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La natura anfibia dell’espulsione dal partito: da strumento disciplinare stricto sensu a mezzo di lotta politica

L’evoluzione delle dinamiche interne dei partiti contemporanei ha offerto all’attenzione della dottrina un’esponenziale crescita della litigiosità e un sensibile aumento delle fratture tra il gruppo e i singoli membri. Gli organi giurisdizionali si sono dimostrati, negli ultimi tempi, particolarmente sensibili al tema, concludendo ripetutamente, e con argomentazioni diverse, per la lesione del diritto dell’espulso.

Un primo caso ha visto contrapposti innanzi al Tribunale di Roma40 il Partito Democratico e l’ex tesoriere della Margherita, Lusi, che era stato allontanato dalla formazione politica in seguito all’emersione di una sua responsabilità penale per appropriazione indebita di rimborsi elettorali. Lasciando impregiudicate le ragioni che, nel merito, avevano determinato la rapida adozione della misura disciplinare, il giudice romano censurava il metodo adottato dalla

40 Tribunale di Roma, III sez. civ., 19 febbraio 2015. Per alcuni brevi commenti cfr. F.

SCUTO, op. cit., 166, e R. CALVANO, La democrazia interna, il libero mandato parlamentare e

compagine partitica. L’assenza di una previa contestazione dell’accusa, unitamente alla preclusione di qualsiasi diritto di replica, confliggeva «con i principi costituzionali che tutelano la libertà di associazione e il metodo democratico cui devono ispirarsi le associazioni partitiche»41, determinando, di conseguenza, l’invalidità della delibera di espulsione. La motivazione di questa decisione rappresenta un unicum nel panorama giurisprudenziale italiano: non solo per l’adesione all’accezione più lata del metodo democratico prescritto nella norma costituzionale, ma soprattutto per l’ardimento di aver fondato esclusivamente su di essa l’impalcatura dell’arresto.

Appena un anno più tardi, il medesimo ufficio giudiziario42 si è pronunciato sul ricorso presentato da tre membri del M5S che, a vario titolo43, erano stato espulsi in prossimità delle c.d. comunarie del Movimento. Il ragionamento del giudice capitolino muoveva da un doppio giudizio di equiparazione: il primo, politologico, tra il M5S e gli altri partiti, donde la sua natura di associazione non riconosciuta; il secondo, strettamente giuridico, fra la disciplina delle

41 Enfasi aggiunta.

42 Trib. Roma, III sez. civ., ordinanza del 12 aprile 2016. In dottrina v. G. GRASSO, Il

controllo giurisdizionale della democrazia nei partiti: le più recenti tendenze nella lente del MoVimento 5 Stelle, in Riv. dir. comp., n. 3/2019, 70 e N. PIGNATELLI, La giustiziabilità, cit., 120.

43 Uno per aver assunto posizioni “negazioniste” verso la Shoah, un altro per aver

criticato pubblicamente il funzionamento delle votazioni interne nel M5S e il terzo per avere aderito ad un diverso partito (Lega Nord).

predette associazioni e quella delle associazioni riconosciute, che lo portava ad applicare le norme compatibili come gli artt. 23 e 24 c.c.

La risoluzione della controversia postulava un esame della lesione patita dai ricorrenti non in termini assoluti, ma – ai sensi dell’art. 23 c.c. e, analogamente a quanto previsto dalla giurisprudenza in tema societario, dell’art. 2378, comma 4, c.c. – in raffronto con il contrapposto pregiudizio in cui sarebbe incorsa la formazione sociale nel caso di sospensione del provvedimento. Sul parametro dei gravi motivi, poi, il tribunale affermava che, quanto più sfumata fosse stata la disciplina statutaria, tanto più profondo sarebbe stato il suo scrutinio sull’esistenza delle ragioni addotte, sull’attività di sussunzione entro la previsione legale o statutaria, nonché sulla congruità delle motivazioni. «L’ambito di valutazione del giudice», proseguiva, «è peraltro inversamente proporzionato all’analiticità dei fatti statutariamente rilevanti a livello disciplinare e delle connesse sanzioni».

