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I sistemi di controllo e pianificazione della produzione, noti con l’acronimo di MPC, esistono sin dal principio della rivoluzione industriale. Con l’introduzione della tecnologia, alcune attività sono state informatizzate e questo ha permesso un incredibile passo avanti sotto il punto di vista dell’accuratezza, affidabilità e prevedibilità. Nel corso degli anni cinquanta, con l’aumentare della disponibilità e potenza dei computer, si è sviluppato uno strumento noto come Material Requirements Planning (MRP), che ha poi trovato il suo massimo compimento a partire dagli anni sessanta [4]. Lo scopo originario del MRP era quello di gestire l’inventory waste per prodotto con domanda dipendente, permettendo attraverso l’uso dei computer di fare calcoli rapidi e complessi riguardo a quanto occorreva comprare.

L’obiettivo primario di un sistema di MRP è quello di generare accurate informazioni di inventario così da determinare la corretta quantità da ordinare nel tempo corretto [5].

L’MRP può essere definito come un insieme di tecniche che utilizza dati della distinta base, dell’inventario e del Master Production Schedule (MPS) per calcolare il fabbisogno di materiali. Un MRP temporizzato parte dalla lista di item del MPS e determina la quantità di tutti i componenti e materiali richiesti per fabbricare quegli item e la data in cui questi sono richiesti. Per poterlo fare, quindi, occorre esplodere la distinta base, aggiustare le quantità d’inventario a disposizione, oppure ordinato, e dare al fabbisogno netto il lead time appropriato [6]. L’MRP può essere visto come un centro di calcolo: l’MPS manda i segnali di domanda al MRP che in uscita creerà una lista di ordini di fornitura sincronizzati in base all’inventario e alla struttura del prodotto. Gli ordini di fornitura vengono accompagnati da data e quantità richiesta che definiscono gli elementi di sincronizzazione del piano, che poi verranno inviati ai piani di produzione e di acquisto.

Vengono, inoltre, inserite delle assunzioni per far portare avanti il piano [7, p.22]:

• i dati devono essere accurati e completi;

• i lead time devono essere fissi;

• ogni articolo di inventario entra ed esaurisce le scorte;

• nessun ordine viene iniziato se non sono disponibili tutti i pezzi;

• i componenti sono oggetti discreti che possono essere misurati e contati;

• vi è indipendenza tra gli ordini: possono tutti essere iniziati e completati singolarmente;

L’MRP è stato un grande passo avanti in quanto, per la prima volta, quanto necessario veniva calcolato sulla base di quanto già presente e di quanto occorre produrre, il tutto collocato nel giusto timing. Per poter applicare questo metodo è di fondamentale importanza il

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segnale della domanda: occorre, infatti, conoscere quale sia la richiesta di un prodotto o componente. Questa può essere a sua volta divisa in [7, p. 23]:

• una componente attuale: formata dagli ordini dei clienti;

• una di previsione: darà una stima della domanda futura attraverso l’utilizzo di metodi qualitativi, quantitativi o misti;

Questo tipo di input deve essere accurato, in modo da permettere un calcolo del fabbisogno il più possibile vicino alla situazione reale, così da ridurre le scorte ed i costi d’inventario.

Normalmente vengono utilizzate entrambe le tipologie di domanda e, in particolare, le previsioni per creare un piano di ordini, che poi verrà aggiustato nel momento in cui saranno visibili gli ordini reali. Il problema delle previsioni è che queste risultano inaccurate: più si attuano previsioni di singoli componenti per periodi sempre più lontani nel tempo e maggiore sarà l’inaccuratezza. Per evitare i problemi dati dalla previsione occorrerebbe utilizzare solo gli ordini effettivi ma questo implicherebbe che il tempo di tolleranza del cliente fosse uguale o maggiore del cumulative lead time e cioè del lead time più lungo presente nella catena. Questo, però, nella realtà non è possibile in quanto si cerca di avere tempi di tolleranze dei clienti sempre più brevi con supply chain sempre più complesse. Di conseguenza applicare esclusivamente gli ordini del cliente all’MRP non sembra plausibile.

