39
Nuovi luoghi per antichi spazi. Relazioni tra la pianta del Castello Aragonese e l’attacco a mare del Museo del mare e della marineria
era ‘il marinaio’; appare perciò neces- saria la memoria; un luogo attraverso cui ricordare.
Passando il Ponte Girevole, opera di straordinaria ingegneria italiana degli anni ‘50 dello scorso secolo, si accede all’Isola della Città Vecchia; dove da una parte troneggia nel suo eterno splen- dore la fortezza antica: il Castello Ara- gonese; dall’altro lato — verso il bacino di Mar Piccolo — si innesta così il nuo- vo: il Museo del Mare e della Marineria. La scala architettonica di questa cit- tà, dell’intero Golfo, è assai complessa poiché formata da una serie di elemen- ti che soffrono appositamente della grande misure. Qui la misura delle cose è dettata dall’infinità del mare; le navi, le fortezze, i palazzi di città apparten- gono ad un ‘ordine gigante’. Misurando lo Jonio e le sue architetture difensive si trova un rapporto capace di sintetiz- zare in qualche metro la misura dell’e- dificato, in quei 54 metri si potrebbe racchiudere la misura della città. Con ciò non si indica che gli isolati, le altez- ze degli edifici, o comunque la morfo- logia in generale del costruito si basi su questa dimensione; ma che il qua- drato 54x54 nasce dalla rilettura del- le geometrie di questa parte di mare che trova con il Castello, con il Palazzo di Governo, con la Concattedrale e con l’impianto siderurgico ILVA, un rappor- to armonico che parla di grande scala. Appare fondante a questo punto del- la questione nella definizione del di- segno compositivo di questo museo, chiarire come la sua costruzione, il suo processo, riguardi la carpenteria na- vale. Il progetto sorge infatti all’incro- cio degli assi viari marini più importan- ti a Taranto; ossia tra il Canale Naviga- bile e la rada del Mar Piccolo dove, co- me una grande nave nella sua relazio- ne di fortezza contemporanea, trova il suo attacco ai fondali marini, rimanen- do completamente libero su tutti i la- ti ed emergendo totemicamente dalla calme acque mediterranee.
Il frammento risalente al 1979 in rela- zione al Teatro del Mondo di Rossi non è casuale poiché il Museo del Mare e della Marineria come un teatrino vene- ziano appare isolato nel blu del mare, dove intorno ad esso è possibile circu- mnavigare con la barca osservando da un’attenta distanza il voluto confronto con l’opera del di Giorgio.
L’impianto tipologico a base quadrata è quello dei palazzi e dei conventi ta- rantini i quali, a partire dal 1300, deli- nearono in maniera irreversibile la vi- sione planimetrica del borgo antico. L’altezza dello spazio espositivo in tut- ta la sua estensione, fino al culmine della copertura, trova l’allineamento con il Castello Aragonese, tanto da vo- ler lanciare questo dialogo inequivoca- bile tra antico e nuovo.
Il passato qui acquista senso nel mo- mento in cui si realizza la propria di- struzione, non in senso della totale cancellazione, ma come superamen- to dello stesso in un’ottica presente e attuale che non rinunci al proprio tem- po: allo Zeitgeist. Il passato, la misura, qui vengono riletti e riscritti acquisen- do un valore contemporaneo. Il Museo del Mare e della Marineria pur conte- nendo la storia e la memoria, si fa og- getto e testimone di questo tempo, dell’età dell’acciaio in cui Taranto, dagli anni 60 circa, è fortemente testimone in una lotta ormai costante tra la vita e la morte.
Avvicinandosi dalla quota della strada, dove si inserisce l’attuale via Garibal- di, si accede mediante una rampa allo spazio della piazza, un vero luogo dello stare tra la terra, il mare e il museo. La piazza abitata nel suo scavo — sul lato strada — da una serie di funzioni collet- tive dona degli alloggi minimi ai pesca- tori lì dove, poeticamente, inizia il dise- gno del progetto, attraverso il percor- so museale.
