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La costituzionalizzazione della monarchia

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, la crisi dinastica, pro- vocata dai fatti del 1808, aveva determinato sia in Spagna che in Ame- rica una vera e propria federalizzazione della monarchia, in cui le pro- vince, guidate dai municipi e dalle giunte delle città, avevano acquisito una piena autonomia politica. La rivoluzione costituzionale spagnola, che iniziò con la riunione delle Cortes nel settembre 1810 sull’isola di León, mirava non solo a creare un governo che limitasse il potere as- soluto del monarca, ma anche a contenere il potere acquisito dai corpi territoriali, ossia dalle giunte. Il tentativo della Cortes fu quindi quello di ricostruire un’unità che si era rotta nel 1808 e che aveva continuato a frammentarsi nel corso degli anni.

I costituenti gaditani individuarono nella nazione il nuovo titolare della sovranità della monarchia. Il primo decreto afferma infatti: «i de- putati che compongono questo congresso e che rappresentano la nazio- ne spagnola, si dichiarano legittimamente costituiti in Cortes Generali e Straordinarie, e che risiede in queste la Sovranità nazionale». Tuttavia la «nazione spagnola» a cui facevano riferimento i costituenti non si limi- tava solo alla parte europea della monarchia, ma comprendeva anche i territori americani e asiatici (Filippine). La monarchia si era trasformata in nazione e la nazione, come la costituzione, divennero transcontinen- tali, un fenomeno impensabile per le classiche teorie sullo stato-nazione. Sino al 1812, anno di pubblicazione della costituzione liberale spagno- la, nessun impero aveva difatti avuto una costituzione.

I territori americani (e filippini) furono quindi invitati a eleggere pro- pri rappresentanti. La maggior parte riuscirono a incorporarsi alle Cor- tes solo nella primavera del 1811; per quei territori che non avevano po- tuto celebrare le elezioni a causa della guerra, si optò per un sistema di supplenti, da scegliersi tra gli americani che si trovavano già a Cadice o nei dintorni. Tuttavia, nonostante il principio di parità politica afferma-

to dalla Giunta Centrale spagnola nel gennaio del 1809, la disparità di rappresentanza tra i deputati spagnoli e quelli americani fu estremamen- te evidente: ventinove deputati americani su 104 in totale. Questo non solo provocò il rifiuto di numerosi territori americani di riconoscere la legittimità del nuovo organo, ma dimostrò che, malgrado le dichiarazio- ni formali, gli spagnoli peninsulari si ritenevano superiori agli americani.

In effetti, il tentativo dei costituenti gaditani di rifondare la monar- chia sull’idea di sovranità nazionale, trasformando l’impero in nazione, contrastava con l’idea di nazione che si era imposta nella penisola du- rante il XVIII secolo. Come abbiamo già visto nel primo capitolo, gli in- tellettuali spagnoli del Settecento avevano costruito nella repubblica del- le lettere un’idea di nazione spagnola che si identificava con il mondo europeo e peninsulare 1. Furono soprattutto i discorsi degli illuministi

che tracciarono in modo più evidente una segregazione concettuale tra nazione e monarchia: mentre la seconda era costituita dall’insieme dei domini del re cattolico, la nazione si riferiva a uno spazio strettamente europeo di virtù morali e di identità civilizzatrice. La prova più convin- cente di questa dicotomia tra monarchia e nazione si evidenzia in tutta la sua drammaticità nel contesto della crisi, quando la ricerca di un’an- tica costituzione storica si nutrì di elementi esclusivamente peninsulari. Il richiamo a un’antica costituzione storica non era un esercizio di mera retorica, ma rispondeva a concreti obiettivi politici: la proposta moderata di rivitalizzare un’antica costituzione, il cui più convinto fau- tore fu Gaspar Melchor de Jovellanos, cercava di liquidare la rivoluzione delle province senza condurre a una rottura radicale con il passato. La stessa interpretazione storico-politica che i liberali spagnoli attribuirono alla crisi dell’impero andava in questa direzione: la monarchia spagnola era stata poderosa finché erano sopravvissute le sue antiche istituzioni, come affermò Argüelles nel suo Discurso preliminar a la Constitución