Esiste, inoltre, un grande problema riscontrato dall’utilizzo dell’MRP: dalla figura sottostante, è possibile osservare una linea che rappresenta la quantità d’inventario; con questo schema esplicativo, i due autori Ptak e Smith rappresentano come, muovendosi da sinistra a destra, la quantità aumenta, mentre da destra a sinistra diminuisce. [7, p.9]

Figura 2.1: funzione di perdita d’inventario;

Nella figura si vedono in particolare rappresentati due punti:

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• A rappresenta un punto in cui l’azienda ha troppo poco inventario: questo punto rappresenta una quantità di inventario vicina allo zero, in cui si rischia di perdere vendite e restare in stockout; in questo punto la supply chain è diventata troppo fragile e non è in grado di rifornire l’inventario di quanto richiesto.

• B rappresenta un punto in cui l’azienda ha troppo inventario: qui è presente una capacità in eccesso, considerata uno spreco.

Tra questi due estremi c’è il range ottimo, colorato di verde, che rappresenta un intervallo di quantità ottima da avere in stock per ogni item. Lo spostamento verso una o l’altra direzione, e il conseguente avvicinamento ad uno dei due punti, risulta sempre problematico. È possibile constatare un andamento di tipo bimodale nel corso del tempo, con un pezzo che andrà ad oscillare tra un eccesso e l’altro. In base all’item in questione, può passare più tempo in un punto o nell’altro, ma in ogni caso è evidentemente come venga speso poco tempo all’interno della zona ottima. Entrambe le situazioni portano a problemi, da un lato l’eccessivo costo del mantenimento a magazzino, dall’altro il rischio che un pezzo sia in stockout e, conseguentemente, quello di dover interrompere la produzione [7, p.11]:

Figura 2.2: distribuzione bimodale dell’inventario;

La figura rappresenta un generico insieme di pezzi e, come si evince dal grafico, un massiccio numero di pezzi è collocato tra i due estremi mentre, al contrario, solo una piccola parte della popolazione si trova nella zona ottimale. C’è, inoltre, un altro fatto da tenere in considerazione: il tempo speso nella zona ottima, dove verranno minimizzati i costi di magazzino, risulta molto breve, in quanto, per gran parte del tempo gli item oscillano tra i due estremi, come mostrato dalla curva nera presente nel grafico. Questo tipo di oscillazione

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si ha ogni qual volta venga utilizzato un MRP. Vi sono tre effetti principali dovuti a questa distribuzione bimodale:

a) Alto inventario: la distribuzione può essere sproporzionata in quanto i planner potrebbero decidere di direzionarsi verso il punto B ed avere più scorta del necessario; questo comporterà un’obsolescenza di inventario, spazio aggiuntivo richiesto, spreco di capacità e materiale e bassi margini di performance in quanto spesso si è costretti ad apportare degli sconti così da liberare l’inventario.

b) Carenze croniche e frequenti: la mancanza di disponibilità di alcune parti può portare al blocco della linea produttiva, specialmente nel caso di operazioni di assemblaggio o comunque pezzi e componenti di uso comune; questa mancanza di pezzi comporta ritardi nella produzione e conseguentemente nelle consegne e, quindi, vendite perse;

c) Costi aggiuntivi: l’azienda è costretta a sobbarcarsi di ulteriori spese per compensare l’effetto bimodale, come ad esempio l’utilizzo di magazzini terzi quando l’inventario è troppo alto, oppure l’uso di trasporti più costosi e veloci quando c’è necessità immediata di materiale.

Altro aspetto che occorre tener presente è sicuramente la variabilità della domanda del cliente che porta a previsioni sempre meno accurate. L’MRP, infatti, non è in grado di supportare variazioni sia nei lead time che nella domanda cliente: se la previsione della domanda cliente non è affidabile, gli ordini calcolati saranno inaccurati. Altra conseguenza della variabilità della domanda è il verificarsi dell’effetto bullwhip che corrisponde a un estremo cambiamento nella posizione di fornitura a monte, generato da un piccolo cambiamento a valle. L’inventario può spostarsi rapidamente da una zona di carenza ad una di eccesso e questo è dovuto a come gli ordini vengono comunicati all’interno della catena;

questo effetto può essere eliminato con la sincronizzazione della supply chain [6]. Dalla definizione data, torna il concetto dell’andamento bimodale degli item precedentemente visto. Questo effetto consiste nel sistematico guasto di informazioni e materiali rilevanti per la catena: più si andrà in alto nella catena, maggiormente l’informazione si distaccherà da quella originale, in quanto la distorsione del segnale verrà amplificata in ogni nodo, crescendo dai fornitori di basso livello fino al prodotto finale, in quanto si andranno ad accumulare ritardi dati da carenze croniche e mancate consegne nei tempi stabiliti [7, p.19].

