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A l e s s a n d r o Zaccuri, MILANO, LA CITTÀ DI

NESSU-NO, pp. 122, €10, l'ancora del mediterraneo, Na-poli 2003

Milano come New York. Per le strade gira uno spettro il 18 aprile 2002, il giorno del biz-zarro incidente aereo (però tre morti soltanto nell'impatto contro il Pirelli) che innescò lì per lì la paura dell'attentato. È tornato infatti Lu-ciano Bianciardi, l'autore di La vita agra, il grossetano che a Milano c'era venuto per far saltare appunto un grattacielo e vendicare (lui o il suo doppio romanzesco) quarantatre mi-natori di Maremma esplosi in miniera, 1954, a causa del grisù. Così incomincia un "reporta-ge visionario" che rievoca la storia del Nove-cento milanese seguendo due fili. L'uno è quello dei milanesi illustri: tutta gente venuta di fuori, spesso provinciali che la capitale at-traeva, una capitale terribile, una metropoli europea e un po' sciattona. L'altro è il filo del-la morte. Troppa morte a Midel-lano. S'intenda ov-viamente la morte iniqua: per guerre stragi scontri bombe suicidi misteri. Qui il testo vive a un incrocio, fra emozione e precisione, e l'accordo a volte è semplice, perfetto: "eccoli, puliti e ordinati nei loro grembiuli... Sono due-cento, anzi no: duecentoquattro. I bambini della scuola elementare di Gorla, centrata dai bombardieri la mattina del 20 ottobre 1944, al-tra giornata di sole benché autunnale, niente nebbia nel cielo sopra Milano". Oppure basta il nome, basta il nome di Giannino Zibecchi, Giannino un nome piccolo e casalingo, per ri-vederne a memoria (se si ha memoria) la foto d'epoca, la piccola massa scura del cervello schizzato sull'asfalto. Questo è un libro serio e ' simpatico, con ottima conoscenza dei fatti, nonostante l'impianto fantasmatico. A tratti Zaccuri si concede una sentenziosità breve in cui spreme il succo pedagogico, "perché an-che questo insegna Milano: con le idee non si scherza, c'è sempre qualcuno pronto a capir-le a modo suo". Acapir-lessandro Zaccuri, milanese nato a La Spezia nel 1963, è giornalista dell'"Avvenire".

LIDIA D E FEDERICIS

pagni. Questo è il suo libro d'esordio, un bel documento delle risentite passioni che la poli-tica ha creato e frustrato.

( L . D . F . )

ti in Francia, nella lingua artificiale da lui in-ventata, l'Europanto. In Italia ha pubblicato romanzi. Di sé dice: "sono un acrobata delle lingue".

( L . D . F . )

L u i g i L e o n i , DIARIO DI UN PELLEROSSA, pp. 173,

€11, Mobydick, Faenza 2003

I romanzieri di professione conoscono i trucchi del mestiere. Chi invece ha fatto altro e arriva alla scrittura da dilettante, meno esper-to nel ripararsi con lo schermo della finzione letteraria, espone rudemente la materia della vita. È il caso di questo libro, narrazione tu-multuosa su sindacato e politica, socialisti e comunisti, spartizioni e lottizzazioni, il garbu-glio della prima repubblica, riflesso nella Ca-mera del lavoro di Como, dov'è dirigente del-la Cgil il protagonista Ludovico, e poi a Midel-la- Mila-no, dove Ludovico va per cambiare (e cambia l'ufficio ma non la sostanza). L'antropologia sindacale del libro è proprio come se l'imma-ginano gli antipatizzanti: tutti vanesi e incon-cludenti alla Cgil, con l'unica logica del potere e affaretti, amorazzi, rituali pietrificati; e dap-pertutto comunisti prepotenti, in sindacato e nella società. In questo libro, bisogna aggiun-gere, il punto di vista esplicito sta dalla parte dei corsari craxiani. Meglio però afferrarne il bandolo segreto, il principio dello scambio ineguale fra piacere e perdita; dell'entropia in cui si consumano i fatti della vita dopo l'attimo iniziale: la rivoluzione nel sessantotto, l'aspira-zione alla giustizia nel sindacato, la pienezza del desiderio negli amori. Significa, dice Lu-dovico alla figlia Chiara: "significa che il buio si tinge di nero. Che le palpebre ti crollano su-gli occhi. Che il vuoto si riempie solo di vuoto. Che la speranza è una parola vana". Così av-viene il "cedimento", ultimo paragrafo, ina-spettata conclusione decisiva di un percorso d'impotenza. L'autore, Luigi Leoni, nato nel 1950, ha fatto il politico di professione e il sin-dacalista nella Cgil di Como. Sarà stato lui stesso il "pellerossa" del titolo, ritirato sotto la tenda in solitudine; ovvero un "cacadubbi", un "piagnina", come di Ludovico dicono i