L’esito del giudizio comparativo e di legalità formale propendeva in favore dei tre esclusi: se, da un lato, l’espulsione li aveva privati della «possibilità, prevista dalla Carta costituzionale, di partecipare a pieno titolo alla vita associativa, come luogo di espressione e manifestazione della propria personalità», dall’altro, in capo al Movimento, non poteva riscontrarsi alcun nocumento

discendente dalla permanenza di poche unità di iscritti a fronte delle migliaia di aderenti44.

Ad una prima lettura della decisione, la strada intrapresa dal giudice appariva scevra da censure, anzi, dimostrava un’apprezzabile sensibilità verso il bilanciamento fra la libertà nel partito e la libertà

del partito: questo scrutinio veniva condotto entro i confini della

legalità formale senza strabordare in valutazioni di merito che, come si è premurato di affermare in diversi passaggi dell’ordinanza, gli rimanevano precluse.

D’altro canto, non poteva nascondersi il fatto che, dietro la volontà di non lasciare il singolo nelle «zone franche di ‘non tutela’» – dove l’elemento autoritario avrebbe certamente prevalso su quello libertario –, si rivelava un uso del canone della legalità formale che, come nel caso di specie sull’an dei fatti e sul quomodo della motivazione, finiva per incidere (in)direttamente sul merito delle scelte. Lasciava adito a qualche criticità anche la scelta di innestare tutto il decisum sulle norme civilistiche, risultando «poco più che “cosmetici” i riferimenti alle disposizioni costituzionali, invocati tuttalpiù ad abundantiam»45. Pertanto, posto che l’incisivo intervento giudiziario veniva legittimato solo dalla vaghezza delle norme

44 Al contempo il giudice ha respinto il ricorso ex art. 700 c.p.c. per il rinnovo delle

“comunarie”.

45 E. CATERINA, Il giudice civile e l’ordinamento interno dei partiti politici: alcune

considerazioni sulle recenti ordinanze dei tribunali di Napoli e di Roma, in Oss. sulle fonti, n.

interne, nulla adducendosi, invece, sulla loro compatibilità coi principi democratici, l’associazione avrebbe potuto facilmente legittimare le espulsioni qualora le avesse «espressamente rimesse alla discrezionalità del “capo politico”»46.

Un ulteriore episodio delle diatribe tra il M5S e i suoi membri si è registrato, in due puntate47, a Napoli, dove, ancora una volta in prossimità delle consultazioni comunali, l’associazione ha provveduto ad un’espulsione di massa di ben 20 iscritti.

Il Movimento aveva accusato questi attivisti dell’adesione ad un gruppo Facebook segreto, denominato “Napoli libera”48, in spregio ai principi del “Non Statuto” «che vieta categoricamente qualsiasi organizzazione intermedia, comunque realizzata e denominata, che falsi l’efficiente ed efficace scambio di opinioni e libero confronto democratico». Il fine ultimo di questo raggruppamento sarebbe stato quello di «eterodirigere» il Meet Up partenopeo e di imporre, per tale via, il proprio candidato sindaco al M5S. Le difese degli estromessi si muovevano principalmente sul

46 Ivi, 10. Una situazione che, peraltro, si è puntualmente verificata: v. infra Tribunale

di Roma, XVIII sez. civ., sentenza del 19 febbraio 2018.

47 Prima in sede cautelare (in doppio grado), Tribunale di Napoli, VII sez. civ.,

ordinanza del 14 luglio 2016; poi, in sede di merito, Tribunale di Napoli, VII sez. civ., ordinanza del 18 aprile 2018. In dottrina cfr. M.V. DE GIORGI, «È la politica, bellezza!», in Nuova Giur.

Civ. comm., n. 10/2016, 1337 ss. (sulla prima pronuncia); L. D’ACUNTO, Esclusione dell’iscritto e democrazia interna nei partiti politici: la prospettiva privatistica, in

www.dirittifondamentali.it, n. 2/2019 (su entrambe).

48 Così G. GRASSO, op. cit., 71: «…gruppo Facebook che potremmo considerare, con il

fronte procedurale: affermavano che le sanzioni erano state adottate in assenza di gravi motivi, da organi non previsti negli atti interni, sulla base di un Regolamento illegittimo e, anche a voler tacere della sua invalidità, comunque in contrasto con esso.

