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NARRAZIONE VS INTERAZIONE: CINEMA E VIDEOGAMES

Nei capitoli precedenti si è tentato di tracciare un quadro teorico in grado di mostrare i principali approcci allo studio del fenomeno della narrazione esplosa. Come abbiamo visto, è possibile parlare di due grandi proposte: la visione conservatrice di David Bordwell da un lato, che mira a costruire una storia del cinema fluida e continuativa, in cui le innovazioni sia sul piano tecnologico sia sul piano narrativo sono viste come ovvie evoluzioni di un mezzo cinema predisposto all’“intensificazione” dei propri codici e in cui i puzzle film rivestono, in questo contesto, il semplice ruolo di un momento di (limitata) sperimentazione del linguaggio cinematografico; e, dall’altro lato, una posizione di “rottura” da parte di autori quali ad esempio Eleftheria Thanouli e Warren Buckland, che vedono nei film a partire dagli anni Novanta definiti post-classici (e nei puzzle film in particolare) i germi di un nuovo modo di fare e vivere il cinema.

In entrambi i casi, l’analisi del fenomeno della narrazione esplosa è vissuto come imprescindibile dal contesto di riferimento, ovvero: il cinema negli anni della rivoluzione digitale. L’ibridazione infatti del cinema con gli altri media, e soprattutto il passaggio da un linguaggio che da cinematografico diventa sempre più genericamente digitale e audiovisivo ci porta a riconsiderare lo statuto del cinema stesso nell’era della crossmedialità.

In particolare, grazie ai contributi di autori quali Jason Mittel, Elliot Panek e Thomas Elsaesser, che hanno evidenziato il diverso rapporto che i puzzle film (o mind-game film) instaurano con la nuova generazione di spettatori, è emerso uno stretto legame tra il linguaggio ludico della narrazione esplosa e il linguaggio interattivo dei videogames. Forse il fulcro o, se vogliamo, il vero punto di partenza per un discorso vertente sulle cause della narrazione esplosa degli anni Novanta-Duemila.

Se gli studiosi di cinema hanno quindi analizzato il fenomeno confrontandosi con la storia stessa del cinema (verificando appunto la continuità o la rottura con i codici del cinema classico) utilizzando i mezzi teorici forniti da una disciplina ormai accademicamente affermata, è possibile tuttavia osservare il fenomeno da un altro punto di vista, quello dei giovanissimi game studies, e porsi le seguenti domande: è corretto considerare i puzzle film

come conseguenza di un’ibridazione tra il linguaggio cinematografico e quello videoludico? È possibile dimostrare che i puzzle film utilizzano codici, pratiche e strategie proprie dei videogames? Inoltre, è opportuno pensare ai puzzle film come a dei casi terminali di ipertesto?

L’obiettivo della seconda parte del presente studio è quindi quello di approfondire i quesiti posti e di esaminare il legame profondo tra i due media per poter successivamente analizzare i puzzle film da una prospettiva diversa: quella appunto dei game studies.

Prima di affrontare il rapporto tra cinema e videogiochi, ritengo sia opportuno eludere in questa sede la necessità di ripercorrere una cronistoria videoludica123, e sintetizzare invece il quadro teorico internazionale della giovane disciplina attraverso una rapida esposizione delle principali scuole di pensiero in ambito videoludico.

Innanzitutto, come accade già negli studi di cinema, anche nei game studies è possibile individuare due principali approcci teorici: da un lato i “narratologi”, ovvero studiosi di stampo accademico che hanno adattato per l’analisi dei videogiochi modelli e teorie di altre discipline, ponendo alla base della propria ricerca l’assunto che il videogioco è da ritenersi un “testo” e, in particolar modo, un medium narrativo; dall’altro lato invece i “ludologi” rivendicano l’autonomia del videogioco dagli altri media e, rifiutando approcci semiotici o narratologici, si concentrano principalmente sull’aspetto gioco.

