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Società
L'Europa degli Stranieri. Stranieri extracomunitari fra accoglienza e ri-fiuto alle soglie del 1993, a cura di
Al-berto Perduca e Francesco Finto, An-geli, Milano 1991, pp. 255, Lit 35.000.
Il volume raccoglie gli atti del con-vegno dall'omonimo titolo organiz-zato a Torino nella primavera del 1989 da parte di Magistratura De-mocratica e di Magistrats Européens pour la démocratie et les libertés. Al convegno, che occupò più giornate di lavoro, parteciparono rappresentanti di otto paesi europei (Belgio, Fran-cia, Germania Federale, GreFran-cia, Ita-lia, Olanda, Portogallo e Spagna); si trattava di studiosi, di magistrati e di operatori invitati a discutere con un'ottica non settoriale i problemi connessi alla massiccia immigrazione in Europa da parte di cittadini di al-tri paesi. I testi delle relazioni e degli
interventi (scritti ora in italiano, ora in francese e sintetizzati, alla fine, a lingue invertite) offrono al lettore, innanzitutto, un panorama piuttosto completo delle diverse legislazioni nazionali e delle soluzioni in concre-to operanti nei singoli paesi. Si tratta di informazioni difficilmente reperi-bili altrove e assai utili per quei letto-ri che cercano un panorama sintetico della situazione europea in materia. Ed è proprio partendo dalle (anche profonde) differenze esistenti nella legislazione dei paesi della Comunità europea, che gli organizzatori del convegno intendevano verificare se l'Atto unico europeo potrà essere un momento di apertura dell'Europa verso l'esterno, verso coloro che ven-gono dalle grandi aree di crisi nel mondo, potrà essere la base su cui si costruirà in concreto "il riconosci-mento della piena cittadinanza a tut-ti i residentut-ti". Il presente volume vuole essere uno strumento di cono-scenza dei problemi e della realtà, ma anche un veicolo per il formarsi e il diffondersi di quella cultura dei di-ritti e della cittadinanza che costitui-sce il comune linguaggio su cui co-struire la competenza della Comuni-tà in materia di stranieri e l'armoniz-zazione delle legislazioni nazionali. Molte sono, infatti, le spinte sciovi-niste e le resistenze a privare gli stati dell'autodeterminazione politica e legislativa in materia di stranieri. A tale proposito, assai stimolante e pre-zioso mi pare il pur breve intervento di Daniele Lochak (Le concept
d'é-tranger dans l'histoire et la culture), co-sì come corrette e propositive mi paiono le linee politiche tracciate nell'introduzione di Ippolito e Pinto
(Stranieri, politica e diritto).
Luigi Marini
MARIO PIANTA, GIULIO PERANI, L'industria militare in Italia,
Edizio-ni Associate, Roma 1991, Lit 20.000.
Esce tempestivamente questo in-teressante libro sull'industria italia-na degli armamenti. Frutto di uitalia-na lunga ed accurata ricerca, condotta con l'aiuto dell'Archivio Disarmo e degli Osservatori regionali sull'indu-stria militare, il testo si rivela dav-vero illuminante sulle scelte econo-miche, politiche e tecnologico-scien-tifiche che sottostanno allo sviluppo dell'industria bellica nazionale. L'at-tenzione si incentra in particolare su-gli anni che vanno dai primi anni ot-tanta al 1988 e viene delineato il per-corso che ha portato l'Italia dal quar-to posquar-to fra i paesi esportaquar-tori di armi al decimo. Con precisione ven-gono inquadrate le scelte strategiche e la storia del commercio italiano di armi, la sua ascesa e il suo declino.
Anche la politica di concentrazione industriale e finanziaria dei tre gran-di poli gran-di sviluppo militare (Iri, Efim, Fiat) viene ricostruita senza nulla la-sciare al caso. Il legame tra questa concentrazione e la politica protezio-nistica attuata in materia dal mini-stero della difesa viene rivelato, cifre alla mano, senza lasciare troppi dub-bi in proposito. Unica pecca del li-bro, e non del tutto irrilevante, è il fatto di costruire troppo il discorso intorno alla possibilità di "riconver-tire" tale industria; discorso sicura-mente giusto e utile, ma che impedi-sce di denunciare fino in fondo il ruolo che tale industria riveste negli attuali sistemi economici, di cui è momento centrale e motore di scelte belliciste, così come l'attuale trage-dia del Golfo ben dimostra.
Sandro Moiso
PAOLA CORTI, Paesi d'emigranti.
Mestieri, itinerari, identità colletti-ve, Angeli, Milano 1990, pp. 291, Lit
35.000.
