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Mutamento del welfare, evoluzione dei bisogn

Francesca D’Atri 1 , Francesca Pia Scardigno

2. Mutamento del welfare, evoluzione dei bisogn

Nel welfare italiano - fino alla legge 328/2000 - l’erogazione del servizio ha seguito una logica che si basava sulla richiesta di aiuto, oppure si aveva diritto al servizio se appartenente ad una categoria sociale. Pieretti spiega che “(…) il welfare italiano era, fino alla L. 328/00, rimasto l’unico welfare categoriale in Europa. Quindi io ti do assistenza se sei minore, famiglia di minore, tossicodipendente, portatore di handicap e così via”9. Tale logica viene in parte superata con la Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, con la quale si supera il Welfare categoriale e si tutela il cittadino al fine di garantire la qualità della vita.

In questi ultimi anni, la società sta attraversando una profonda crisi dei sistemi socio-economici e politici, con una conseguente necessaria ridefinizione dei modelli di welfare in un’ottica di sviluppo e promozione di politiche sociali volte sia al contenimento della spesa che al soddisfacimento dei reali bisogni delle persone. Di conseguenza, la crisi fiscale dello Stato e l’allargamento della forbice tra risorse disponibili e complessità dei bisogni, entrambi conseguenze sia della globalizzazione sia della terza rivoluzione industriale, hanno evidenziato la portata della crisi del Welfare State e il suo conseguente “fallimento” (nel senso di failure)10.

In questo momento storico, il Welfare State è diventato uno Stato con un approccio di tipo assistenzialistico, connotato da una politica basata essenzialmente sull’elargizione di contributi, non più sostenibile nell’attuale sistema economico-finanziario.

L’alternativa al Welfare State, tuttavia, non può essere il disimpegno pubblico: occorre iniziare a guardare la realtà in una nuova prospettiva e porre le basi per lo sviluppo di un welfare generativo, fondato sulla solidarietà e sulla sussidiarietà.

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Si delinea la necessità di costruire un modello di welfare che sia “(..) in grado di rigenerare le risorse già disponibili, responsabilizzando le persone che ricevono aiuto, permettendo di conseguire un maggiore rendimento degli interventi delle politiche sociali a beneficio dell’intera collettività”11. Va, infatti, superato un modello di welfare basato essenzialmente su uno stato che incamera le risorse per poi distribuirle tramite il sistema fiscale e i trasferimenti monetari. Si delinea il profilo di un welfare in cui anche il cittadino è chiamato a compiere scelte responsabili, attraverso un maggiore coinvolgimento nei processi decisionali; ciò implica indirettamente, una consapevolezza sulle risorse del territorio e un “relativo” riscontro, da parte dei cittadini stessi, dell’efficacia dei servizi erogati.

Il cambiamento del quadro socio-economico ha reso necessario, innanzitutto, ridefinire il ruolo dei cittadini, soprattutto a livello locale, ovvero all’interno dei processi di programmazione dei servizi alla persona: i cittadini vengono ora considerati non solo depositari del bisogno, ma anche i soggetti attivi delle politiche e dei servizi sociali, ovvero attori sociali responsabili, insieme ai soggetti istituzionali pubblici e privati, della programmazione sociale: il cittadino è ora un “valore” e una risorsa per l’intera comunità.

L’art. 1 della legge 328/2000 dispone che “La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato d’interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione”12. Ciò significa che non devi appartenere ad alcuna categoria ma d’altra parte la legge 328/2000 sostiene le esigenze di coloro che ne fanno richiesta ed esclude quella fascia di potenziali utenti che per varie ragioni non si rivolgono al servizio.

Scrive Pieretti: “Questo è lo status questionis. Stiamo chiaramente alludendo a quelli che Ermanno Gorrieri definisce appartenenti alle cosiddette povertà silenziose e naturalmente queste povertà silenziose le si vede soltanto se si va sul territorio e le si

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guarda. (…) i servizi non danno niente a questa gente, e non danno niente perché questa gente non chiede niente (…)”13.