de 1812 2. La rivoluzione del 1808 rappresentava dunque una risposta

a due secoli di dispotismo. Tuttavia, il richiamo all’antica costituzione poneva il problema dell’identificazione di un sistema che potesse pre- sentarsi come «spagnolo» e che non risultasse unicamente catalano, ara- gonese, basco o navarro. In effetti, mentre alcuni regni della monarchia vantavano un inventario costituzionale riconoscibile, con diritti territo- riali e privilegi propri riconosciuti da fonti scritte, il regno di Castiglia, le cui istituzioni erano state estese a gran parte della monarchia, non possedeva un’autentica costituzione storica. Come hanno dimostrato gli studi di Pablo Fernández Albaladejo, l’equazione tra la Castiglia e la na- zione spagnola fu piuttosto un’invenzione del XVIII secolo 3.

Fu Francisco Martínez Marina che, con le sue opere, riuscì a dare una costituzione storica al regno di Castiglia. Sia nell’Ensayo histórico-críti-

co sobre la antigua legislacion y principales Cuerpos legales de León y Castilla (1808) che nella Teoría de las Cortes (pubblicato nel 1813, ma

che circolò previamente negli ambienti delle Cortes), il giurista asturia- no, direttore della Real Academia de Historia, ricostruì una storia civile della nazione spagnola: l’apologia di una nazione non formata da corpi sociali interposti con i loro diritti e privilegi, ma storicamente determi- nata da «cittadini» e la cui composizione si articolava tra famiglie, pue-

blos e nazione 4. Questa idea di nazione non poteva implicare una rap-

presentanza per corpi, ma una rappresentanza di delegati dei pueblos, eletti dai padri di famiglia. E in effetti, le Cortes non furono formate da corpi, ma da rappresentanti eletti dalle province. Nel sancire che la so- vranità risiedeva nella nazione e non nel re, l’assemblea implicitamente affermava che il deposito della sovranità non esisteva: senza sovranità del monarca, infatti non vi era nessun diritto dello stesso da tutelare. Il nuovo titolare della sovranità, invece, la nazione, non aveva bisogno di alcuna tutela, poiché era legittimamente rappresentata nelle Cortes. Fer- nando VII era ormai il re di una nazione sovrana.

Questa fu una prima grande differenza fondamentale con i congres- si americani. Se a Cadice fu la nazione spagnola a sostituirsi alle giun- te, nel caso americano, come abbiamo in parte visto, furono i pueblos i nuovi soggetti collettivi che risultarono dalla crisi. Il motivo principale che spinse numerosi territori americani a non riconoscere la sovranità della nazione spagnola fu la forte disuguaglianza tra spagnoli e america- ni nelle Cortes. Quest’ultimi non potevano riconoscere la legittimità po- litica di un potere costituente in cui erano stati condannati sin dall’ini- zio in minoranza. Per risolvere questa ingiustizia i deputati supplenti americani chiesero che i primi due decreti delle Cortes fossero accom- pagnati da una dichiarazione che riconoscesse agli spagnoli americani «l’uguaglianza di diritti con gli spagnoli europei», così come «l’estensio- ne della loro rappresentanza nazionale come parte integrante della mo- narchia». Ma i pensinsulari si opposero tenacemente alla proposta e rin- viarono la discussione. Tale dibattito si presentò nuovamente al momen- to di discutere la questione della rappresentanza nazionale. I deputati americani avevano avanzato una proposta secondo cui «la rappresen- tanza delle province, città e luoghi della terra continentale d’America, le sue isole e le Filippine, rispetto agli abitanti di ambo gli emisferi, sia spagnoli che indigeni, e ai figli di entrambi le classi, deve essere e sarà la stessa, nell’ordine e nella forma, di quella che c’è oggi e ci sarà in futu-

manca un accento sulla O: legislación

ro nelle province, città e luoghi della Penisola e isole della Spagna euro- pea tra i suoi abitanti». La proposta accese un aspro dibattito poiché la sua realizzazione avrebbe implicato, data la più numerosa popolazione americana, una seria sfida al dominio europeo. Concedere l’uguaglianza della rappresentanza nelle Cortes era, come affermò Argüelles, un osta- colo insuperabile, dato che «in quell’emisfero ci troviamo con una po- polazione che eccede quella della madrepatria e con difficoltà nel clas- sificarla». La nazione spagnola che si ideò a Cadice per dare continuità alla monarchia spagnola iniziò escludendo, più che integrando, territo- ri e persone da se stessa. La conseguenza fu che in America cominciò a prendere forma un altro concetto di nazione, quella «americana», che si rafforzava man a mano che la disuguaglianza e l’ostilità provenienti dalla Spagna si esacerbavano. Come vedremo, a differenza della nazio- ne spagnola, quella americana si incarnò in una pluralità di congressi che si formarono da nord a sud del continente.