L'autrice, che da anni si occupa di storia dell'emigrazione dopo essersi precedentemente occupata in preva-lenza di storia del movimento conta-dino, ha scelto come tema centrale di questo volume il problema dell'iden-tità. L'argomento viene efficace-mente affrontato attraverso lo studio di due catene migratorie appartenen-ti a due piccole comunità montane piemontesi, limitrofe per quanto ri-guarda la distanza spaziale, opposte nell'autorappresentazione municipa-le. La puntualizzazione delle tipolo-gie dei mestieri e dei percorsi delle due correnti migratorie aiuta a evi-denziare il peso dei legami di paren-tela e di villaggio; proprio quei lega-mi poi finiscono per svolgere un ruo-lo determinante nelle esperienze che gli emigrati all'estero affronteranno sia in campo economico che politico. Nello sviluppo del tema si intreccia-no sovente altri due piani: l'analisi dei cicli di vita individuali e collettivi insieme alla percezione di sé dei pro-tagonisti. In conclusione il volume si inserisce in quell'area di studi sull'e-migrazione che ha sollevato i temi più stimolanti proprio in merito al di-scorso sull'identità etnica.
Chiara Ottaviano
MARIALISA MONNA, GIULIANA PEN-ZI, Giuliana dai capelli di fuoco,
Nuo-va Eri, Torino 1990, pp. 75, Lit 17.000.
Il 22 febbraio 1940 viene fondata la Regia Scuola di Danza, l'attuale
Accademia di Danza Nazionale, la prima e ancora adesso unica scuola pubblica di danza. A cinquant'anni dalla sua istituzione, una delle fonda-trici, Giuliana Penzi, nel raccontarci la sua vita, descrive le alterne vicen-de vicen-della scuola. Dove finisca la storia della Penzi e dove inizi quella della Scuola è difficile dirlo. Ogni accadi-mento che poteva influire sulla fati-cosa crescita dell'Accademia ha ine-vitabilmente scosso l'esistenza del-l'autrice e viceversa. Giuliana Penzi, danzatrice, nasce alla Scala di Mila-no, alla fine degli anni venti. Negli anni trenta e quaranta viene apprez-zata dal pubblico per la sua eccezio-nale bravura. Giovanissima le viene offerta la possibilità di andare a inse-gnare a Roma. A farle questa propo-sta è Ja Ruskaja, una danzatrice russa che, stabilitasi in Italia, tentò di at-tuare, seguendo le innovazioni pro-poste dalla Duncan, un vasto piano didattico sulla danza, che si fondava sul principio che essa dovesse essere un "metodo integrale di educazio-ne" e una "libera espressione del-l'attitudine e temperamento della danzatrice". Le due donne ebbero, nella storia dell'Accademia, ruoli molto diversi. La Ruskaja, per certi versi, fu simile a un padre, realistica nel cercare sempre nuove fonti di fi-nanziamento per offrire alla Scuola e alle allieve maggiori possibilità, e nello stesso tempo autoritaria, pos-sessiva ed egocentrica. Come fosse una madre — devota, amorevole, non possessiva e allo stesso tempo or-gogliosa — la Penzi ha aiutato le al-lieve a crescere e a raggiungere quei teatri, che ella, prematuramente, aveva purtroppo abbandonato. For-se, si deve proprio a questa loro di-versità, se il progetto di una Scuola pubblica di danza si è potuto realiz-zare anche in Italia.
Franca Crucianelli
GIULIANO DELLA PERGOLA, L e parti
e l'intero. Lezioni di sociologia ur-bana, Clup, Milano 1990, pp. 167, Lit
22.000.
