di Giacomo Fronzi
abstract
Composing for the Films, scritto da Theodor W. Adorno e Hanns Eisler nel 1947, sembra essere stato consegnato a un destino di sostanziale oblio. I motivi potrebbero essere legati alla querelle sull’autorialità del lavoro, che secondo alcuni conterrebbe poco di “adorniano”, oppure al fatto che in esso sono condensate tesi che qualcuno considera superate oppure, ancora, alla preferenza data a temi come la musica dodecafonica, il feticismo in musica, il jazz o la pop music considerati più rilevanti. A una lettura approfondita, invece, questo saggio rivela un’importanza tendenzialmente sottovalutata e che risiede nel fatto di sintetizzare le tesi che Ador- no elabora in relazione alla musica di massa (pop music e jazz) e quelle relative all’industria culturale. È allora interessante, a cinquant’anni dalla morte di Adorno, ridare dignità e centralità a Composing for the Films, anche in virtù del tentativo, che forse altrove non compare con eguale sincerità, di mediare tra musica e tecnologia.
Composing for the Films, written by Theodor W. Adorno and Hanns Eisler in
1947, seems to have been consigned to a fate of oblivion. The reasons could be related to the controversy about the authorship of the work or to the fact that it contains con- densed theses that some consider outdated or, again, to the preference given to themes such as dodecaphonic music, fetishism in music, jazz or pop music considered more rele- vant. On closer examination, however, this essay reveals a tendentially underestimated importance that lies in the fact that it summarizes the theses that Adorno elaborates in relation to mass music (pop music and jazz) and those related to the cultural industry. It is then interesting, fifty years after Adorno’s death, to restore dignity and centrality to Composing for the Films, also by virtue of the attempt, which perhaps elsewhere
does not appear with equal sincerity, to mediate between music and technology. Parole chiave
Teoria del film, Composizione, Industria culturale, Standardizzazione, Sperimen- talismo
Film Theory, Musical Composition, Cultural Industry, Standardization, Experimen- talism
1. Le ragioni di una rilettura
Nel 1980, in un articolo intitolato Adorno and Film Music: The- oretical Notes on Composing for the Films, Philip Rosen scrive:
Important recent work on the ideological operations of cinema bases itself on a view of the history of the graphic arts deriving from studies by Francastel and a more or less Althusserian view of ideology. But cinema incorporates non-graphic elements which have their own histories and social roles “outside of” and “before” cinema, and ideological analysis must account for the integration into cinema of such elemen- ts. One such component of film is music. An important study of film music based on a distinctive view of music as an autonomous art form and with a concern for the ideological operations of film already exists in the often noted but rarely discussed 1947 book Composing for the Films (Rosen 1980, p. 157).
Probabilmente, a distanza di quasi quarant’anni da queste paro- le, potremmo dire che quel libro, scritto da Hanns Eisler e Theodor W. Adorno, è ancora consegnato a un destino di sostanziale oblio. I motivi potrebbero essere legati alla querelle sull’autorialità del lavoro, che per alcuni conterrebbe poco di “adorniano”, oppure al fatto che in esso sono condensate tesi che qualcuno considera supe- rate oppure, ancora, alla preferenza accordata a temi – considerati teoreticamente più rilevanti (Beethoven, la musica dodecafonica, il feticismo in musica, il jazz, la popular music, e così via) – trattati da Adorno in altre opere.
Indubbiamente, la musica per film sembra coinvolgere una picco- lissima porzione della produzione di Adorno, porzione che, peraltro, divide con il co-autore Eisler. Tuttavia, le relazioni tra questo lavoro e le esplosive tesi sull’industria culturale, così come anche con l’ador- niana filosofia della musica, assegnano alla rilettura di La musica per film (da ora, MF), scritto nel 1944 e pubblicato in Italia nel 1975, il carattere dell’interessante e inedita ri-scoperta. Ed è indubbio come sia necessario contestualizzare questo saggio sulla musica per film all’interno della produzione adorniana di quegli anni: “Composing for the Films needs to be contextualized within other writings of both authors at the time. Adorno’s contributions to this book cannot be separated from his concurrent reflections in Philosophy of New Music or Dialectic of Enlightenment and the critique of the culture industry, which he developed in the 1940s” (Stegmann 2005, p. 483).