Risultato dell’effetto bullwhip su produzione e approvvigionamento, sarà una perdita di capacità e un aumento dell’inventario. L’MRP, infatti, prevede una dipendenza tra tutti gli ordini calcolati nella filiera e questo non aiuta a contrastare tale effetto, ma anzi, porta ad amplificarlo generando ordini distorti e oscillanti.

11 Figura 2.3: effetto bullwhip lungo la catena;

Ovviamente, il dover utilizzare la previsione della domanda, meno accurata degli ordini reali, comporta un aumento dell’effetto bullwhip e del fenomeno di nervosismo dell’MRP. Infatti, il metodo creando delle dipendenze tra componenti rende il sistema stesso nervoso, il che si traduce praticamente nel fatto che un piccolo cambiamento nei livelli più alti (zero o uno), comporti significativi cambiamenti in fatto di qualità e tempistiche nei livelli più bassi (quinto o sesto) [6]. Infatti, la previsione degli ordini che cambia per ogni periodo temporale rende il sistema nervoso in quanto non è possibile aumentare le quantità entro il tempo di consegna senza che vi sia un’accelerazione della produzione. Alternativamente, se le quantità richieste diminuiscono si avrà un eccesso di scorta che comporta un aumento dei costi [8]. Utilizzando l’MRP l’unico metodo per non rendere il sistema nervoso sarebbe quello di non attuare cambiamenti, allontanandosi però da quello che richiede il mercato.

Esistono dei metodi per ridurre il nervosismo del sistema [7, p.28]:

• utilizzare intervalli di tempo settimanali: è un metodo per rendere il sistema più calmo, anche se comporta di dover estendere l’orizzonte temporale, il che porta un’ulteriore inaccuratezza e, in secondo luogo, si nota come invece di avere tanti piccoli cambiamenti giornalieri si hanno grandi cambiamenti su base settimanale;

• appiattire la distinta base: ridurre il numero di connessioni, non andando a considerare tutte le posizioni intermedie, così da ridurre il numero di informazioni; il problema è che così facendo si rischia di avere un’ipersemplificazione che può portare a generare errori o rappresentazioni fuorvianti.

Quanto illustrato sin ad ora porta a capire a pieno quali siano i problemi legati all’MRP, che produrrà dei piani con alti livelli di errore con conseguenti rappresentazioni non veritiere dell’ambiente in esame. Per questo motivo, quello che si intende fare è cercare un metodo per ridurre questi fenomeni e i loro conseguenti effetti sulla gestione dei fabbisogni.

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3. DDMPR

Il metodo del Demand Driven Material Requirements Planning (DDMRP) ha l’obiettivo di superare alcuni dei limiti del MRP precedentemente elencati utilizzando dei decoupling buffer, così da ridurre eventuali fenomeni distorsivi dovuti alla variabilità. Tale metodo risulta ben illustrato nel libro: “Demand Driven Material Requirements Planning” - Ptak and Smith. Questa soluzione mira ad avere un livello di sofisticatezza che porta più visibilità e sincronizzazione da una prospettiva di pianificazione ed esecuzione, mentre, allo stesso tempo, porta a promuovere segnali chiari, semplici e molto visibili all’interno dell’organizzazione. Questo consiste nell’utilizzare un metodo che protegga e promuova il flusso di informazioni e materiali, attraverso la gestione di stock strategici. [7, p.52]

Tale metodologia si compone di cinque step quali: il posizionamento strategico dei buffer, il loro conseguente dimensionamento e adattamento dinamico, la gestione della domanda e la fase di monitoraggio.

Figura 3.1: le cinque fasi del DDMRP;

Nelle seguenti sezioni verranno brevemente spiegate le cinque differenti fasi che compongono questo metodo.