Il dibattito sulla rappresentanza scivolò verso la problematica della sovranità. Mentre gli americani reclamavano l’unione dei loro territori alla monarchia spagnola come province autonome, i peninsulari esige- vano una rappresentanza «nazionale», ossia senza connotazioni provin- ciali, regionali o territoriali. I deputati lo erano di tutta la nazione, e quindi poco importava se il numero dei rappresentanti americani era in- feriore a quello dei metropolitani, dato che tutti dovevano difendere gli interessi della nazione. Gli americani si opposero a questa idea di sovra- nità e, nei dibattiti in seno alle Cortes, continuarono a difendere un’idea pluralistica della sovranità. Tale posizione fu particolarmente evidente nelle discussioni sull’articolo 3 della carta, che definiva la fonte della sovranità. Mentre i liberali spagnoli affermavano che la sovranità risie- deva «essenzialmente» nella nazione, gli americani difendevano l’avver- bio «originariamente» 5. I due termini indicavano due diverse concezioni

della sovranità e dei suoi rapporti con la rappresentanza politica. Il ter- mine «essenzialmente», ideato da Sieyès e ripreso nella costituzione fran- cese del 1791, permetteva all’assemblea di rivendicare l’esercizio della sovranità. Accettare questo avverbio significava per gli americani dover delegare tutta la sovranità alle Cortes, quando erano stati condannati a priori in minoranza. Contrapposero quindi un’idea di sovranità «origi- naria», naturale e prestatale, che permetteva ad una nazione di scegliere il governo, ma anche di separarsene. Alla fine si impose il principio di sovranità della nazione, ma le continue contrapposizioni tra le princi- pali fazioni della costituente (non solo tra americani e liberali spagnoli, ma anche tra questi ultimi e conservatori) produssero numerose ambi-

guità nel testo della carta costituzionale, offrendo ampi spazi di mano- vra e di interpretazione.

Studi recenti sul costituzionalismo gaditano affermano che tali ambi- valenze non sono tanto da imputare ai conflitti faziosi in seno alle Cor- tes quanto piuttosto alla natura essenzialmente «giurisdizionale» della carta del 1812 6. Nonostante l’adozione di alcuni principi della moder-

nità politica, come la sovranità della nazione, la separazione dei poteri, l’abolizione dei privilegi, il richiamo all’antica costituzione storica ne in- debolì di fatto la portata rivoluzionaria. Il riferimento al passato non de- ve infatti essere considerato meramente strumentale: come dimostrano Carlos Garriga e Marta Lorente la carta gaditana pretese costituzionaliz- zare una serie di elementi chiave della cultura e delle istituzioni dell’an- tica monarchia cattolica, ponendole al servizio di una nuova compren- sione della politica. Il richiamo alle «leggi fondamentali» impose infatti un modo di articolare le relazioni tra diritto antico e nuovo, secondo il quale l’attività legislativa era subordinata alla compatibilità tra la costi- tuzione e le antiche leggi. Come afferma la stessa commissione incari- cata di redigere il progetto costituzionale:

Nada ofrece la Comisión en su proyecto que no se halle consignado de modo más auténtico y solemne en los diferentes cuerpos de la legisla- ción española, sino que se mire como nuevo el método con que ha dis- tribuido las materias ordenándolas y clasificándolas para que formasen un sistema de ley fundamental y constitutiva, en el que estuviese conte- nido con enlace armonía y concordancia cuanto tienen dispuesto las le- yes fundamentales de Aragón, de Navarra y de Castilla en todo lo con- cerniente a la libertad e independencia de la Nación, a los fueros y obli- gaciones de los ciudadanos, a la dignidad y autoridad del Rey y de los tribunales, al establecimiento y uso de la fuerza armada, y al método económico y administrativo de las provincias 7.