Questo saggio, quindi, rivela un’importanza tendenzialmente sot- tovalutata e che risiede nel fatto di sintetizzare le tesi che Adorno elabora in relazione alla musica di massa (popular music e jazz) e quelle relative all’industria culturale. È come se nel cinema (hol- lywoodiano) si condensasse, per così dire, il peggio dell’industria culturale e il peggio delle degenerazioni commercialistiche massifi- canti a cui la musica, nell’età del capitalismo avanzato, non sfugge. Credo sia allora interessante, a cinquant’anni dalla morte di Ador- no, ridare dignità e, perché no, centralità a MF, anche in virtù del tentativo, che forse altrove non compare con eguale sincerità, di mediare tra musica e tecnologia.
A tal riguardo, è sufficiente richiamare due passaggi, che, alla luce di molti altri saggi adorniani, hanno qualcosa di stupefacente:
La tecnicizzazione della musica fornisce […] al contempo la possibilità di sottrar- si a quella giurisdizione che essa stessa ha diffuso. Invece di dare l’illusione di una condizione armonica indivisa, com’è uso oggi, riesce a esprimere la contraddizione insita nel concetto stesso di musica tecnica e, proprio in virtù di questa contraddi- zione, a influire sulla condizione contemporanea (MF, p. 37).
Nel secondo passaggio, collocato all’interno della trattazione dell’“ideale di stile” della musica per film, troviamo un Adorno (con Eisler) decisamente inedito. Si pensi, ad esempio, alle prime righe dell’introduzione di Philosophie der neuen Musik (1949), nelle quali Adorno riprende lo Schönberg della prefazione alle Drei Sati- ren per spiegare la scelta di aver limitato la trattazione a Schönberg e Stravinskij: “Denn der Mittelweg ist der einzige, der nicht nacht Rom führt”1 (Schönberg 1926, p. 3). Qui, al contrario, gli autori si
spingono a sostenere l’utilità di una soluzione di mezzo:
Che quello predominante, romanticizzante, sia inadeguato e falso, non c’è biso- gno di dimostrarlo. Se si volesse in sua vece propagare un radicale oggettivismo, mu- sica “meccanica” alla maniera del neoclassicismo, a ciò indotti dal carattere tecnico del cinema, si agirebbe in modo appena migliore. Il difetto della immedesimazione del raddoppiamento superfluo sarebbe soltanto, in tal caso, compensato da quello della mancanza di relazione. Non v’è da attendersi che un compromesso, la linea “mediana” tra i due estremi, dunque qualcosa come uno stile espressivo e nel con- tempo costruttivo, possa evitare il male (MF, p. 80).
Più che in altri luoghi, qui Adorno cerca di mediare tra mu- sica e sviluppo tecnologico, immaginando, un po’ come farà nel saggio dedicato all’impiego musicale della radio (Adorno 1963), la possibilità che i due ambiti possano costruire le ragioni di un dialogo. Nel saggio MF – non si può dire se per merito di Eisler o di Adorno – l’analisi proposta riesce a tenere insieme il piglio critico che caratterizza tutti gli scritti adorniani, in particolare quelli che hanno come oggetto l’industria culturale, i suoi prodotti e le sue dinamiche, con un atteggiamento quasi conciliatorio o, quanto meno, interessato all’individuazione di opzioni positive e costruttive. Non manca certo la consueta tendenza a creare polarità dialettiche, procedendo per mediazioni provvisorie. Tuttavia, sembra emergere un approccio che, rispetto a molti altri testi adorniani, appare più “morbido”.
Ma entriamo nelle questioni più nel dettaglio. Il contributo sarà diviso in tre parti: a) nella prima, ricostruirò, sebbene parzialmente e avvalendomi di un lavoro di Sally Bick (2010), le circostanze, an-
che bizzarre, legate alla pubblicazione del saggio; b) nella seconda, riprenderò le principali tesi del lavoro di Eisler-Adorno, proponen- done una lettura critica; c) nella terza, ne verificherò gli eventuali motivi di attualità, rintracciando esempi di effettiva applicazione nel cinema di alcune tesi proposte in MF.