com-Silvano Dodero, ZERO, VIRGOLA, pp. 179, € 13,

De Ferrari, Genova 2001

Stampato da un editore locale, circola ada-gio questo romanzo di formazione che merita la lettura. Ci propone infatti almeno due pro-blemi d'interesse metodologico. Il primo è ri-saputo: come scrivere da vecchi un'autobio-grafia di quando s'era giovani; il secondo è più stuzzicante: come scrivere un'autobiogra-fia di genere, però da maschi. Quest'ultimo comporta un rischio che il testo assume aper-tamente, nella sessualizzazione del punto di vista e nel linguaggio: vedi a proposito del pri-mo apri-more, una certa Aurora, "mia, come si di-ce in gergo maschio". La vidi-cenda ha scarsi eventi e nessuno è romanzesco. Una crescita a Boccadasse con la mamma sola e ansiosa, ceto operaio; una scuola malvissuta al cele-bre tecnico di Genova, il "Galileo Galilei"; in cerca di lavoro a Milano ed ecco una storia con Loredana, la moglie del padrone di casa; infine un posto d'insegnante a Monza. Chi vo-glia ripensare a un'adolescenza maschile ne-gli anni cinquanta troverà una fonte in questo libro e nella testa del protagonista, piena di sogni e ossessioni alla maniera di un Fellini corretto dall'ironia: le bramate tette e le mu-tande, il casino e le puttane, un porto di mare. Ma, per paradosso, è la forma che domina, è la struttura costruita con un continuo andiri-vieni nel tempo e da una situazione all'altra. Le singole situazioni sono invece statiche, go-vernate da un gusto linguistico che tende all'i-terazione, all'accumulo, e prende distanza dalle cose. (Giorgio Cusatelli nel risvolto cita il cosiddetto surrealismo italiano). Qua e là sbu-cano tratti fulminei e giudicanti: "niente ii fa sballare come il fasullo" (detto dei nuovi boc-cadassini invaghiti dell'arredo urbano: "Paris au bord de la mei"). Silvano Dodero, nato a Genova nel 1941, ha lavorato in scuola e nel-l'associazionismo. Amico di Joyce Lussu. Im-pegno nelle relazioni culturali con i curdi. Poi ha molto viaggiato come il suo nonno mari-naio.

( L . D . F . )

Roberto Carifì, DESTINI, pp. 80, € 7, Libreria

del-l'Orso, Pistoia 2002

È il più recente dei testi usciti in "Storia e let-teratura", la prima collana di Libreria dell'Or-so, edizióni piccole e a buon prezzo, caratte-rizzate da selezione e cura inusuali. In un tem-po notturno e immobile, in una Parigi astratta, racconta la progressione trasgressiva, l'eroti-smo micidiale, l'uso estremo di sé della cop-pia incestuosa di Girard e Michelle, della loro madre Colette e di una rete di amici e compli-ci, stravolte comparse novecentesche so-pravvissute a un'esistenza nera, fra nazismo e guerra d'Algeria. Vi è coinvolto, per un incon-tro casuale con Girard in libreria, un giovane italiano. Così apprendiamo subito (siamo in li-breria) i referenti culturali: da Bataille e Artaud a Céline e Drieu de la Rochelle, fino a Deleu-ze che tiene i corsi su Nietzche. Non sapremo invece qual è la malattia che consuma la gio-vinezza di Girard e perché e come muore Mi-chelle, cadavere scomposto dell'ultima pagi-na. Si salva dì necessità il narratore, il giova-ne italiano che registra giova-neutralmente, al pas-sato, il proprio avvenuto sregolamento. Que-sto è, a suo modo, un racconto Que-storico. Rileg-ge infatti, nel presente, la storia, però attin-gendo a una parte speciale del suo lascito, al deposito simbolico di immagini e fantasmi che perviene dalla tradizione delie avanguardie artistiche: tipico il connubio fra torture private e sfondi storici, all'insegna novecentesca del-la semplice e assurda crudeltà. Anche l'e-spressione tende a sperimentare l'eccesso, non di parole, da linguaioli, ma di metaforiche visioni e sogni: "in cerca di luci impastate d'ombra, vasi colmi che traboccano sangue, votati alle emorragie dell'anima e del corpo". Roberto Cariti, nato a Pistoia nel 1948, è filo-sofo poeta e traduttore.