Questo legame reale con la costituzione storica ha prodotto un mo- dello originale, che si differenzia notevolmente dai modelli costituziona- li dell’epoca a cui, secondo buona parte della storiografia spagnola, la carta gaditana si sarebbe direttamente ispirata. Un modello fortemente ancorato a una visione della società ancora fondamentalmente corpo- rativa, come dimostra il fatto che, contrariamente ad altri casi, il primo liberalismo spagnolo non fu mai percepito come una minaccia dalle so- cietà su entrambi i lati dell’Atlantico. Ad esempio, la costituzione gadi- tana non include alcuna dichiarazione dei diritti dell’uomo, né fa alcun riferimento esplicito al fatto che tali diritti si considerassero precedenti e

superiori all’ordinamento costituzionale; inoltre esplicita e integra una dichiarazione di confessionalità che non lascia nessuno spazio a un’idea di libertà di coscienza individuale. La definizione del soggetto collettivo nazionale occupa tutto il primo titolo della carta (De la Nación españo-

la y de los españoles), risultando quindi anteposta sia alla definizione

dell’individuo e ai suoi attributi politici e costituzionali, sia alla divisio- ne dei poteri e alla forma di governo. La centralità della definizione del- la nazione si riscontra anche nello sforzo della sua identificazione geo- grafica e territoriale (il primo capitolo del titolo II si intitola infatti Del

territorio de las Españas, dove si elencano tutti i territori dell’impero) e

nella sua definizione religiosa e politica (cap. 2 e 3 del titolo II). Nonostante l’articolo 3 avesse imposto un’idea di sovranità rigida- mente astratta, l’idea del territorio rimase concreta; non fu trasformata, come nel caso francese, in qualcosa di geometrico, in un insieme di uni- tà amministrative omogenee tra loro. Le circoscrizioni elettorali, fonda- mentali per costruire una rappresentanza ugualitaria e proporzionale e per trasformare i gruppi sociali in individui, corrisposero alle antiche cir- coscrizioni territoriali (parrocchie, corregimientos, province, audiencias) che non rappresentavano solo semplici divisioni amministrative, ma ve- ri spazi politici, dotati di un’identità culturale propria. Data la natura politico-religiosa degli atti elettorali, si procedeva quindi a nomine che significavano qualcosa di più che la semplice risultante di voti indivi- duali: implicavano il coinvolgimento diretto della provincia, del partido o della parrocchia con la deputazione esercitata dal o dai rappresentanti eletti. Si andava costituendo dunque una rappresentanza nazionale più composita di quella descritta dall’articolo 27 (Las Cortes son la reunión

de todos los diputados que representan la Nación).

Il principio di una sovranità unica e centralizzata fu inoltre inde- bolito dal ruolo attribuito alle istituzioni locali. Al fine di circoscrivere la sfera d’azione dell’esecutivo, potere guardato con diffidenza dai co- stituenti per aver distrutto quelle antiche istituzioni che avevano reso la Spagna grande in passato, si decise di consentire un’ampia parteci- pazione degli amministrati alla vita dei poteri pubblici in sede locale. Le due istituzioni che, all’interno della sovranità della nazione, avreb- bero dovuto garantire la cura e la gestione degli interessi e dei bisogni locali erano gli ayuntamientos (municipi) e le diputaciones provincia-

les. Si trattava di due organi rappresentativi: mentre i municipi erano

completamente elettivi e venivano rinnovati annualmente, i secondi erano composti da un funzionario nominato dall’esecutivo e da sette membri scelti dagli elettori di secondo grado. La volontà di salvaguar-

darsi dal potere esecutivo istituendo questi organi «intermedi» si con- ciliava male con l’esigenza di assicurare la sovranità della nazione e quindi delle Cortes. L’istituzione di una pluralità di autorità collegiali, titolari di un potere di indirizzo politico locale, per il fatto stesso di essere elettive, poteva far intravedere il rischio di federalismo. La que- stione della vera natura di queste due istituzioni si complica non so- lo per l’assenza di qualsiasi riferimento, nella carta, alla loro essenza amministrativa subordinata agli altri poteri dello stato, ma anche per il fatto che il loro potere non era localizzato in circoscrizioni artificia- li, ridisegnate per spezzare i legami di appartenenza degli individui al- le vecchie istituzioni corporative. Mentre i municipi si stabilirono in corrispondenza delle città, dei villaggi, delle parrocchie, cioè in corpi sociali e territoriali che venivano considerati naturali, spontanei e pre- statuali, gli organi provinciali si stabilirono invece in corrispondenza delle Audiencias, cioè di quei distretti politici e giudiziari che avevano contribuito alla costruzione di identità culturali specifiche.

