese di nuovo. Stava inginocchiato accanto a me. “Non so un accidente. Il diavolo lo sa…” risposi. “ Domandalo a lui…””

e di un’attrattiva di grande portata per il protagonista, è interamente nelle sue mani e solo lui può e deve prendere una decisione a favore dell’una o dell’altra prospettiva.

Nel dialogo fra Riobaldo e Diadorim questo scenario è ben chiaro ad entrambi i personaggi, che sanno che la situazione che si è venuta a creare con l’entrata in scena di Otacilia può essere risolta soltanto con una presa di posizione da parte dello stesso Riobaldo. È per questo che Diadorim pone al protagonista la domanda diretta riguardo alle sue intenzioni, domanda che viene dapprima lasciata cadere nel vuoto da Riobaldo, ma che in seguito, riproposta, ottiene la risposta che per la prima volta tira in ballo il Diavolo in persona. In questo passaggio infatti il protagonista, messo per ben due volte da Diadorim, in modo insistente e caparbio, di fronte ad una scelta che può rimandare ma che prima o poi dovrà fare, compie un atto di deresponsabilizzazione; egli infatti intesta questa decisione, per lui così difficile e dolorosa, ad un’entità che è altro da sé, ponendo la risoluzione della situazione fuori dalla sfera del suo controllo, per il fatto che non si sente in grado di scegliere autonomamente la direzione che dovrà prendere la sua vita né tantomeno di assumere su di sé la responsabilità ed il carico emotivo che questa decisione inevitabilmente comporta. Ogni scelta infatti impone una rinuncia, poiché presuppone una prospettiva destinata a soccombere a fronte di un’altra che risulti migliore e quindi preferibile. Riobaldo, pur comprendendo la necessità e l’inevitabilità di essa, non vuole rendersi responsabile della perdita intrinseca nel concetto stesso di scelta e, sapendo che non è possibile giungere ad un compromesso e conciliare in qualche misura le due strade, si appella ad un’entità superiore che decida al suo posto la cosa migliore da fare e che si assuma la paternità dello scioglimento del dubbio, sacrificando l’alternativa risultata peggiore.

Ancora una volta quindi il protagonista cerca qualcuno o qualcosa al quale affidarsi, non accettando il fatto che ogni uomo è solo di fronte al suo destino e che non ne esiste uno prestabilito per ognuno, ma che è l’individuo stesso che deve costruirselo seguendo le proprie inclinazioni e che non può

esimersi dall’affrontare anche il carico di rimorsi e rimpianti dovuto alla predilezione di un’opzione rispetto ad un’altra.

In seguito alla scena del patto il significato che quest’ultimo assume per il protagonista è ribadito e affidato ai versi di una canzone che egli compone, che veicola anche in questo caso l’attinenza fra le due prospettive in campo nella vita del protagonista e la conseguente scelta fra le due ed il patto stesso:

“Hei-de às armas, fechei trato nas Veredas com o Cão. Hei-de amor em seus destinos conforme o sim pelo não.”112

In queste parole si ritrova lo stesso concetto della scena precedente, elaborato in questo caso attraverso la poesia. Essa accompagna tutto il percorso di vita del protagonista e ancora una volta è assunta a strumento principe per affrontare a livello concettuale le istanze più difficili da portare pienamente a coscienza dal protagonista. Così è proprio attraverso la canzone che Riobaldo tematizza, in modo ancora più esplicito rispetto al dialogo già citato, il suo affidare i futuri esiti amorosi ed esistenziali della sua vita al Diavolo ed il suo illusorio distacco da essi.

Anche qui il protagonista, come in seguito, si comporta come se lo sviluppo della sua vita lungo una direttrice rispetto ad un’altra non fosse di sua esclusiva pertinenza e finge di essere soggetto passivo di fronte a questa scelta che si fa sempre più urgente ed imminente, convinto che in questo modo si risparmierà il dolore della perdita di una delle due persone per lui più importanti.

Sulla stessa linea si colloca anche questa riflessione che Riobaldo fa proprio a proposito dell’esperienza del patto e di ciò che lo ha portato a stipularlo:

112 J. G

UIMARÃES ROSA, Grande Sertão: Veredas, cit., p. 662. “ Alle armi, il grande patto

il demonio già firmò. All’amore e ai suoi destini per il sì e per il no.”