Si comprende bene che la causa di tale mancanza è dovuta alla poca conoscenza da parte degli assistenti sociali del contesto territoriale di cui fanno parte. Pieretti precisa che: “Il lavoro dell’Assistente Sociale al suo nascere è assolutamente un lavoro di territorio; non è quindi un lavoro d’ufficio. È un lavoro di conoscenza approfondita del territorio, senza il quale naturalmente è difficile pensare al reperimento di risorse e di messa in rete delle risorse già esistenti”14. È solo partendo dal territorio che è possibile trovare le informazioni necessarie per lavorare su servizi di qualità e con i giusti fruitori, attraverso un canale di comunicazione che faccia sentire a queste persone il soddisfacimento di un loro diritto.

Il modello di programmazione locale, introdotto dalla Legge 328/2000 contempla, infatti, una complessità di interazioni e relazioni tra i diversi attori sociali che operano nel campo della program- mazione locale, alle prese con problemi legati anche alla legittimizzazione delle scelte compiute. La suddetta normativa ha orientato il cambiamento della tradizionale programmazione sociale, che diventa relazionale e decisionale, e include i cittadini come parte attiva del processo di programmazione. Tale approccio tuttavia deriva non solo da un’innovazione normativa, ma è frutto di un processo di cambiamento culturale riguardante le relazioni ed interazioni sia a livello politico che sociale.

Anche le politiche comunitarie influenzano, se non indirettamente, le politiche di welfare nazionale. “Benché il welfare resti nella competenza esclusiva degli Stati membri, tale competenza deve sempre di più confrontarsi sia con le politiche monetarie e finanziarie stabilite a livello europeo sia con vincoli di bilancio imposti dalla stessa Comunità Europea”15.

È opportuno inoltre richiamare altri due importanti processi che hanno interessato negli ultimi decenni l’Europa: “(…) la riorganizzazione territoriale associata alle dinamiche di rescaling dello Stato (…); la diffusione di approcci delle politiche che tendono a considerare i territori come risorse, target e attori (….)”16.

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In linea generale, a livello europeo è stato intrapreso un percorso dalle “(…) istituzioni comunitarie (Commissione Europea e quindi Parlamento Europeo) per ripensare i processi democratici, oltre la dimensione esclusivamente partecipativa, per dare quindi attuazione al diritto di iniziativa dei cittadini europei nei confronti della Commis- sione Europea, previsto dal quarto comma dell’art. 11 del TUE, nel tentativo di ripensare il rapporto tra cittadinanze ed istituzioni a livello comunitario, nella crisi permanente dei tradizionali paradigmi democratici (…)”17.

Tali processi hanno interessato il contesto nazionale, con significativi cambiamenti a livello di orientamenti e approcci delle politiche sociali, al punto da promuovere la partecipazione attiva delle persone, la quale non implica lo “smantellamento dello Stato sociale”, ma una collaborazione e cooperazione tra cittadini e Stato. Ciò comporta un’innovazione del concetto di sussidiarietà: infatti, rispetto al previgente testo costituzionale, c’è “un’inversione” riguardo alla titolarità dell’iniziativa.

“Nello svolgimento di attività d’interesse generale, non sono più le Amministrazioni al centro del sistema, bensì i cittadini uti singuli e in forma associata”18. In particolare, “(…) il principio di sussidiarietà orizzontale, rafforza il dettato dell’art. 2 della costituzione, riguardo al riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali, ove svolge la sua personalità, tracciando un nuovo modo di concepire l’intervento pubblico, il quale retrocede lasciando il passo ai privati, laddove gli stessi siano in grado di realizzare gli obiettivi prefissati”19.

Il principio di sussidiarietà orizzontale trova oggi una recente “evoluzione” nel principio di sussidiarietà circolare, teorizzato dal Prof. Stefano Zamagni, la cui “(…) idea centrale è che le tre sfere principali della società, quella politico-istituzionale, quella del mercato e quella della società civile (associazionismo, volontariato, mondo del no profit) dialoghino e si facciano carico insieme, ognuna per la propria parte e secondo le proprie competenze, di modi specifici di azione, dei bisogni di Welfare. Questa, quindi, la sfida per realizzare la nuova welfare society”20.

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