La contraddizione latente tra il principio di sovranità nazionale e le concessioni a favore di un certo grado di autonomia locale esplose nei dibattiti in seno alle Cortes, quando furono analizzati gli articoli relativi a municipi e diputaciones. Nel corso delle discussioni si con- trapposero due posizioni: una, strenuamente difesa dai liberali penin- sulari, che considerava queste due istituzioni degli organi di governo territoriali subordinati all’esecutivo; l’altra, intorno a cui si strinsero i deputati americani, che li considerava organi rappresentativi dei pue-

blos, come lo erano le Cortes di tutta la nazione. La discussione si fe-

ce ancora più aspra nel momento in cui giunse in assemblea un me- moriale del municipio di Città del Guatemala, in cui si rivendicava il diritto degli americani a legiferare nei propri territori, così lontani e diversi dall’Europa. A partire da questo documento, il padre Larrazá- bal, deputato del regno di Guatemala, propose sei emendamenti all’ar- ticolo 335 sugli attributi delle diputaciones provinciali, l’approvazione dei quali avrebbe trasformato la nazione in uno stato federale 8. Uno

degli emendamenti prevedeva infatti che la diputación avesse il dirit- to di chiedere alle Cortes la sospensione di quelle leggi che potevano pregiudicare la provincia, riaffermando così quella particolare dottrina contrattualistica sui limiti del potere sovrano che, per oltre due secoli, i funzionari americani di alto e basso rango avevano praticato utiliz- zando il famoso principio «se acata pero no se cumple».

Naturalmente gli emendamenti proposti da Larrazábal furono re- spinti. Tuttavia, il fatto che gli americani continuassero a ricevere e pre-

sentare in aula le istruzioni dei rispettivi municipi dimostra che, per loro, il principio di mandato imperativo fu assolutamente dominante rispetto al nuovo tipo di rappresentanza liberale. I rappresentanti non furono mai, agli occhi dei municipi americani, la vera essenza della na- zione; furono solo loro portavoce all’interno delle Cortes. L’analisi del contenuto di questi documenti ci mostra fino a che punto l’idea di un impero federale fosse radicata negli americani. Le istruzioni che il muni- cipio di Città del Guatemala inviò a Larrazábal contenevano un vero e proprio progetto costituzionale da seguire come modello per la redazio- ne della nuova carta. Inoltre, una richiesta più volte presentata durante la fase costituente fu di convocare delle Cortes americane alle quali sot- toporre l’approvazione del testo. Il progetto era coerente con l’idea fede- rativa della monarchia e negava la pretesa dei liberali spagnoli di centra- lizzare la sovranità nell’assemblea. Alla nuova idea di nazione astratta e totalizzante, gli americani continuarono a contrapporre una concezione concreta e tradizionale della stessa, intesa come insieme di corpi politici naturali (municipi, province, ecc.).

Tale percezione del regime costituzionale gaditano non era tuttavia contraria allo spirito delle norme e derivava dalla relazione che i costi- tuenti stabilirono tra le vecchie leggi fondamentali e la nuova carta. I margini interpretativi e di manovra che le norme lasciarono alle società locali erano determinati dallo spazio di compatibilità tra la costituzio- ne e le antiche leggi della monarchia. Un’altra grande conseguenza che il riferimento al passato determinò fu, che nonostante l’introduzione di principi come la divisione dei poteri, la supremazia del legislativo e la subordinazione del giudice alla legge, non si cambiò la giustizia. Come è chiaramente stabilito nel Discurso preliminar alla costituzione:

Encargada por V.M. de arreglar un proyecto de Constitución para resta- blecer y mejorar la antigua ley fundamental de la Monarquía, se ha abs-

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