“Só o que eu quis, todo o tempo, o que eu pelejei para achar, era uma só coisa – a inteira – cujo significado e vislumbrado dela eu vejo que sempre tive. A que era: que existe uma receita, a norma dum caminho certo, estreito, de cada uma pessoa viver – e essa pauta cada um tem – mas a gente mesmo, no comum, não sabe encontrar; como é que, sozinho, por si, alguém ia poder encontrar e saber? Mas, esse norteado, tem. Tem que ter. Se não, a vida de todos ficava sendo sempre o confuso dessa doideira que é. E que: para cada dia, e cada hora, só uma ação possível da gente é que consegue ser a certa. Aquilo está no encoberto; mas, fora dessa conseqüência, tudo o que eu fizer, o que o senhor fizer, o que o beltrano fizer, o que todo-o-mundo fizer, ou deixar de fazer, fica sendo falso, e é o errado. Ah, porque aquela outra é a lei, escondida e vivivel mas não achável, do verdadeiro viver: que para cada pessoa, sua continuação, já foi projetada, como o que se põe, em teatro, para cada representador – sua parte, que antes já foi inventada, num papel...”113

Riobaldo quindi vorrebbe che la vita di ogni individuo non fosse caratterizzata da dubbi e da scelte, ma che esistesse per ognuno soltanto un destino da mettere in pratica senza dispendio di energie a livello emotivo e di coscienza. Vorrebbe quindi essere al riparo dagli errori e dal dolore e poter avere la certezza di agire in modo giusto e conforme ad un disegno già stabilito per lui dalla divinità, disegno che in quel momento vuol credere che esista; il protagonista infatti non si rassegna al fatto che la vita umana è aliena ad ogni sicurezza e che l’uomo deve decidere cosa farne tenendo conto delle proprie

113 J. G

UIMARÃES ROSA, Grande Sertão: Veredas, cit., pp. 692 - 693.

“ E quello che io volli, tutto il tempo, quello che lottai per trovare, era una cosa sola – il cui significato e l’intravisto d’essa io m’accorgo che sempre ebbi. Ed era: che esiste una ricetta, la norma di un cammino certo, stretto, per ogni persona viverci – e questa linea c’è per ognuno – ma la gente stessa, in genere, non la sa trovare; come è che, da solo, di per sé, uno potrebbe trovarla e sapere? Ma, questa direzione, c’è. Deve esserci. Se no la vita di tutti finirebbe per essere sempre la confusione di questa pazzia che è. E che: per ogni giorno, e per ogni ora, solo una possibile azione della gente riesce a essere quella giusta. La cosa sta nascosta; ma, fuori di quella conseguenza, tutto quello che io posso fare, quello che vossignoria può fare, quello che Sempronio può fare, quello che tutti possono fare, o tralasciare di fare, risulta falso, ed è lo sbagliato. Ah, perché quell’altra è la legge, nascosta e visibile ma non trovabile, del vero vivere: che per ogni persona, la sua continuazione, già è stata programmata, come quello che si fa, in teatro, per ognuno che rappresenta – la sua parte, già inventata prima, sulla carta….”

aspirazioni e dei propri sentimenti, con la consapevolezza che gli sbagli e la sofferenza fanno parte del percorso stesso dell’uomo sulla Terra.

A questo riguardo l’illustre studioso Benedito Nunes scrive:

“A interrogação de Riobaldo sobre a existência do Diabo, e conseqüentemente sobre a possibilidade de ter sido pactário, è a pergunta acerca do Destino, isto è, a pergunta em torno da predeterminação ou da libertade da sua existência.”114

Il tema del destino assume nel caso in analisi una notevole importanza, come giustamente rivela lo studioso, ma c’è, a mio parere, di più: il protagonista non si pone semplicemente il quesito della sua esistenza, ma piuttosto la vorrebbe fortemente, in quanto sarebbe una prospettiva consolante ed autoassolutoria poiché in quel caso egli sarebbe sollevato dalla responsabilità delle proprie azioni.

Il desiderio di Riobaldo è quindi quello di acquisire una certezza riguardo alla propria identità, a ciò che vuol essere in futuro e a chi scegliere fra i due amori della sua vita: questa è la motivazione che soggiace al patto che fa con il diavolo.

