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6. Complementarità tra esigenze giuridiche ed esigenze pastoral

6.1 La natura diaconale

La funzione di governo della Chiesa, oltre ai caratteri sopra ricordati che condivide con le analoghe competenze statali, è contrassegnata da una pecu- liare indole diaconale che la pone al servizio del disegno divino di santifica- zione delle anime107. L’essere ordinata alla dimensione superiore del piano di redenzione non può non costituire una qualificazione essenziale e ulteriore dell’amministrazione ecclesiale. La finalizzazione all’ordine salvifico costitui- sce infatti il dover essere fondamentale del sistema amministrativo nella Chiesa, il criterio di funzionalità che integra e perfeziona i principî di corret- tezza basati sui soli parametri umani, e determina, di conseguenza, uno statu- to deontologico peculiare, diverso da quello che caratterizza le mansioni pub- bliche nelle società civili108.

Dal punto di vista della posizione dell’autorità, quest’indole diaconale si traduce in una accentuazione della struttura di doverosità del ministero. Il funzionario, cioè, deve non solo adempiere fedelmente le incombenze istitu- zionali del suo mandato, similmente all’intendente saggio della parabola evangelica109, ma, in quanto partecipe di una missione pastorale più alta, assume anche un impegno personale di cura delle anime, che può richiedere di superare gli stretti doveri positivi per prodigarsi a fare tutto il possibile per corrispondere al bene delle persone110.

In chi è investito di compiti di governo si richiede una sorta di circolari- tà o implicazione reciproca tra la dimensione ontologica, quella esistenziale e quella funzionale111, nel senso che l’aver ricevuto il ministero pastorale con la consacrazione episcopale112 richiede uno stile di vita personale, che rifulga

107Il paradigma del servizio costituisce il principio informatore della concezione dell’autorità

nel magistero del Concilio Vaticano II e nella disciplina dei codici. Per considerazioni più ampie, si veda I. ZUANAZZI, Praesis ut prosis, cit., pp. 359-364, pp. 451-456. La Pastores gregis evidenzia come l’autorità ecclesiale, essendo partecipazione della missione di Cristo, non possa che «viversi ed esercitarsi nell’umiltà, nella dedizione e nel servizio», caratteri che rendono quella del vescovo «una forma di governo unica al mondo» (n. 43).

108J.I. ARRIETA(La salus animarum quale guida applicativa del diritto da parte dei pastori, in «Ius

Ecclesiae» 12, 2000, p. 359) sottolinea come il «particolare ruolo di guida spirituale e di servizio» che caratterizza la funzione dell’autorità nella Chiesa rende il rapporto con i fedeli non para- gonabile a quello dei funzionari statali con i cittadini.

109Lc 12, 42-46; I Cor 4, 1-2.

110J.I. ARRIETA(Diritto dell’organizzazione ecclesiastica, Milano 1997, p. 16) evidenzia la respon-

sabilità personale del titolare dell’autorità, come dedizione d’amore, che si aggiunge e comple- ta quella derivante dal carattere funzionalistico del servizio.

111La «circolarità tra la dimensione ontologica, la dimensione esistenziale e la dimensione ministeria-

le» viene messa in risalto da G. GHIRLANDA, Il munus regendi del vescovo, cit., pp. 682-685.

112Pastores gregis, n. 9. Il documento si riferisce al ministero dei vescovi, ma il principio della

circolarità tra le dimensioni personali e quelle istituzionali dell’autorità può essere esteso a chiunque sia investito di un incarico di governo, anche se privo di potestas ordinis nel grado pieno, in forza dei sacramenti dell’iniziazione cristiana e della missio canonica.

per la pratica delle virtù cristiane e per le doti umane113, il quale solo con- sente di svolgere in modo autentico il servizio di dedizione ai fedeli con cari- tà e prudenza pastorali114. Si sottolinea, di conseguenza, una relazione stretta tra l’esercizio del potere e la santità personale, in quanto è nello svolgimento del ministero che il pastore percorre il cammino di redenzione personale e, nel contempo, è proprio in forza della testimonianza di santità resa alla comu- nità che acquisisce l’autorità morale necessaria a dare credibilità ed efficacia all’autorità giuridica115.