Mentre si ristampa il suo La
con-flittualità umana (Feltrinelli, Milano 1972) — che rappresentò un punto emblematico della riflessione socio-logica italiana, nei primi anni settan-ta, sui nodi teorici sottostanti le pra-tiche sociali del ciclo di lotte urbane a ridosso del '68 studentesco e del '69 operaio — Giuliano Della Pergo-la, docente universitario a Milano, in quest'ultimo lavoro continua a deli-neate, per coordinate non conven-zionali, la propria tematizzazione della questione urbana. "Lezioni" dunque: di sociologia urbana, come da sottotitolo, ma anche, forse so-prattutto, di sociologia tout court; dove autori, approcci teorici e con-suetudini specialistiche vengono ori-ginalmente analizzati rispetto alla descrizione-valutazione della se-quenza modernità-industrializzazio-ne-fenomen urbano contemporaneo. Otto capitoli di differente intensità, contrassegnati tutti da una notevole dose di sorvegliata capacità critica attenta a cogliere, oltre la dimensio-ne di rassegna, dimensio-nei differenti nuclei tematici, la storicità dell'urbano: tra determinanti strutturali e implica-zioni simboliche. Per le prime, signi-ficative risultano le considerazioni dedicate all'economia urbana (cap. IV), così come la disamina condotta, nel cruciale cap. V, dei temi della
so-ciologia urbana; quanto alle seconde, di particolare interesse appaiono gli spunti di analisi sul nesso
religioni-urbanesimo (cap. II) e le considera-zioni sulle valenze plurime delle
uto-pie urbane (cap. III). Alla problemati-ca urbana nel problemati-caso italiano sono inve-ce destinati gli ultimi capitoli:
conte-stualizzazione storica e
periodizzazione di fasi della città contemporanea (cap. VI); rapporto
urbanesimo-informatizzazione (cap. VII) e proposte per gli anni novanta (cap. Vili). Bibliografie di supporto ai singoli capitoli e una bibliografia generale completano il volume. Che costituisce uno strumento di lavoro versatile a fini sia didattici, sia di riattivazione del dibattito pubblico sulle tematiche urbane, ben oltre i confini disciplinari.
Emanuele Bruzzone
LUIGI SANDRI
DIO IN PIAZZA ROSSA
Il ruolo dei cristiani nell'URSS della perestrojka In appendice: I protestanti nell'Unione Sovietica di Cesare G. De Michelis pp. 108, L. 10.000
Un quadro meditato dei vari aspetti del mondo cristiano sovietico (ortodosso, cat-tolico, armeno, luterano ecc.) attraverso una serie di interviste a personalità di pri-mo piano.
GIUSEPPE LA TORRE
L'ISLAM: CONOSCERE PER DIALOGARE
pp. 144, L. 16.000 («Nostro Tempo») Conoscere l'isiàm prendendo coscienza dei nostri pregiudizi per poter incontrare i musulmani che vivono in Italia è l'obietti-vo di fondo di questo libro.
MARTIN LUTERO
SCUOLA E CULTURA
Compiti delle autorità, doveri dei genitori a cura di Maria Cristina Laurenzi pp. 144, 8 ili.ni f.t., L. 16.000
Due scritti del 1524 e del 1530 sulla neces-sità di una formazione culturale completa per tutti i laici — uomini e donne — in vi-sta dei nuovi compiti della società civile.
PAOLO NASO
COME PIETRE VIVENTI...
immagini e testimonianze dei cristiani palestinesi pp. 96, L. 8.500
il ruolo delle chiese cristiane in seno al po-polo palestinese.
f f • editrice
Claudiana
Via P. Tommaso, 1 - 10125 Torino
tel. 011/68.98.04 - c.c.p. 20780102
SEGUNDO MONTES, JORGE CÀCERES, E1 S a l v a d o r : L e
radici sociali della guerra, DataNews, Roma 1990, trad. dallo spagnolo di Francesco Marighini e Manue-la Palermo, pp. 91, Lit 9.000.
Il volume, la cui importanza sta nell'eliminazione di alcuni luoghi comuni sull'argomento, è costituito da una raccolta di documenti significativi, relativi alla crisi sal-vadoregna e ai suoi possibili sviluppi. E di padre Segundo Montes, uno dei sei gesuiti dell'Uca (Universidad Centro-Americana) assassinati nel novembre 1989 a San Salva-dor dagli squadroni della morte, il saggio su Classi e mo-vimenti sociali nel Salvador. Analizzata la
composizio-ne sociale del paese da una prospettiva dichiaratamente gramsciana, padre Montes conclude di non ritenere possi-bili modifiche sostanziali della situazione salvadoregna, non essendo prevedibili, a breve scadenza, né una solu-zione militare né una solusolu-zione politica del conflitto. L'unica soluzione sarebbe costituita dall'instaurazione della democrazia. Partendo dalla constatazione di come questa non sia mai veramente esistita, in Salvador,