( L . D . F . )

D i e g o Marani, A TRIESTE CON SVEVO, pp. 90, € 6,

Bompiani, Milano 2003

Non è nuova l'idea di abbinare gli scrittori ai paesaggi. (Tanto che, sulla duplice valenza di "scena architettonica e affettiva", le Edizioni Unicoplì hanno già impostato una specifica collana, "Le città letterarie"). In questa Trieste di Svevo l'idea appare moltiplicata. Nei luoghi triestini vivono infatti e passeggiano, grazie al-l'interminabile vita della scrittura, i personaggi romanzeschi, il suicida Nitti, il senile Brentani, il fumatore Cosini, il vecchione che insidia le fanciulle, e Annetta, Angiolina, Carla. Assieme alla ricostruzione dei loro itinerari, si svolge a lampi l'indagine su Ettore Schmitz e si forni-scono inoltre i dati della ricerca attuale nei do-cumenti, in biblioteca, al museo, e per le stra-de, fra poveri avanzi: "fra saracinesche arrug-ginite e cornicioni cadenti, troviamo un bar, il Caffè degli Artisti. Arredato con poltroncine e specchi come un minuscolo caffè viennese". Così vengono mescolati il finto e il realmente esistito e la malattia e la presunta salute e la fatale patologia dell'esistenza e la vera o pre-sunta pazzia triestina. Un divertimento lettera-rio con qualche spiazzante stralcio di realtà: come, sul "Gazzettino" del 13 settembre 1928, il resoconto dell'incidente mortale, inti-tolato Auto contro un albero; con l'aggiunta delle nude frasi di Livia Veneziani. Ma prevale il sentimento dell'irrealtà e lo accentua la mol-tiplicazione anagrafica che frantuma la pagi-na adattandosi bene alla cifra ambigua di Svevo, un uomo dai troppi pseudonimi!. Die-go Marani, nato a Ferrara nel 1958, è tradut-tore presso il Consiglio dei ministri dell'Unione Europea di Bruxelles. Ha scritto racconti,

usci-L o r i a n o Macchiavelli, UNA BIONDA DI TROPPO

PER SARTI ANTONIO, pp. 88, € 7, Libreria

dell'Or-so, Pistoia 2003

La Libreria dell'Orso inaugura una nuova collana. Gialla e diretta da Renzo Cremante. I cultori del genere ricorderanno che Cremante è stato fra i primi in Italia a nobilitarlo con gli strumenti critici, curando assieme a Loris Rambelli La trama del delitto. Teoria e analisi del racconto poliziesco, 1980, bella raccolta saggistica di grandi firme. Anche qui, nel gial-letto pistoiese, propone il recupero di un bel •racconto d'epoca, uscito a puntate su

"L'U-nità" nel 1985, con una firma già classica. At-torno al caso di un giovane spacciatore pu-gnalato a morte, sullo sfondo dei modesti bas-sifondi bolognesi, in un'indagine complessa benché miniaturizzata nella breve misura, Macchiavelli ha manovrato la sua nota coppia che abbina l'istituzionale sergente Sarti all'a-mico Rosas, aiutante extraistituzionale, anzi ex militante sicuramente extraparlamentare. La coppia, protagonista per anni, si porta die-tro certi contrassegni dovuti alla serialità. Il questurino Sarti ha una dimensione budellare, una colite insomma, che lo disloca spesso sul confine della farsa; lo studente Rosas (farà carriera e in un romanzo tardo, Coscienza sporca, 1995, sarà diventato ricercatore) è cieco come una talpa, un intelligente "talpo-ne". Dei due non sappiamo decidere quale vinca, e se in simpatia o soltanto in bonarietà. Loriano Macchiavelli, nato nel 1934, pubblica gialli da una trentina d'anni, soprattutto gialli sociologici per raccontare storie di Bologna, storie di città. Nell'attuale elegante riproposta si ammiri la pagina introduttiva, che l'aggiorna all'oggi e riesce, per forza di bravura nella se-lezione, a far affiorare due tempi, due scenari di vita comune e disperata.