Per quanto riguarda la prima corrente, tra gli studiosi più influenti di stampo narratologico vi è indubbiamente Janet Murray: convinta sostenitrice del videogioco come medium narrativo, Murray studia le modalità in cui è possibile raccontare delle storie attraverso il computer e basa il proprio lavoro sulla ricerca dei nessi tra il concetto di gioco e il concetto di racconto. Il videogioco risulta così legato ad altri media narrativi quali il libro, il cinema e l’ipertesto, e le due forme individuate di narrazione elettronica interattiva (il “solvable maze” e il “tangled

rhizome”124) così come il modello del “cyberdrama”125, sono studiate a partire dal rapporto tra lettore/spettatore e testo.

                                                                                                                         

123 Per una storia dei videogiochi si vedano gli esaurienti testi di: J. C. Herz, Joystick Nation: how videogames

ate our quarters, won our hearts and rewired our minds, 1997; S. Kent, The First Quarter, Bothell, BWD Press,

2000; D. Sheff, Game Over, New York, Random House, 1993; R. Asakura,, Revolutionaries at Sony, New York, McGraw-Hill, 2000; D. Takahashi, Opening the Xbox, Roseville, Prima Publishing, 2002.

124 J. Murray, Hamlet on the Holodeck. The Future of Narrative in Cyberpace, Cambridge, MIT Press, 1998, p.

130.

Michael Mateas e Andrew Stern126 applicano invece un modello neoaristotelico per sviluppare il concetto di “interactive drama”, mentre il lavoro di Nick Montfort127 di stampo

mediologico o, se vogliamo, “newmediologico”, verte sulla definizione di “interactive

fiction”. Entrambi gli approcci comunque, sminuiscono la potenzialità ludica dei videogiochi

e prediligono gli aspetti narrativi del medium, trascurando quindi quelli che non sono in grado di raccontare storie, o trovando, come nel caso di Murray, elementi narrativi anche in giochi come Tetris.

Un approccio di stampo semiotico invece è quello di Massimo Maietti128, che si distingue per aver applicato ai videogiochi la teoria degli ipertesti, introducendo in particolare concetti come quello dell’ipertesto denso.

Tuttavia, il limite delle teorie di questa prima scuola di pensiero è quello di attribuire alla narrazione un ruolo privilegiato rispetto al gameplay o, più genericamente, al potenziale ludico del mezzo. Il videogioco viene letto e studiato come medium narrativo e messo così in relazione (se non in subordinazione rispetto) ad altri media quali il libro e il cinema.

La narratologia, l’estetica e la semiotica se da un lato offrono modelli interpretativi che ben si adattano per analizzare quei videogame con un’importante componente narrativa, dall’altro lato soffrono l’impostazione teorica adatta per lo studio e l’analisi di “testi” ma, forse, poco adatta per comprendere quei videogame in cui invece manca qualsiasi forma di narrazione (come appunto Tetris).

Èd è proprio la componente ludica ad essere il perno degli studi della ludologia, una disciplina fondata da Espen Aarseth129 nel 1997 e che ha conosciuto una certa popolarità internazionale a partire dal saggio Gonzalo Frasca Ludology Meets Narratology130 del 1999.

Secondo i ludologi l’assenza di narrazione in molti videogiochi rende inapplicabile l’approccio narratologico, estetico e semiotico di discipline tradizionali, mentre occorre invece fondare una nuova disciplina (la ludologia appunto) per studiare questo medium con strumenti nuovi e più adatti a comprenderne la vasta portata.

                                                                                                                         

126 M. Mateas, A. Stern, Structuring Content in the Façade Interactive Drama Architecture, AIIDE, Marina del

Rey, 1-3 giugno 2005.

127 N. Montfort, Interactive Fiction as “Story”, “Game”, “Storygame”, “Novel”, “World”, “Literature”,

“Puzzle”, “Problem”, “Riddle”, and “Machine”, in www.electronicbookreview.com, 2004.