Mon-tes afferma: "La democrazia reale passa attraverso la pre-sa di coscienza e l'unità della classe dominata con una parte dei ceti medi che, anche quando non ne sono consa-pevoli, ne fanno anch'essi parte". Questo primo saggio occupa gran parte del volume; più sintetico è l'intervento di Càceres, professore dell'università centroamericana di Costa Rica, che, superando la facile indignazione, forni-sce gli elementi necessari alla comprensione delle dottrine della "sicurezza nazionale" e del terrorismo di stato, sempre utilizzate dai governi dell'America centrale e me-ridionale per giustificare le violazioni dei diritti umani. Esaminata storicamente l'applicazione di queste due dot-trine in Guatemala, Salvador e Honduras, Càceres con-clude con delle considerazioni pessimistiche sul futuro delle "democrazie controllate" della regione. Pesante-mente condizionate dagli interessi nordamericani, così come dal ruolo che i militari si sono riservati nel processo di "apertura", esse risultano assai più deboli delle recenti democrazie del sud del continente. In questa stessa ottica di "apertura", in Salvador, il governo Cristiani (Arena) ed il Fronte Farabundo Marti per la Liberazione
Nazio-nale, organismo militare che raccoglie cinque organizza-zioni dell'opposizione, sono giunti alla decisione di ria-prire il negoziato di pace (novembre 1989). Gli ultimi due documenti riportati, un'intervista a tre comandanti de II'Fmin, ed il messaggio di fine d'anno del Comando generale, chiariscono come lo stesso Fmln ritenga ormai impossibile vincere militarmente il conflitto. La guerri-glia, dopo un 'analisi articolata delle forze in campo, insi-ste sul fatto che il negoziato "non significa certo prendere il potere, ma significa sicuramente ottenere trasformazio-ni basilari per la nostra società ".Se è vero infatti che la ri-voluzione vittoriosa in Nicaragua, rappresenta lo sfondo di tutte le odierne vicende centroamericane, da una pro-spettiva riformista, l'Fmln proclama orgogliosamente di essere riuscito a definire "un programma nazionale per il Salvador che presuppone il predominio del potere civile su quello militare, uno stato di diritto, il pluralismo poli-tico, il rispetto dei diritti umani e le libertà democrati-che".
N . 4 [ I N D I C E r a . '
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Economìa
DANIELA DEL BOCA, Relazioni
Indu-striali e Mercato del Lavoro. Un'a-nalisi comparata Italia-Stati Uniti,
La Nuova Italia Scientifica, Roma 1990, pp. 119, Lit 18.000.
Obiettivo del libro è l'analisi del ruolo delle istituzioni sindacali nella determinazione del funzionamento del mercato del lavoro. Spunto di ta-le indagine sono ta-le ben note diversità esistenti tra il mercato del lavoro sta-tunitense e quello italiano e, più in generale, europeo. Tali diversità, re-sesi particolarmente evidenti duran-te gli ultimi quindici anni, riguarda-no da un lato l'andamento ciclico dell'input di lavoro (ore e occupazio-ne) e l'elasticità di tale fattore al sala-rio reale e dall'altro il comportamen-to e le caratteristiche dei gruppi sin-dacali. Lo scopo della ricerca è di ve-rificare se e in che modo tale
diversità istituzionale contribuisca a determinare le divergenze tra gli an-damenti delle variabili reali. Il tema è affrontato fondamentalmente da un punto di vista empirico; alla teo-ria sottostante è dedicato il primo ca-pitolo che propone una breve rasse-gna della letteratura riguardante la relazione salari reali-occupazione e la nozione di costi di aggiustamento del fattore lavoro. Infine un semplice modello teorico di comportamento del sindacato è esposto nell'ultimo capitolo.
Annalisa Cristini
ALBERTO NICCOLI, Economia, etica,
società politica, La Nuova Italia
Scientifica, Roma 1990, pp. 195, Lit 26.000.
Etica ed economia è un binomio oggi molto di moda, anche se
utiliz-zato da parecchi per ribadire in for-ma filosofeggiante le proprie ragioni di parte. Niccoli, che non appartiene a questa categoria, evita la trappola di confinare il discorso ai mali del-l'individualismo che sta alla base del sistema economico. Il suo tentativo è più aperto e più ambizioso e cioè in-dividuare delle costanti nella relazio-ne tra etica ed economia e valutare il contributo che la prima può dare alla seconda. Attingendo ai grandi classi-ci dell'economia politica e del pensie-ro sociale, egli formula la tesi di quel-lo che definisce un rapporto dialetti-co tra edialetti-conomia ed etica. In una so-cietà stazionaria non vi è alcun contrasto tra le due; quando invece si innesca un processo dinamico l'eco-nomia acquisisce autol'eco-nomia e tende ad apparire immorale a chi si occupa di etica. Il progressivo distacco del-l'economia dall'etica provoca, come sta avvenendo attualmente, una crisi nella prima, proprio nel momento in cui gli studiosi della seconda
comin-ciano a rivedere la condanna espressa in precedenza e modificano i loro cri-teri di giudizio. A questo punto di-venta possibile una sintesi tra etica ed economia, che si realizza a un li-vello più alto e più ricco, non solo in termini economici o etici ma di com-plessiva dignità umana, rispetto alla
società stazionaria di partenza. Que-sta non è però l'unica soluzione pos-sibile, perché tutto dipende dalle scelte concrete che vengono fatte nelle determinate contingenze stori-che. L'economia ha bisogno della po-litica economica.