3.1 Posizionamento decoupling buffer

Andando ad analizzare le differenti fasi, la prima riguarda il posizionamento dei decoupling buffer. Vi è una distorsione della domanda cliente, insita in cause esterne alla realtà aziendale e che non può, di conseguenza, essere controllata. Un modo per ridurre tale variabilità può essere quello di inserire dei punti di disaccoppiamento che rendano parzialmente indipendente le differenti fasi, così da non propagare questa variabilità. Tali punti di disaccoppiamento sono rappresentati da buffer e definiti come una quantità di scorta, utilizzati per generare indipendenza tra processi ed entità. Il posizionamento di questi punti risulta essere una scelta strategica fondamentale: da un lato, un numero

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eccessivo di buffer andrebbe ad invalidare i benefici del metodo portando ad un aumento di inventario e, quindi, di costi ma, dall’altro lato, l’avere pochi buffer porterebbe all’esporsi ad eccessivi rischi di stockout. Per poter decidere dove posizionare i differenti buffer si tiene conto di sei differenti fattori, quali [7, p.58]:

➢ Market Potential Lead Time: questo lead time consente un aumento del prezzo del prodotto con conseguente aumento del profitto. Un esempio esplicativo può essere la riduzione sostanziale del lead time di produzione di un nuovo bene immesso sul mercato, così da incrementare le vendite e cavalcare il picco di domanda del mercato.

➢ Sales Order Visibility Horizon: è l’orizzonte in cui si è consci degli ordini di vendita;

maggiore è l’orizzonte di visibilità degli ordini, piuttosto che il forecasting, e meno sarà necessario l’utilizzo di buffer in quanto una maggiore visibilità porta ad un’accuratezza più grande dal momento che non vengono utilizzate previsioni.

➢ External Variability: può essere dovuta alla variabilità della domanda dei clienti o ad eventuali distorsioni nella fornitura da parte dei supplier. La prima rappresenta il numero di picchi di domanda presenti nel tempo di tolleranza del cliente: se la domanda risulta essere molto variabile occorrerà posizionare dei buffer nei prodotti finiti. La seconda, invece, dipende dall’affidabilità dei fornitori e dal potere contrattuale delle parti: è buona norma inserire dei buffer negli item prodotti da terzi così da isolare il sistema da variabilità esterne.

➢ Inventory Leverage and Flexibility: per alcuni prodotti chiave, ad esempio comuni a BOM di più prodotti finiti, può essere strategico l’utilizzo di buffer, così da aggregare la domanda a valle ed eliderne parzialmente la variabilità.

➢ Critical Operation Protection: rappresentano dei punti dove è necessario proteggere aree chiavi perché, ad esempio, soffrono di capacità limitata, problemi di qualità o accumulo della variabilità.

I buffer di disaccoppiamento rappresentano l’aspetto fondamentale del DDMRP in quanto, come precedentemente ricordato, permettono di ridurre la variabilità esterna dal lato supplier e customer, di evitare il propagarsi di quest’ultima all’interno della catena ed emettere gli ordini ai buffer di disaccoppiamento precedenti. Tali buffer saranno dimensionati sulla base di tre differenti zone, ciascuna rappresentante un livello di consumo differente [7, p.97]:

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➢ Green Zone: determina la frequenza media di emissione degli ordini e la dimensione di questi;

➢ Yellow Zone: ha il compito di garantire la copertura di stock nel periodo in cui le quantità ordinate sono in fase di trasporto o approvvigionamento;

➢ Red Zone: ricopre il ruolo delle scorte di sicurezza che garantiscono il livello di servizio contro picchi di domanda o variabilità della fornitura;

Figura 3.1.1: zone del buffer di disaccoppiamento;

3.2 Dimensionamento dei buffer

Per quel che riguarda il dimensionamento dei buffer, verranno utilizzati dei parametri specifici a seconda delle differenti zone che andranno dimensionate e di seguito è riportato un breve, ma indispensabile ai fini della spiegazione, riassunto delle componenti necessarie:

➢ Item Type: rappresenta la tipologia di item considerato, che potrà essere:

a. Manufactured (M): prodotto all’interno dell’azienda;

b. Purchased (P): ne fanno parte i beni acquistati da un fornitore esterno al fine di essere introdotti nel ciclo produttivo aziendale;

c. Distributed (D): spedito all’interno dell’azienda da un plant all’altro;

Tale classificazione viene fatta per avere un controllo diretto sui differenti tipi di item, assegnare le diverse responsabilità e i relativi lead time che assumeranno un valore differente in base alla specifica tipologia.

➢ Lead Time: il lead time può essere diviso in tre categorie: corto, medio, lungo.