128 M. Maietti, Semiotica dei videogiochi, Milano, Unicopli, 2004.

129 E. Aarseth, Cybertext, Baltimora, The Johns Hopkins University Press, 1997.

130 G. Frasca, Ludology Meets Narratology. Similitude and differences between (video)games and narrative,

Gonzalo Frasca ad esempio parla di “simiotica”, ovvero una particolare forma di semiotica in grado di spiegare il funzionamento dei sistemi simulativi. Espen Aarseth invece distingue il diverso rapporto tra lettore/spettatore e videogiocatore a partire dalla funzione interpretativa richiesta da media narrativi e dalla funzione configurativa richiesta invece dal mezzo videoludico. Aarseth elabora così il concetto di “testo ergodico” (ovvero un testo che richiede “uno sforzo in più” da parte del fruitore che è chiamato a fare una scelta) e basa il proprio lavoro sulle differenze tra gioco (visto prima di tutto come un insieme di regole e non come un mezzo per raccontare storie) e narrativa.

Un altro importante esponente di questa seconda scuola di pensiero è Jesper Juul che esplora l’attitudine dei videogiochi nel creare mondi virtuali in cui è possibile, in base alle regole del gioco, dare comunque vita a delle narrazioni.131 Tuttavia i giochi non sono storie.

La simulazione è quindi l’aspetto privilegiato dei ludologi, i quali pongono il proprio limite nel non voler prendere in considerazione il ruolo della narrazione all’interno di un videogame in base all’assunto secondo cui “i giochi sono giochi”, unico vero imperativo della ludologia. Vi sono ovviamente anche degli approcci meno radicali che cercando di trovare una mediazione tra le due correnti di pensiero, così come vi sono numerosi studiosi di cinema che adattano per il nuovo medium modelli teorici e schemi pensati per l’analisi dei film132.

Di rilevante importanza è una tendenza minore interna ai game studies che si occupa di collocare il videogame tra le arti digitali, creando così un dibattito sulla possibilità o meno di elevare il videogioco ad oggetto artistico. Questo approccio, tra i cui esponenti ricordiamo Cristiano Poian133, privilegia il videogioco inteso come software e, quindi, come codice informatico riflettendo sulla natura digitale del videogioco, forse trascurata dalle correnti dominanti.

Riepilogando, possiamo dire che il dibattito in seno ai game studies si concentra principalmente su due questioni: ludologia vs narratologia, videogioco come forma artistica. Ai fini del presente studio, si è pensato di strutturare questa seconda parte seguendo uno schema concentrico, ovvero partire da un discorso generale intorno al videogame per raggiungere il particolare rapporto tra la narrazione esplosa e il nuovo medium digitale.

                                                                                                                         

131 J. Juul, Games Telling stories? A brief note on games and narratives, http://www.gamestudies.org/0101/juul-

gts/, 2001.

132 Data la vastità del filone di studi sui rapporti tra cinema e videogame, ritengo poco proficuo sintetizzare in

queste pagine gli approcci più interessanti. La questione verrà comunque affrontata nei capitoli successivi.

Il quinto capitolo servirà quindi per proporre una definizione di videogame e fare un rapido excursus nel mondo dei game studies.

Attraverso i contributi delle voci più autorevoli, analizzeremo la diatriba tra narratologi e ludologi per individuare, attraverso i due principali punti di vista, lo specifico videoludico. Nel sesto capitolo, invece, si metteranno in relazione cinema e videogiochi al fine di esporre brevemente il modo in cui avvengono le contaminazioni tra i due linguaggi.

In particolare si evidenzieranno gli aspetti del linguaggio cinematografico ripresi e rielaborati dal videogame, e i quattro modi in cui il videogame influenza il cinema.

Nell’ultimo capitolo invece, verrà dato spazio al ruolo della narrazione nel medium videoludico e al particolare rapporto con la narrazione esplosa.

Capitolo 5

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