Il giudice aderiva all’impostazione del precedente di Roma sull’utilizzo dell’art. 23 c.c.: valutazione dei possibili vizi, prima, comparazione fra gli interessi contrapposti, poi. Il giudizio di legittimità del provvedimento di espulsione, invece, doveva soggiacere ad un esame sia formale, sul procedimento seguito e sulla competenza degli organi coinvolti, sia sostanziale, sulla «verifica negativa […] circa i requisiti per la permanenza degli associati nell’associazione» che doveva integrare i “gravi motivi” di cui all’art. 24 c.c. Nel caso di specie il reclamo veniva accolto per l’impossibilità di fondare il provvedimento disciplinare sul Regolamento, atto inidoneo a derogare il “Non Statuto”: districata la questione sulla base del motivo formale, più liquido, sarebbe stato «ultroneo», in sede cautelare, qualsiasi ulteriore pronunciamento nel merito. Nondimeno, l’ordinanza presentava il pregio di presidiare

apertis verbis il ruolo di minoranza dei dissidenti, il cui diritto a

posizione antagonista rispetto alla linea del gruppo dirigente»49 non doveva essere compromesso50.

La sentenza che ha deciso il merito della questione, pur giungendo alle medesime conclusioni, si è dimostrata di tenore diverso e ha offerto una motivazione per molti aspetti criticabile. Il giudice partiva dall’assunto per cui il M5S si sarebbe distinto nello scenario italiano «per la contrapposizione netta alle forze politiche tradizionali ed alle più deleterie forme della raccolta del consenso politico», configurandosi, quindi, come un’organizzazione di tendenza «così spiccata» da dover essere riconosciuta «assoluta prevalenza alla tutela degli scopi dell’organizzazione rispetto a pretese dei singoli associati che abbiano, come nel nostro caso, natura procedimentale». Da canto l’inopportunità di valutazioni politiche di siffatta forgia, poco consone ad essere ospitate in un atto giudiziario, non pare giuridicamente sostenibile una preconcetta, e per di più “assoluta”, prevalenza degli interessi associativi su quelli dei singoli: questa enunciazione sembrava fallace proprio sul piano costituzionalistico, poiché era «ben lontana dalle finalità stesse del

49 Enfasi aggiunta.

50 Secondo il giudice, il diritto dei cittadini a non essere esclusi ad nutum deve ritenersi

valido entro qualsiasi formazione partitica, ove per partito si intende, in ciò includendosi anche il M5S, ogni «associazione con articolazioni sul territorio che abbia come fine quello di concorrere alla determinazione della politica nazionale».

diritto costituzionale, di costante limitazione del potere»51 e precludeva qualsiasi bilanciamento da effettuare caso per caso.

Volgendo lo sguardo all’assetto associativo interno, l’organo giusdicente restava fedele ad un’impostazione sensibilmente protesa in favore del partito: la compressione degli spazi di dibattito per gli iscritti, al di fuori di quelli statutariamente previsti, non consentiva di sostenere che «anche all’interno dell’associazione non viga un principio di dialettica democratica». Il dettato costituzionale sul metodo democratico, del resto, non prescriveva alcunché al riguardo, dovendosene dare «un’accezione ben diversa, e per certi aspetti neanche assimilabile, di “metodo assembleare”, e, a maggior ragione, di “principio maggioritario”»: due configurazioni costituzionalmente ammissibili ma non per questo obbligatorie.

Dopo aver sconfessato il precedente decisum cautelare, e con esso tutta la giurisprudenza prevalente sull’applicabilità dell’art. 24 c.c. alle associazioni non riconosciute, la sentenza scardinava anche l’ultimo argine elaborato da studiosi e giudici sulla sostanziale differenza fra il diritto all’iscrizione e il diritto a non essere ingiustamente escluso dal partito. Assimilando metaforicamente il momento dell’iscrizione al superamento di una cinta muraria, la tesi ormai consolidata prevedeva che, una volta oltrepassata la soglia di accesso, sarebbe stato più difficile per l’iscritto essere “gettato” al di

là di essa. La struttura innovativa del M5S, invece, «caratterizzata dal principio della “porta aperta” e dalla presenza di bassissime, se non quasi inesistenti “barriere all’ingresso”», renderebbe pienamente legittimo l’utilizzo del provvedimento disciplinare, a dispetto di qualsiasi valutazione sull’eterogenesi dei fini, per «assicurare la coerenza dell’azione politica di tutti gli iscritti con gli indirizzi generali»52.

3. La selezione delle candidature e l’ineffettività della