Più infatti il tempo passa e più Riobaldo sente il peso della situazione di stallo in cui si trova e sente l’urgenza di uno scioglimento di essa, pur non volendo rinunciare né ad Otacilia né a Diadorim:

“Otacília estava guardada protegida, na casa alta da Fazenda Santa Catarina, junto com o pai e a mãe, com a família, lá naquele lugar para mim melhor, mais longe neste mundo. E eu, sem ser por motivo ou razão, cada dia tocava com a minha gente por contrárias bandas, para mais apartado de donde ela assistia. Ao cada dia mais distante, eu mais Diadorim, mire veja. O senhor saiba – Diadorim: que, bastava ele me olhar com os olhos verdes tão em sonhos, e, por mesmo de minha vergonha, escondido de mim mesmo eu gostava do cheiro dele, do existir dele, do

114 B. N

UNES, “A matéria vertente”, in Seminário de ficção mineira II: de Guimarães Rosa aos nossos

dias, Belo Horizonte: Conselho Estadual de Cultura de Minas Gerais, 1983, p. 18.

“L’interrogarsi di Riobaldo sull’esistenza del Diavolo, e conseguentemente sulla possibilità di aver fatto il patto, è la domanda riguardo al Destino, cioè la domanda sulla predeterminazione o sulla libertà della propria esistenza.”

morno que a mão dele passava para a minha mão. O senhor vai ver. Eu era dois, diversos?”115

Riobaldo si sente dunque attratto da entrambi, al punto da sentirsi scisso, non solo diviso fra due prospettive di vita così diverse, ma addirittura come se il se stesso che ama l’uno non fosse la stessa persona di quello che ama l’altra. Avviene dunque in lui una polarizzazione di caratteristiche a lui proprie attorno ai due centri di interesse impersonati da Otacilia e Diadorim, che gli crea una confusione riguardo a ciò che lui è ed al tipo di persona che in futuro vorrebbe essere.

È in quest’ottica che, più avanti, afferma:

“Só fiz que no forte do sentir eu pudesse era este ameaço de reza: – Me dê o meu, só, e que é o que quero e quero!... – ao Demo ou a Deus... A lá eu ia. Otacília não era minha noiva, que eu tinha de prezar como quase minha mulher? Meio do mundo.”116

Anche in questo passo si stabilisce una forte connessione fra il patto col Diavolo e la situazione sentimentale del protagonista. Di nuovo Riobaldo esprime il suo desiderio che Satana gli renda chiara la strada che deve imboccare la sua vita e che risolva il suo conflitto interiore fra le due persone delle quali è innamorato, togliendogli il peso dell’elaborazione della decisione stessa. Inoltre ancora una volta, come nel passo precedente, con la frase finale dà il senso dell’inevitabile perdita che comporta l’optare per l’una o per

115 J. G

UIMARÃES ROSA, Grande Sertão: Veredas, cit., pp. 699 - 700.

“Otacilia si trovava custodita , protetta, nella casa alta della Fazenda Santa Caterina, insieme con il padre e la madre, là in quel luogo per me il migliore, il più lontano in questo mondo. E io, senza che vi fosse motivo e ragione, ogni giorno più mi spingevo con la mia gente in bande opposte, verso più lontano da dove lei stava. Ogni giorno, più distante, io con Diadorim, veda un po’. Vossignoria sappia – Diadorim: che, bastava mi guardasse con gli occhi verdi così sognanti, e io, con tutta la mia vergogna, di nascosto a me stesso, provavo piacere del suo odore, del suo esistere, del tepore che la sua mano passava nella mia mano. Vossignoria vedrà. Io ero due, diversi?”

J. GUIMARÃES ROSA, Grande Sertão, cit., p. 399.

116 Ivi, p. 812.

“L’unica cosa che riuscii a formulare, nella forza del mio sentire, fu questa minaccia di preghiera: “Dammi il mio, soltanto, ed è questo che voglio e voglio!...” al Demonio o a Dio… Là io andavo. Otacilia non era la mia promessa sposa, che io dovevo apprezzare come quasi mia moglie? Metà del mondo.”

l’altra opzione; infatti scegliere uno dei due equivale a tagliare fuori dal suo futuro una parte importante del suo mondo e di se stesso. Una scelta quindi che comporta l’amputazione di una parte della sua personalità e dell’io che esiste soltanto nella relazione alla quale è costretto a rinunciare in favore dell’altra, che lo lascerà quindi inevitabilmente menomato a livello sia emotivo ed affettivo che a livello di possibilità esistenziali rimaste soltanto tali. Fa luce sulle motivazioni del patto anche un passaggio dell’intervista che Günter Lorenz ha fatto nel 1965 a João Guimarães Rosa:

“Lorenz: E o seu Riobaldo? Acho que você ainda não acabou de caracterizá-lo. Guimarães Rosa: Eu sei. Gostaria de acrescentar que Riobaldo è algo assim como Raskolnikov, mas um Raskolnikov sem culpa, e que, entretanto, deve expiá-la.”117

Dunque l’autore precisa che nel suo romanzo il patto ed il Diavolo stesso non rappresentano, come in molta tradizione letteraria, il male e la colpa. Nel caso di “Grande Sertão” infatti, come mostrano i passi fin qui citati, il patto non ha niente a che vedere con qualcosa di maligno in sé, ed il protagonista non si macchia di nessun crimine.

Il punto infatti non sta nella moralità di Riobaldo, ma piuttosto nella sua condizione di essere umano che in quanto tale è costretto a fare delle scelte ed a convivere con i rimorsi ed i rimpianti che da esse derivano.

La studiosa Walnice Noguerira Galvão a questo proposito afferma:

“A suspensão das dúvidas e a resolução da ambigüidade [...] é o que occorrerá mais tarde através do pacto com o Diabo.”118

E più avanti:

117G. L

ORENZ, “Dialogo com Guimarães Rosa”, in J. GUIMARÃES ROSA, Ficção completa, Nova

Aguilar, Rio de Janeiro, 1994.

“Lorenz: E il suo Riobaldo? Penso che non abbia ancora finito di caratterizzarlo.

Guimarães Rosa: Lo so. Mi piacerebbe aggiungere che Riobaldo è qualcosa di simile a Raskolnikov, ma un Raskolnikov senza colpa, e che, tuttavia, deve espiare.”

Traduzione mia.

118

W. NOGUEIRA GALVÃO, As formas do falso, cit., p. 111.

“La sospensione dei dubbi e la risoluzione dell’ambiguità [...]è quello che accadrà più tardi attraverso il patto col Diavolo.”

“J á Riobaldo éum homen sem certezas. [...] Presa de múltiplas duvidas, recorre ao pacto com o Diabo para ser capaz de adquirir também uma certeza [...].”119

Anche Mayara Ribeiro Guimarães, nel suo intervento al Congresso Nazionale del Cinquantenario di “Grande Sertão: Veredas” e di “Corpo de Baile”, sottolinea questo concetto:

“O pacto [...] é a busca de uma certeza de si e da existência para que se possa ser alguém. A imagem do certo no incerto. Riobaldo cria a verdade no falso, como se para poder consagrar a sua própria existência e consciência de homem precisasse comprovar a existência de deus ou do demo. O diabo é a falsa garantia de alguma coisa no meio da mobililidade do redemunho. [...] O demo vem na forma humana mesmo. Na forma da própria consciência de Riobaldo. “120

Come evidenziano le studiose infatti Riobaldo, che è sempre stato dominato dal dubbio, ha bisogno di certezza riguardo alla propria individualità ed alla direzione da intraprendere nella sua vita. Questo è quello che vuole dal Diavolo: che prenda al suo posto la decisione su che cosa fare del suo futuro e sull’uomo che sarà.

119 W. N

OGUEIRA GALVÃO, As formas do falso, cit., p. 131.

“Riobaldo è un uomo privo di certezze. [...] Preso da molti dubbi, ricorre al patto col Diavolo per essere capace di acquisire una certezza [...].”

Traduzione mia.

120 M. R

IBEIRO GUIMARÃES, “O homem Hierofânico em Grande Sertão: Veredas”, in Congresso

Nacional do Cinqüentenario de Grande Sertão: Veredas e Corpo de Baile, Rio de Janeiro: Facultade

de Letras/UFRJ, 25 – 27 Settembre 2006, p. 449.

http://www.letras.ufrj.br/posverna/Anais%20do%20Congresso%20Rosa.pdf

“Il patto [...] è la ricerca di una certezza di sé e dell’esistenza affinché si possa essere qualcuno. L’immagine del certo nell’incerto. Riobaldo crea la verità nel falso, come se per poter affermare la propria esistenza e coscienza di uomo avesse bisogno di provare l’esistenza di Dio o del Diavolo. Il Diavolo è la falsa garanzia di qualcosa nel mezzo della mobilità del vortice. [...] Il Diavolo viene in forma umana. Nella forma della coscienza stessa di Riobaldo.”

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