La piazza crea lo spazio della colletti- vità come primo atto progettuale che manifesta la vita e la rinascita di que-
sto luogo che aspetta ormai da troppo tempo. Da qui il rapporto tra il mare e il museo si fa esplicito, la chiarezza del suo basamento svuotato per far per- cepire l’orizzonte al di là di esso spie- gano le ragioni del suo essere fortezza, le ragioni che lo portano — come sotto- lineato — a identificarsi come la nuova rocca della città. L’accesso all’impianto museale non è immediato, esso appa- re solo nel disegno della piazza come un vuoto rappresentante il primo mo- mento vero e proprio di sottrazione, di ritorno al sottosuolo come è l’intera isola della città. Discendendo la rampa, come si fosse dentro ad un vortice si- mile al sistema fortificato urbinate e — probabilmente — tarantino, si ritorna alla terra, in quello spazio nuovamente invisibile alla città e al mare, dove in re- altà aleggia in maniera non troppo sor- da il passato di Taranto città magno- greca e bizantina. In questo angolo di isola voluto all’età di Federico II di Sve- via, si ricongiunge la terra al mare e il mare alla terra, dove non a caso la via di accesso è dettata da un percorso circo- lare che accompagna in maniera linea- re la discesa. Il primo ingresso al mu- seo, perciò, avviene qui in un grande cubo scavato accogliente l’unico ele- mento necessario: la rampa di acces- so — memoria mediterranea. Il sistema di discesa è eco del passato, di quel- lo costituente la fortezza aragonese. A questa quota il mare è visivamente impercettibile ma pesa sulla testa di chi, attraverso uno stretto e lungo col- legamento vuole accedere al museo. Il calcestruzzo custodisce la distanza tra il mondo terrestre e quello marino, del- le spesse mura proteggono i visitato- ri che, lasciando la luce alle loro spalle, ritrovano in fondo lo scavo della scala, una nuova scultura complessa, non più circolare, non più sinuosa ma riletta secondo i canoni dettati nel XV seco- lo dai disegnatori del forte aragonese. La luce penetra e scava la materia, da qui si inizia a respirare, salendo la scala
metallica, la storia della marineria. Co- me sui ponti delle navi la scultura del- la scalinata si avvolge su se stessa tro- vando ancoraggio ai lati del vuoto che la contiene, questo è il punto che con- giunge, attraverso lo spazio architet- tonico la terra, il mare e il cielo. Come il sistema idraulico utilizzato per l’aper- tura del Ponte Girevole ed ospitato nel torrione di San Lorenzo, la scala me- tallica diventa protagonista del vuoto. Entrando in questo edificio si compie la funzione della nave, come suggeri- va Sverre Fehn, l’Architettura è quindi vista come un grande galeone pronto a salpare nei mari.
Il Museo nei suoi 5 livelli descrive tut- ti i rapporti che una imbarcazione, co- me un’Architettura, affronta durante e dopo la sua costruzione. La quota in- terrata dell’accesso e la piazza coperta al di sotto dello spazio espositivo esi- stono in funzione della terra, poiché al- timetricamente appartengono ad essa e a nient’altro; essi esprimono l’attrac- co della nave con il porto manifestan- dosi come il radicamento tra la carena e il molo.
La quota della terra, che qui si allinea con quella dei moli, diventa la reale manifestazione dello spazio pubbli- co complementare a quello della città, da qui si vede il mare, da qui si realizza il traguardo dell’orizzonte e le navi che ormeggiano nel primo seno del Mar Piccolo. I quattro blocchi servizi — al- la base — disegnano la pianta e lo spa- zio come nel quattrocentesco Castello Aragonese, delineando attraverso i lo- ro basamenti le direzioni della città. In dettaglio essi si identificano nel dise- gno compositivo come il risultato del- le due imprescindibili giaciture dell’a- bitato: quello antico precedente alla seconda metà dell’Ottocento e quel- lo moderno e contemporaneo dettato dalle nuove costruzioni post-unitarie. Il fulcro dello spazio quadrato ospita una parte della vendita del pescato se- guendo l’esigenze di tutti quei pesca-
pagina successiva in alto a sinistra
Pianta della piazza sottostante il museo
in alto a destra