Tale doverosità specifica del servizio ecclesiale non può non apportare un valore aggiuntivo agli adempimenti da compiersi nel procedimento di forma- zione dell’atto amministrativo.

Occorre anzitutto che i pastori mostrino una peculiare diligenza nel rispet- to delle formalità richieste per l’emanazione del provvedimento. L’attuazione delle prescrizioni rituali, tuttavia, non deve essere fine a se stessa o fatta al solo scopo di evitare un’invalidità di legge. Al contrario, bisogna che l’auto- rità sia consapevole di dover farne un uso coscienzioso, come uno strumento propedeutico per arrivare ad assumere una decisione giusta, realmente rispon- dente ai bisogni della comunità116.

In una prospettiva più ampia, si può dire che l’autorità debba avere una disponibilità di fondo ad avvalersi di tutti i mezzi e le opportunità che siano 113Pastores gregis, n. 43. Le virtù e le doti umane necessarie allo svolgimento del ministero

pastorale sono analizzate dalla Apostolorum successores (nn. 37-47).

114Delle virtù che contrassegnano il governo del vescovo, sono messe in evidenza soprattutto

la carità pastorale, che è «l’anima del suo apostolato» (Apostolorum successores, n. 38) e la pru- denza pastorale, «che è saggezza pratica e arte del buon governo, che domanda atti opportuni e ido- nei alla realizzazione del piano divino della salvezza e al conseguimento del bene delle anime e della Chiesa, posponendo ogni considerazione puramente umana» (ivi, n. 41).

115«Il governo del vescovo, tuttavia, sarà pastoralmente efficace … se poggerà su un’autorevolezza

morale, data dalla sua santità di vita. Sarà questa a disporre gli animi ad accogliere il Vangelo da lui annunciato nella sua Chiesa, come anche le norme da lui fissate per il bene del popolo di Dio» (Pastores gregis, n. 43).

116Si pensi, ad esempio, all’applicazione dei cann. 1215, § 2 o 1222, § 2, che prescrivono al

vescovo di sentire il consiglio presbiterale prima di dare il consenso alla costruzione di una chiesa o di disporne la riduzione a uso profano. Dato che il codice non richiede che il collegio esprima un consenso al provvedimento, ma solo che venga interpellato per averne un parere, il vescovo potrebbe chiederne l’audizione a ridosso dell’emanazione del decreto, dopo aver già preso in cuor suo la decisione. Tale modo di agire non sarebbe però conforme alla finalità del- l’adempimento stabilito dalla norma, diretta a favorire una maggiore ponderazione della deci- sione, con l’ascolto e la comparazione di opinioni diverse, prima di aver maturato una presa di posizione sull’argomento. Lo stile aperto al dialogo, infatti, non contraddice la responsabilità che grava sul vescovo di assumere personalmente le decisioni di governo, ma corrisponde allo spirito pastorale di armonizzare la fortezza con l’umiltà:«la quotidiana cura pastorale che offre al vescovo maggiori possibilità di prendere decisioni a propria discrezione, gli presenta anche più occasio- ni di errore, quantunque in buona fede: ciò lo induce ad essere aperto al dialogo con gli altri e incline a chiedere e accettare consigli altrui, sempre disposto a imparare» (Apostolorum successores, n. 42).

utili ed efficaci per conoscere il più approfonditamente possibile le circostan- ze specifiche della situazione reale e per valutare in modo maggiormente pon- derato la soluzione da adottare nel caso concreto, pure oltre le formalità espressamente indicate dalla legge. Come espressione di una peculiare solle- citudine pastorale per il bene dei fedeli, quindi, deve raccogliere accurata- mente notizie e informazioni prima di prendere una decisione, deve essere aperta ad ascoltare chiunque abbia interesse a intervenire nel procedimento, deve vagliare attentamente tutte le esigenze implicate dall’oggetto del prov- vedimento117.

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