2. In cerca d’autore
Partiamo da una domanda: quale rapporto si crea, nel Nove- cento, tra musica moderna e cinema? Per Adorno, in questo come in altri casi, si tratta di smascherare i meccanismi economico-so- ciali che sottendono alle produzioni cinematografiche le quali si avvalgono dell’introduzione dell’elemento musicale. E anche in questo caso emerge la chiara preferenza di Adorno per un cinema diverso, alternativo, tendenzialmente esterno al grande circo della commercializzazione di massa, un cinema d’eccezione, quello che generalmente chiamiamo cinema d’essai. Ma procediamo per gradi.
Al di là di accenni e riferimenti sparsi, il lavoro adorniano più compiuto dedicato a questo tema è appunto MF, scritto a quattro mani da Adorno e Eisler. Non si tratta di una collaborazione tra filosofi, ma tra un filosofo-musicista e un musicista di professione, più esattamente compositore, formatosi alla scuola di Schönberg, al quale, però, Eisler volta presto le spalle.
La pubblicazione di questo volume è legata a diverse vicen- de, spiegate da Adorno nella prima edizione tedesca della versio- ne originale. Essa viene pubblicata, per la prima volta, nel 1947, presso la Oxford University Press a New York, in lingua inglese. In quell’occasione, come unico autore compare Eisler. Di comune accordo, Adorno preferisce non figurare accanto ad Eisler, poiché quest’ultimo, in quel periodo (sono gli anni del cosiddetto ‘maccar- tismo’), insieme al fratello Gerhard, è duramente attaccato sul piano politico. “Io non avevo nulla a che fare con quell’attività – scrive candidamente Adorno – e non volevo esservi implicato. […] non avevo alcuna vocazione di martire per una causa che non era – e non è – la mia” (MF, p. 139). Una scelta che non gli fa onore, ma che Eisler sembra apparentemente accettare, dimostrando una certa comprensione. Tuttavia, nel 1949, Eisler pubblica l’opera presso la Bruno Henschel Verlag di Berlino Est, di sua iniziativa, apportando modifiche (a parere di Adorno, numerose) a esempi musicali ma, soprattutto, a livello linguistico: “volgarizzò la lingua, a scapito del suo rigore e della sua pregnanza” (MF, p. 139). Il motivo di tale scelta è il fatto che, in luogo della vecchia prefazione, Eisler ne scri- ve una violentemente antiamericana. A seguito di questa vicenda,
Adorno si sente libero e legittimato a procedere con un’ulteriore pubblicazione (Roger&Bernhard, München) nel 1969, eliminando le modificazioni apportate all’edizione del 1949 e ricollocando am- bedue i nomi degli autori.
Resta pressoché aperta, da ormai settantacinque anni, la que- stione relativa proprio alla paternità dell’opera. In sintesi: il testo, completato dai due autori a Hollywood nel 1944, è stato pubblicato in diverse versioni e in diverse lingue. In alcune di queste compa- iono entrambi i nomi, mentre in altre soltanto quello di Eisler. In una lettera ai genitori, Adorno sostiene non solo di aver scritto, ma addirittura di aver concepito il 90% dei contenuti del libro, riducendo quindi al minimo l’apporto che avrebbe offerto Eisler. Quest’ultimo, peraltro, in qualità di direttore aveva lavorato sul Film Music Project, del quale esplicitamente sono riportati i risul- tati in MF, nel capitolo intitolato Relazione sul Film Music Project. Secondo Bick, l’analisi di alcune lettere getterebbe nuova luce sulla storia di questa pubblicazione, rivelando la falsa pretesa di Adorno di attribuirsi gran parte dei contenuti del saggio.