N. 5 I D E I LIBRI D E L M E S E ! 38

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s o s o OD

co

Chuck Palahniuk, SOFFOCARE, ed. orig. 2002,

trad. dall'inglese di Matteo Colombo, pp. 282, € 13,20, Mondadori, Milano 2002

L'ultimo, ancora una volta sorprendente, libro di Palahniuk è un viaggio in un mon-do che ha perso i confini tra demenza e salute, realtà e immaginazione, salvatori e vittime, santità e dannazione. Victor Man-cini è il suo nuovo antieroe, nonché un me-dico mancato e un adulto disadattato, frut-to della delirante filosofia emancipafrut-toria di una madre più o meno naturale e del suc-cedersi di innumerevoli madri adottive. E proprio a causa della sua precarietà affet-tiva, Victor ha capito molto presto che per avere amore bisogna rischiare la vita. Escogita infatti un singolare sistema per pagare la clinica in cui è ricoverata la ma-dre malata di Alzheimer: ogni sera va in un ristorante diverso e finge di soffocare con un boccone andato di traverso, puntual-mente qualcuno lo soccorre e nel momen-to in cui crede di salvargli la vita anche lo adotta e a ogni anniversario dell'incidente gli manda un gruzzoletto. Moltiplicando l'evento per tutte le sere dell'anno, ecco ri-solto il problema economico. Ma questa è solo una corsia della vita di Victor: di gior-no lo troviamo in una ricostruzione turistica di una colonia di padri pellegrini, imprigio-nato assieme ad altri naufraghi dell'esi-stenza nell'anno 1734; di sera, con caden-ze fisse legate a nomi e vezzi diversi, alla ricerca di emozioni e donne come lui ma-late di sesso compulsivo e legate a una comunità che tenta la disintossicazione da questa dipendenza attraverso una terapia in dodici fasi. Victor è eternamente fermo alla quarta, che richiede la confessione di tutto il proprio passato: e ce lo racconta con un'alternanza tesa e senza cadute di flashback sull'infanzia e tempo presente della sua psiche, il tutto gestendo il narra-to ora con la veggenza di un romanziere ottocentesco, ora destrutturando il lin-guaggio in seriazioni automatiche e psico-tiche, o meglio, assecondando l'altalena tragicomica della vita. Il finale si apre in prospettiva cosmica: non c'è salvezza, sembra dirci questo nuovo mito della lette-ratura americana, per alcuni individuato già dal romanzo d'esordio Fìght club (1999) come il nuovo DeLillo, ma forse un mondo migliore ce lo possiamo inventare noi, vivendo ciascuno in una propria realtà alternativa: e allora essere pazzi o normali non ha più importanza.

GIULIA CALUGARO

B e n j a m i n A n a s t a s , DIARIO DI UN

INCONCLU-DENTE, ed. orig. 2000, trad. dall'inglese di

An-na Mioni, pp. 172, €14, Neri Pozza, Milano 2002

Lo strillo di copertina è di quelli urlati: "Diario di un inconcludente è il manifesto di un giovane Holden dei nostri tempi". Piuttosto allarmati dall'inquietante parago-ne si sorvegliano le prime pagiparago-ne (che stentano a decollare) per poi ritrovarsi im-mersi più o meno a capofitto nella piace-volezza della lettura. La storia, neanche a dirlo, è solo (e per fortuna) un lontano ri-calco dell"'eroe" di Salinger: li accomuna una certa ironia di scrittura, ma nulla di più. Se c'è un debito di epigonalità nel Diario di Anastas, giovanissimo esponente della nuova narrativa americana, è di rendere scorrevole una storia che vanta una tradi-zione secolare: quella del "preferirei di no" che dal Bartleby di Melville sino alle ultime avanguardie a stelle e strisce è una delle costanti della letteratura statunitense. Ana-stas ha infatti il merito di rendere digeribile il diniego senza però cadere, come tanti suoi coetanei, nel premasticato: nel suo li-bro si ride e ci si commuove, ma senza es-sere imboccati da sentimenti preconfezio-nati. Certo la trama sa molto di costruito, ma il risultato è più che buono perché l'au-tore riesce a toccare le corde della vita fa-cendole vibrare senza pizzicarle: il suo

ro-manzo gira sul piatto della narrazione sen-.za suonare a vuoto e il rumore che sentia-mo leggendolo più che al vuoto pneumati-co alla Easton Ellis ci fa pensare al "rumo-re bianco" del silenzio. Silenzio di una ge-nerazione - quella nata sul finire degli anni sessanta - che ha ereditato tutte le disillu-sioni di un american dream miseramente inseguito da genitori "artisti dell'evasione mentale". Di fronte a questo trip - dram-matico più che lisergico - non resta che l'inconcludenza, non resta che essere ani-me incompiute e teppisti contro l'eccellen-za. Non resta che rivendicare il diritto di fallire in una società che solo ai vincenti sembra riservare un posto al sole.