Franco Picollo
FEDERICO C A F F È , La solitudine del riformista, a cura di Nicola Acocella e Maurizio Franzini, Bollati Borin-ghieri, Torino 1990, pp. 260, Lit 24.000.
La lettura del volume, che raccoglie interventi apparsi su numerosi quotidiani e riviste nel corso degli anni set-tanta e otset-tanta, genera sgomento e senso di privazione per la scomparsa di Caffè anche in coloro che lo conoscevano unicamente attraverso gli scritti accademici. Elementi e aspetti di una personalità e di un "progetto teorico-polìtico" ancora oggi di grande interesse emergono chia-ramente, infatti, dall'articolazione logica del libro in set-te parti, che riguardano i seguenti argomenti: la concezio-ne disciplinare dell'economìa politica; la conduzioconcezio-ne del-la politica economica nel nostro paese; il conflitto tra idee e interessi; gli ideali cui deve ispirarsi un "progressi-smo riformatore"; il ruolo delle istituzioni; la necessità di una politica economica alternativa.
Siamo quindi di fronte a una riflessione sistematica, chiaramente improntata allo stato d'animo del
"corrido-re solitario ' ' che ' 'ha il compito di ribadi"corrido-re le ragioni del-la razionalità" contro i "falsi miti" che prevalgono nel dibattito corrente. In questo senso il riferimento all'idea crociana della "vita come una fortezza da sottoporre ad un tenace assedio" sintetizza lo spirito di chi contro "la verbosa babele del senso comune" persegue con coerenza e forza il "recupero di chiarezza e [studiata) semplicità ei-naudiana".
Questa ispirazione di fondo si coniuga con una tensio-ne morale, che pervade la conceziotensio-ne sia della disciplina economica sia del ruolo degli intellettuali. Il rifiuto del-l'economia come scienza asettica è alla base di una co-stante affemazìone degli ideali di fondo che ispirano gli interventi qui ripubblicati: il "progressismo riformato-re", basato su principi di egualitarismo, assistenzialismo e fiducia nello "stato del benessere"; la difesa degli strati più emarginati della società; la lotta alla disoccupazione come problema fondamentale.
E anche evidente una coerenza di fondo tra la (per così dire) "pratica della professione" di economista e la
visio-ne più gevisio-nerale della disciplina, intesa come combinazio-ne di "interessi, scopi, risultati e teoremi". La mistura di argomentazione razionale e ragionamento orientato alla difesa di interessi dichiarati è appunto alla base di una cri-tica sistemacri-tica della costante che caratterizza la storia del nostro paese, cioè il "divario tra politica economica effettiva e politica economica potenziale", causato da misure spesso contraddittorie e schizofreniche. È invece ribadita l'importanza di una "progettualità autonoma e alternativa", di cui vengono indicati i punti essenziali, benché "contro l'ottusità anche gli dei sono privi di pote-re". Spesso nel volume una coscienza critica razionale mette efficacemente in rilievo le carenze di fondo delle concezioni economiche e politiche prevalenti. In un pae-se nel quale il "mal sottile della politica economica" so-no "l'inazione, il rinvio delle decisioni, il blocco recipro-co dei provvedimenti urgenti", emerge la funzione inso-stituibile di "economista passionale", che Caffè ha con-sapevolmente svolto e della quale siamo oggi privati.
Mauro Lombardi
RAYMOND W . GOLDSMITH, Sistemi
finanziari premoderni. Uno studio storico comparativo, presentaz. di
Marcello De Cecco, Cariplo-Laterza, Roma-Bari 1990, pp. 391, s.i.p.
Nel volume sono esposti i risultati dell'analisi di fonti secondarie (pub-blicazioni in lingua occidentale), re-lative ai sistemi finanziari nella sto-ria dell'umanità, dal III millennio a.C. al 1700: la Mesopotamia e l'E-gitto, l'Atene di Pericle, la Roma di Augusto, il primo periodo del califfa-to Abbaside, l'impero otcaliffa-tomano alla morte di Solimano I, l'India Mogol alla morte di Akbar, il Giappone del primo periodo Tokugawa, la Firenze dei Medici, l'Inghilterra della regina Elisabetta, i Paesi Bassi all'epoca della pace di Mùnster. Si tratta