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L’mtDNA nel forense: utilità e vantaggi

Gli studi sul DNA mitocondriale hanno trovato un ruolo importante nella comunità forense del DNA (revisione di Holland e Parsons, 1999); la totale ereditarietà per via materna, con trasmissione alla discendenza a seguito dell’espansione dei mitocondri nell’oocita (Giles et al, 1980), la già ricordata assenza di ricombinazione (Ingman et al, 2000; Elson et al, 2001), cosa che implica che le differenze accumulatesi tra qualsivoglia due molecole, riflettano variazioni subentrate in tempi successivi (dal momento che esse condividono un antenato comune), il tasso di mutazione fino a dieci volte superiore a quello dei geni del DNA nucleare, in singola copia (Brown et al, 1979; Horai et al, 1995), lo hanno reso una molecola

ampiamente studiata e sfruttata nelle discipline forensi. Non da ultimo va ricordato l’elevato numero di copie di tale molecola all’interno della cellula: i loci autosomici nucleari utilizzati nel forense sono presenti solo in duplice copia, in ciascuna cellula, mentre il DNA mitocondriale è presente in circa 500-2000 copie per cellula di mammifero (Piko et al,1976; Michael set al, 1982). E’ corrispondentemente più probabile che alcune copie amplificabili dell’mtDNA sopravvivano in campioni altamente degradati, consentendo l’analisi delle tracce, che altrimenti non fornirebbero alcun profilo del DNA nucleare. I campioni tipicamente sottoposti all’analisi per mtDNA comprendono macchie di sangue degradate, ossa, saliva, unghie, e fusti di capelli. La tipizzazione dell’mtDNA per questi ultimi è un’applicazione particolarmente importante, dal momento che capelli caduti sono di comune riscontro quali fonte di prova. Le caratteristiche morfologiche rendono le analisi soggettive, essendo basate sull’esperienza ed il giudizio dell’esaminatore (Bisbing, 1982). In un tentativo di ridurre la soggettività associata all’analisi del capello, un numero crescente di laboratori si sta orientando verso l’analisi del DNA mitocondriale. Inoltre, il DNA mitocondriale può ulteriormente discriminare tra capelli che non possono altrimenti essere esclusi come provenienti dallo stesso individuo.

1.6.1 L’analisi del DNA mitocondriale nel forense

Attualmente, la maggior parte dei laboratori forensi che esegue l’analisi del DNA mitocondriale, si focalizza sull’informazione che deriva dalla sequenza di HVI

ed HVII (Holland et al, 1993; Wilson et al, 1993). Come spesso accade nell’identificazione di resti umani, l’analisi paragona le sequenze relative a tali resti con quelle di un familiare di riferimento, appartenente alla linea materna. Se tali sequenze differiscono in più posizioni, può essere dichiarata una esclusione certa. Se le sequenze sono paragonabili, cioè hanno dei “match”, ciò è consistente con l’ipotesi di parentela in linea materna. Come conseguenza della rigorosa ereditarietà materna dell’mtDNA, ci si attende che un individuo abbia il profilo coincidente con quello di tutti i suoi parenti in linea materna (“barring mutation”) dei quali ci potrebbe essere un esteso numero nella popolazione. E’ anche possibile che individui non imparentati in linea materna possano, per caso, esibire lo stesso assetto HVI/HVII a causa di mutazioni omoplasmiche. Infine, al contrario dei loci STR, il genoma mitocondriale è una molecola legata, non soggetta a ricombinazione. Il prodotto delle frequenze dei polimorfismi in HVI ed HVII non può essere utilizato per determinare la frequenza di un profilo di DNA mitocondriale. Per i motivi sopra elencati, un match di mtDNA di per se stesso non può essere considerato un identificativo conclusivo. Al fine di determinare la significatività di un match dell’mtDNA, si deve fare riferimento alla frequenza osservata di quel polimorfismo in un database rilevante (Holland e Parsons, 1999).

1.6.2 La distribuzione dei Caucasici in base ai dati del DNA mitocondriale

Un preliminare studio internazionale ha portato alla costituzione di un primo database forense, per l’mtDNA, che conteneva oltre 4800 profili. Questo database è

tuttora disponibile via internet (http://www.fbi.gov – vedere Monson et al, 2002). Il range delle sequenze di HVI ed HVII, in questo database, è compreso tra le posizioni 16024 – 16365 per l’HVI e 73-340 per l’HVII. I confronti a coppia (“pairwise”) delle sequenze dei Caucasici nel database (N=1655) forniscono un quadro significativo della distribuzione dei tipi HVI/HVII. In questi confronti non si è tenuto conto delle inserzioni nella regione altamente variabile del C-stretch dell’HVII, data l’instabile permutabilità in questa regione (Stewart et al, 2001). La distribuzione di frequenze degli aplotipi nella popolazione Caucasica ha una classica forma ad “L”), continua, ad un estremo della quale si trovano quelle sequenze HVI/HVII che rappresentano tipi “unici”, visti, cioè, solo una volta nel database (839/1665 [50.4%] dei tipi HVI/HVII). All’altro estremo della distribuzione vi è un piccolo numero di tipi HVI/HVII comuni e condivisi nel database relativo ai Caucasici. Il tipo HVI/HVII più comune si verifica ad una frequenza di circa il 7% della popolazione (fig. – vedere anche Lutz-Bonengel et al, 2003). Sebbene questa distribuzione sia specifica per i Caucasici, le sue caratteristiche generali si riscontrano pure in tutte le popolazioni studiate finora: la presenza di un gran numero di sequenze, che risultano essere uniche nel database, e di un piccolo numero di tipi comuni, quest’ultimo rappresentante una proporzione apprezzabile degli individui nella popolazione. La distribuzione di frequenza dei tipi HVI/HVII illustra la più grande limitazione dell’analisi del DNA mitocondriale: il piccolo numero di tipi comuni nella popolazione per i quali il potere di discriminazione (“Discrimination Power” o “DP”) è basso. Altri database presenti allo stato attuale sono quello dell’FBI, oggi

denominato “CODIS”, e quello europeo, che si sta consolidando e che, come i precedenti, punta allo sviluppo di database di popolazione, di alta qualità, per applicazioni forensi e non: è l’European DNA Profiling Group mitochondrial DNA population database project (EMPOP: http://www.empop.org).

1.6.3 Implicazioni analitiche

Per lo scienziato forense, le sfide associate con la generazione di un profilo, a partire da resti scheletrici altamente degradati rimangono consistenti. Spesso il ricercatore deve spendere un’enorme quantità dello scarso estratto di DNA per genrare una sequenza HVI ed HVII mediante set di piccoli primer che si sovrappongono parzialmente e che hanno come bersaglio brevi ampliconi (150 paia di basi o meno; Gabriel et al, 2001). Circa la metà delle volte, il profilo HVI/HVII che ne risulta sarà osservato come unico nel database di popolazione. Circa il 20% delle volte esso apparterrà ad uno dei tipi comuni (quelli che si riscontrano ad una prevalenza dello 0.5% o più nella distribuzione di frequenza): in questo modo, circa un quinto delle volte lo scienziato forense si trova davanti a risultati per i quali il potere di discriminazione è particolarmente basso.

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