La querelle va intanto collocata all’interno di alcune differenze che, al netto degli interessi comuni, della comune pratica pianistica e compositiva e di una generale coabitazione dello spazio teorico marxista, segnano la distanza tra Eisler e Adorno. La principale differenza risiede nel diverso approccio al marxismo: il primo, detto in sintesi, è votato alla causa rivoluzionaria con un’attenzione parti- colare al momento della prassi; il secondo, almeno secondo Eisler, rinvia la prassi (per usare la nota espressione di Marzio Vacatello), chiudendosi in un isolamento teorico ed evitando qualsiasi forma di compromissione politica. In verità, questa eventuale mancanza di compromissione diretta potrebbe essere legata a una precisa idea di engagement che, tuttavia, segna, come dicevamo, una distanza tra i due autori. Distanza che avrà ripercussioni anche sulla que- relle legata alla pubblicazione di MF, dal momento che, a secon- da dell’edizione, ciascuno dei due ha cercato di utilizzare il saggio come una sorta di carta d’identità politica, come segno distintivo d’appartenenza a una precisa tradizione intellettuale e culturale, quella marxista. Sotto questo angolo visuale, il testo avrebbe un chiaro contenuto politico, che peraltro è stato alla base di gran parte delle successive letture. Adorno, tuttavia, nega che questa sia la prospettiva dalla quale interpretare il lavoro: “[…] il libro – assolutamente impolitico – ha conosciuto finora, sia in Oriente che in Occidente, una esistenza apocrifa che ha proprio base politica e che ha raggiunto pochi soltanto di coloro ai quali, forse, avrebbe qualcosa da dire” (MF, p. 140).
Inoltre, Eisler e Adorno partono da due posizioni specifiche e differenti. Il primo è autore di musiche per film e convinto so- stenitore della necessità di utilizzare il cinema come strumento di diffusione e affermazione del marxismo. Il secondo, in particola- re dopo il trasferimento negli Stati Uniti, elabora la sua critica al capitalismo avanzato a partire dalle sue manifestazioni, partendo da Über den Fetischcharakter in der Musik und die Regression des Hörens (Adorno 1938) fino ai saggi sul jazz e la popular music, passando per Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente (Horkheimer, Adorno 1947).
Lungo le vie marxiste statunitensi, Eisler e Adorno si incrociano. Eisler ottiene un contratto con la Oxford University Press (OUP) per completare un suo progetto sulla musica per film e due anni dopo, nel 1942, si trasferisce così a Hollywood cercando di inserirsi nel mondo del cinema in qualità di compositore. La ricerca di un impiego rende a un certo punto necessaria l’individuazione di un collaboratore, di qualcuno che possa aiutarlo a portare a termine il libro con la OUP. Probabilmente si è rivolto prima all’amico Brecht, ma poi sarà invece Adorno ad accettare la proposta.
Alla fine di novembre del 1942, Eisler scrive all’editore, spiegan- do di voler condividere l’autorialità e le royalties con Adorno, dal momento che è con lui che, per molte settimane, ha lavorato alla stesura del libro: “The status of Dr. Adorno (sic) co-authorship is not only a matter of honesty but also of expediency because I feel that without his intense collaboration the completion of the book may be considerably delayed or even endangered” (27 novembre 1942) (Bick 2010, p. 144). Per parte sua, per come riporta ancora Bick, Adorno condivide con i suoi genitori l’entusiasmo per questo lavoro:
We have something pleasing to report: Hanns Eisler, with whom I am on very good terms […] and who, as you probably know, is director of the Rockefeller Film Music Project, and now has to write a book about it, has asked me to write it to- gether with him. The official confirmation from the publisher (OUP) came yesterday, stating that we both have the status of authors and will split the royalties 50:50. As I had made preparations long in advance, I will be able to manage it comfortably in my spare time. I think it will be a very substantial external success. Eisler is being
extremely loyal (21 dicembre 1942) (Bick 2010, pp. 144-145).
La collaborazione, dunque, parte sotto i migliori auspici e sem- bra avviata verso esiti più che positivi, nello spirito di un “glücklic- hen Kompròmiß”, come l’ha definito Eberhardt Klemm. Così però non andrà. Già prima della pubblicazione, nell’estate del 1947, emergono dissapori, culminati con il ritiro, da parte di Adorno, della co-autorialità, solo poche settimane prima dell’uscita del libro.
Quindi, abbiamo l’edizione inglese (OUP 1947) e tedesca (Henschel 1949) nelle quali compare solo un autore: Eisler. Si dovrà attendere l’edizione Rogner&Bernhard del 1969 per vedere entrambi i nomi e così accadrà per le edizioni successive.
A ogni modo, un segnale chiaro del fatto che l’autorialità (o co-autorialità) di Adorno è stata oggetto di dubbi e perplessità è anche il fatto che nella gran parte dei libri e dei saggi dedicati al filosofo di Francoforte MF viene, al massimo, accennato di passag- gio, con poche eccezioni (Porcarelli 1976; Rosen 1980; Thomas Y. Levin 1984, 1990; Leslie 2005). Chi, invece, si è occupato di Eisler tendenzialmente ha approfondito l’apporto di entrambi gli autori.