GIAN PAOLO SERINO

C a r o l G o o d m a n , IL LAGO DELLE LINGUE

MORTE, ed. orig. 2002, trad. dall'inglese di

Alessandro Peroni, pp. 377, € 13, Ponte alle Grazie, Milano 2002

La protagonista di questo racconto, Ja-ne Hudson, è un'insegnante di latino che torna alla vecchia scuola femminile in cui aveva studiato da ragazza per insegnare a fanciulle di buona famiglia confinate nel freddo Vermont. La scuola di Head Lake è ormai diventata una sorta di ultima spiaggia per studentesse indesiderate al-trove, un posto "per ragazze i cui genitori siano stufi di drammi, stufi di sangue sul pavimento del bagno, stufi di avere la po-lizia che bussa alla porta". In realtà tutta una serie di eventi tragici e misteri irrisolti è legata alla scuola, e Jane, che aveva giurato di non tornare mai più a Head Lake, si ritrova a dover fronteggiare nuo-vamente gli incubi di quel passato che credeva morto e sepolto. Secondo una vecchia leggenda, il- lago, da cui l'istituto prende il nome, eserciterebbe un'oscura attrazione su coloro che si bagnano nelle sue acque, e il suono lamentoso dei flutti sciabordanti sarebbe una sorta di richia-mo di richia-morte, un invito a uccidersi anne-gandosi. Il romanzo è una storia gotica moderna, e non a caso in

una recente intervista Good-man ha dichiarato che la sua autrice preferita è Charlotte Brònte, e che tra gli scrittori contemporanei predilige i maestri del noir come Ruth Rendell o Raymond Chand-ler. La combinazione di eie-menti come mitologia e lati-no, antichi segreti, drammi adolescenziali e personaggi misteriosi, crea un'atmosfera perfetta, resa quasi

sovran-naturale dall'ambientazione in un luogo remoto circondato dalla neve, dal silenzio e dal richiamo del lago.

TIZIANA MERANI

tena di omicidi che aiterano la serena vita dell'Accademia platonica. A questo si ag-giunge - impeccabile - la ricostruzione storica dell'Atene del tempo, frutto di una documentazione rigorosa. Lo stile classi-cheggiante, nel proliferare di metafore e similitudini, supporta l'uso di un altro topos letterario opportunamente reinventato: il testo si offre come opera inedita, miraco^ losamente sopravvissuta alle ingiurie del tempo. Nasce così un nuovo personaggio, l'anonimo traduttore cui si immagina spet-ti l'arduo compito di divulgare l'opera elle-nica fra noi, lettori contemporanei. Nel pro-gressivo infittirsi dei suoi interventi si dise-gna, nelle note a piè di pagina, una nuova trama, collaterale alla prima. Un secondo giallo, che, in un complesso gioco di specchi, diviene cronaca di un'inquietante osmosi fra scrittura e vita, fra passato e presente. Coinvolto in una riflessione sulla natura della traduzione e sul potere am-maliante della lettura, prigioniero di una doppia catena di invenzioni ed enigmi, il lettore è così costretto a un arduo compito ermeneutico. Sennonché, giunto all'ultima pagina, scopre il fallimento di ogni ipotesi e speculazione. Vero vincitore risulta così uno scrittore sorridente e divertito, che regge con abilità le fila del gioco inventa-to. Affrancatosi dalle convenzioni del ge-nere e affermata la propria libertà creativa, l'autore, José Carlos S o m o z a - cubano re-sidente in Spagna - è al suo debutto ita-liano.

BARBARA DESTEFANIS

davanti alla fila di Trabant che invadono Kreuzberg. Il suo primo pensiero è di farsi ancora una birra: "Il resto, bene o male, verrà da sé".

MICHELE SISTO

José Carlos Somoza, LA CAVERNA DELLE

IDEE, ed. orig. 2000, trad. dallo spagnolo di

Gi-na Maneri, pp. 306, €16, Frassinelli, Milano 2002

Il rinvenimento del corpo privo di vita di un efebo. Un mandatario - il filosofo Dia-gora - indotto a far luce sulle reali cause di quella morte. Un sagace Decifratore di Enigmi, Eracle Pontor. Una coppia di inve-stigatori, complementari nella loro diver-sità. Una sequela di crimini, che si avvi-cendano misteriosamente al primo. Una serie di indagini, che, rimossi i consueti equivoci, condurranno alla scoperta degli insospettabili colpevoli. Nei suoi elementi, La caverna delle idee riproduce fedelmen-te la struttura del romanzo poliziesco. Tut-tavia, i canoni del genere, lungi dall'impri-gionare l'opera, costituiscono il punto di partenza per una nuova e originale inven-zione. Innanzitutto, la Ragione -

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