Tenendo conto del lead time e del tipo di item, verrà assegnato un lead time factor che servirà per dimensionare la green zone. Tale lead time factor è una percentuale correttiva che sarà tanto minore quanto più grande è il lead time [7, p.99]:

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part type lead time category Lead time range

(giorni)

Tabella 3.2.1: Lead time factor per tipologia di prodotto;

Più il lead time factor sarà basso, più la green zone sarà piccola e, dato che quest’ultima determina la dimensione media degli ordini e la frequenza, un lead time factor più piccolo porterà ad ordini di minore dimensione e più frequenti. Il lead time factor viene, inoltre, utilizzato per il dimensionamento di uno dei due componenti che formano la Red Zone chiamato Red Base che, seguendo il ragionamento precedentemente fatto con la Green Zone, sarà tanto minore quanto maggiore è il lead time.

➢ Variabilità: trattando il concetto di variabilità, occorre riferirsi ad ambo i lati della domanda e della fornitura. Per entrambe, si possono considerare tre differenti livelli.

Partendo dalla domanda, si avrà [7, p.101]:

▪ Alta variabilità: sono presenti numerosi picchi di domanda;

▪ Media variabilità: occasionalmente sono presenti picchi di domanda;

▪ Bassa variabilità: non ci sono picchi di domanda e questa può essere considerata stabile;

Dal lato della fornitura, parallelamente, si avrà:

▪ Alta variabilità: quando sono presenti numerose interruzioni nella fornitura;

▪ Media variabilità: quando occasionalmente sono presenti interruzioni;

▪ Bassa variabilità: quando si hanno forniture stabili grazie, ad esempio, alla presenza di supplier di riserva.

La variabilità viene utilizzata, attraverso un variability factor, come parametro per dimensionare un componente della Red Zone, noto come Red Safety. Tale fattore di variabilità aumenta all’aumentare della variabilità dell’item:

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Si deduce facilmente che maggiore sarà la variabilità e maggiore sarà la zona responsabile delle scorte di sicurezza, così da evitare di incorrere in situazioni di stockout.

➢ ADU: L’Average Daily Usage rappresenta il consumo medio giornaliero calcolato su un dato orizzonte temporale. L’ADU è calcolato come la media dei volumi di prodotti che per ogni time bucket si programma di consumare. Occorre, quindi, stabilire su quale orizzonte temporale calcolare l’ADU: più si sceglierà un orizzonte ampio e più questo risulterà stabile e non influenzato dalle variazioni di quantità. Come diretta conseguenza ne risulterà che occorrerà scegliere un orizzonte più o meno lungo a seconda che si voglia o meno tener maggiormente conto del rumore della domanda.

L’analisi dell’orizzonte temporale può essere svolta utilizzando differenti tipologie di dati e, in particolare, si avrà:

▪ Analisi backward: verranno utilizzati dati storici senza andare eccessivamente indietro nel tempo, così da evitare di incorrere nel rischio di avere dati non più attendibili e proprio per tale motivo si tende a non superare le dieci-dodici settimane nel passato; questo tipo di analisi viene utilizzata maggiormente per contesti caratterizzati da domanda stabile.

▪ Analisi forward: in questo caso verranno considerati esclusivamente gli ordini futuri, senza utilizzare previsioni di domanda per gli orizzonti temporali più lontani e, di conseguenza, limitarsi esclusivamente all’arco temporale di cui si ha piena visibilità. Tale tipo di analisi viene utilizzata per contesti con domanda fortemente variabile o, in alternativa, per prodotti in particolari fasi del ciclo di vita come, ad esempio, la fase iniziale di lancio in cui non è possibile utilizzare dati storici.

▪ Analisi blended: questo terzo caso racchiude le due tipologie precedenti e, quindi, utilizza ambo i dati storici e i sales order futuri e la scelta della lunghezza dell’orizzonte temporale dipenderà dal peso che si vuole dare ad entrambi.

L’ADU può, inoltre, essere corretto con un fattore chiamato Demand Adjustment Factor che considera la stagionalità ed altri fattori di variabilità, così da garantire una gestione più efficiente del magazzino.

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Il calcolo dell’ADU risulta essere particolarmente importante in quanto si tratta di un parametro necessario per il calcolo della Green, Yellow e Red Zone. In particolare, tali zone verranno calcolate come [7, p.112]:

Il calcolo dell’ADU risulta essere particolarmente importante in quanto si tratta di un parametro necessario per il calcolo della Green, Yellow e Red Zone. In particolare, tali zone verranno calcolate come [7, p.112]:

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