Non ci sono dubbi circa la collaborazione di Adorno, così come anche sulla supervisione linguistica della traduzione inglese. Tut- tavia, l’aver affermato di essere l’autore del 90% del libro appare a qualcuno un’esagerazione piuttosto pretenziosa. Molte questioni riportate nel lavoro, scrive Bick, si basano su esempi pratici di- rettamente tratti dal Film Music Project di Eisler, il quale aveva, come detto, una diretta esperienza nella composizione di musiche per film. I capitoli dedicati alla funzione e alla drammaturgia, non- ché agli aspetti sociologici e alle nuove risorse musicali – continua Bick – possono essere direttamente ricondotti all’esperienza teorica, pratica e compositiva di Eisler, così come anche le parti che pos- siamo genericamente considerare di critica marxista dell’industria culturale.
Per concludere, le dichiarazioni di Adorno relative al proprio contributo apparirebbero esagerate: “Adorno’s statements regarding his authorial contributions to Composing for the Films appear in- consistent and at times exaggerated” (Bick 2010, p. 153). Personal- mente, non trovo affatto esagerata l’auto-attribuzione adorniana dei nuclei teorici di fondo di questo saggio. Concetti e formule centrali come “industria culturale”, “pseudo-individualizzazione”, “neutra- lizzazione”, “musica convenzionale”, “musica autonoma”, “emanci- pazione”, “standardizzazione” sono di chiarissima matrice adorniana e attraversano l’intero saggio, quasi senza soluzione di continuità.
Resta però il fatto che questo testo, frutto di una collaborazione dai contorni davvero ancora poco chiari, è uno dei pochi che, in quel periodo, affrontano e “decostruiscono” la prassi musicale hol- lywoodiana, indagando le implicazioni teoriche, estetiche e pratiche della musica per film. Secondo Bick, i due autori presentano l’in- dustria cinematografica commerciale americana come una forza di- struttiva che plasma e controlla il gusto e i valori del pubblico, sulla base degli interessi dei potenti studi cinematografici. Le logiche e i meccanismi di produzione hollywoodiana vengono interpretati
dai due autori come una sorta di specchietto per le allodole, che distoglie l’attenzione da un meccanismo ben più ampio: la musica per film hollywoodiana, prosegue Bick, viene creata con l’obiettivo di generare falsi piaceri per le masse e nascondere i mali sociali del capitalismo, distruggendo la coscienza politica e sociale degli individui.
Queste tesi le ritroviamo anche nel saggio adorniano Transparen- cies on Film (1966), nel quale l’autore colloca stabilmente il cinema di massa, il “cinema di papà”, nella più ampia e fagocitante cornice dell’industria culturale. I film western e i film gialli standardizzati, così come i film comici tedeschi, i “polpettoni regionali” o i colossal di Hollywood, rientrano nell’estesa prateria dei prodotti che reitera- no ad infinitum il processo di massificazione, che autoriproducono meccanicamente l’esistente nelle sue forme stabilite, rafforzando così le logiche di dominio. Nell’età del capitalismo avanzato, un film è un’opera d’arte, scrive Adorno, quanto meno si presenta come tale. Non è un caso che Adorno citi il cortometraggio del 1962 di Mauricio Kagel Antithèse. Spiel für einen Darsteller mit elektronischen und öffentlichen klängen. Questo riferimento ci avvi- cina ai contenuti del saggio MF, dal momento che il lavoro di Kagel può ben esemplificare l’idea che Adorno ha di commistione tra immagine filmica e composizione musicale. Björn Heile sintetizza efficacemente il risultato a cui Kagel perviene, definendolo come una sorta di transito continuo tra ascolto semantico e ascolto este- tico (potremmo anche dire, tra livello semantico e livello estetico), giacché non si può mai essere certi che la musica sia un prodotto dell’azione scenica o la accompagni (Heile 2006, p. 46). Il corto- metraggio di Kagel sarebbe la dimostrazione di come il cinema sia costretto, come scrive Adorno in Transparencies on Film, a cercare il suo potenziale altrove: “For the time being, evidently, film’s most promising potential lies in its interaction with other media, them- selves merging into film, such as certain kinds of music” (Adorno