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6. A NALISI DELLE INTERVISTE

6.2 I L VISSUTO DELL ’ INFERMIERE

6.2.4 I NCERTEZZA : DUBBI E CERTEZZA

Tutti gli infermieri intervistati identificano l’incertezza prognostica come caratteristica dei reparti in cui operano, parte del quotidiano, che porta alla necessità di vivere, come riportato da due di loro, giorno per giorno, momento per momento. Due infermieri riportano come l’incertezza non sia solo una caratteristica dei loro reparti, ma un dato di fatto, insita alla vita umana, “la vita è un’incertezza” (Intervista n.7), di conseguenza non costituisce un aspetto problematico. Da questa incertezza sorgono domande e interrogativi in relazione al bene del paziente, al modo giusto di procedere, ai possibili risultati delle azioni intraprese. Questo è quanto viene riportato dalla metà degli intervistati: “non si sa come va avanti, è normale che ti chiedi cosa faccio. Lo curiamo lo facciamo più malato di quello che è, invece di lasciarlo morire?” (Intervista n.1). L’età gestazionale sempre più bassa dei bambini con i quali gli infermieri si confrontano viene riportata da un infermiere come elemento che amplifica questi dilemmi: “situazioni in cui il bimbo può vivere o no. Cosa facciamo? Proviamo o no? Questo diventa sempre più difficile, duro, per me” (Intervista n.3). Un infermiere riporta come i primi giorni, per cercare di ridurre questa incertezza, si deve tentare tutto il possibile per poi valutare la situazione e poter prendere decisioni. Rischio elevato dell’assistenza al bambino così piccolo riconosciuto, riporta un infermiere, è la possibilità che l’intervento possa portare a danni iatrogeni. L’incertezza si riscontra anche nell’esito degli interventi: “è una sfida per l’operatore fare tutto per il benessere del bambino”; per cercare di fare del bene c’è il rischio di provocare dei danni “iatrogeni, che gli abbiamo anche un po’ portato noi, ma non per maleficenza” (Intervista n.7). Due infermiere riportano come, in relazione all’incertezza su cosa sia la scelta giusta, non sia possibile definire la qualità della vita e a definire a priori, indipendentemente dalle sue condizioni, se la vita sarà bella per il paziente: questo porta a relativizzare il concetto di disabilità. “Conosco genitori che hanno un bambino molto handicappato, ma loro sono contenti, e il bambino anche forse è contento, non

si sa” (Intervista n.2). La preoccupazione maggiore di un infermiere è quella in relazione al futuro lontano, l’incertezza che inquieta in questo caso è quella relativa a chi si potrà occupare del bambino, diventato adulto magari con grandi necessità di cura, una volta che i genitori non lo potranno più fare. Un altro infermiere riporta come circostanze difficili da vivere non siano in modo particolare quelle nell’immediato ma nel dopo, quando emergono delle problematiche che si manifestano unicamente in un secondo momento. Un infermiere riferisce come l’incertezza delle condizioni e del futuro del bimbo gli produca un sentimento di pena per i genitori confrontati con questa situazione, i quali non sanno se il loro bimbo sarà in grado di mangiare, camminare, in che condizioni andrà a casa.

Ma l’incertezza non è da considerarsi unicamente come un elemento negativo, l’incertezza può essere considerata anche come speranza, possibilità; nulla è certo quindi tutto seppur poco probabile, è pensabile: un paio di infermieri riportano come, nel caso di bambini così piccoli, tutto può migliorare, “tutto può tornare a funzionare” (Intervista n.3).

Il contatto con i bambini curati una volta dimessi che si recano in ospedale per i controlli, l’informarsi sulle condizioni del bambino quando non si lavora nell’unità, il confronto con i colleghi, la ricerca di informazioni sui libri sulla malattia, il chiedere a colleghi con più esperienza cosa ci si può aspettare in determinate situazioni sono tutti metodi utilizzati da alcuni infermieri per far fronte a questa incertezza.

In opposizione all’incertezza compare in quattro diverse interviste l’esistenza di situazioni di certezza, in cui l’infermiere ha la convinzione di sapere quale sarà il destino del bambino: “si sa cosa viene per il bambino dopo, sapevo che il bambino sarebbe stato molto handicappato o sarebbe morto comunque” (Intervista n.2), “so qual è il destino del bambino” (Intervista n.4), “io sento se quel bambino vuole vivere o no” (Intervista n.5). Un infermiere, in questi casi, riporta un sentimento di frustrazione quando le decisioni prese si scontrano con quello che dovrebbe essere il corso certo degli eventi.

6.3STRATEGIE

Dalle interviste sono emerse differenti strategie messe in atto dagli infermieri per fronteggiare le differenti situazioni difficili, emotivamente e cognitivamente impegnative, con cui si confrontano nei reparti dove operano.

Strategia riportata da tutti gli infermieri a più riprese è quella della comunicazione e condivisione. La comunicazione onesta e costante con i genitori viene riportata come fondamentale per evitare l’insorgere di situazioni di disaccordo e portare a decisioni condivise. Parlare con i genitori dà la possibilità di comprendere le loro motivazioni e quindi le loro decisioni e di conseguenza facilitarne l’accettazione. Un infermiere riporta come parlare con i genitori permetta di lavorare in un clima più disteso “una volta che si aprono la tensione è minore” (Intervista n.4). Parlare e condividere con il team di lavoro, specialmente con altri infermieri, è un elemento emerso come molto importante da tutte le interviste: momenti di ritrovo alla fine di ogni turno, sedute di debriefing, confronto con le persone con cui si ha lavorato in situazione di emergenza, … metodi utili identificati dagli infermieri per “non portare il lavoro a casa” (Intervista n.2), vedere le situazioni da altri punti di vista, avere un quadro più completo, risolvere conflitti, fare il punto della situazione ed esprimere i propri dubbi e disaccordi. Un infermiere la definisce proprio un’esigenza quella di “condividere le difficoltà di certi eventi, come per esempio la morte, e situazioni che toccano a livello di sentimenti, emozioni” (Intervista n.7). Il collega è riconosciuto come vero supporto comprensivo in quanto ha le stesse difficoltà. Un infermiere riporta anche come gli sia d’aiuto parlare anche con i propri amici, persone esterne all’ambiente dell’ospedale in quanto hanno un modo

diverso di vedere le cose. Un infermiere riporta come sia importante confrontarsi con i colleghi con più esperienza. Un altro indica che durante la lunga cura di un bambino con una condizione molto complicata si è svolta una “supervisione” caratterizzata da momenti in cui tutti i curanti avevano la possibilità di dire come stava, cosa riuscivano ancora a fare per il bambino e cosa non più. Due infermieri fanno riferimento anche alla possibilità di avere incontri con psicologi.

Come anticipato brevemente in precedenza, tutti gli infermieri riportano, nel caso in cui le decisioni terapeutiche prese non siano da loro condivise, di continuare a lavorare in quanto riconosco la volontà dei genitori come superiore e da rispettare “non sono i nostri figli, noi siamo solo di passaggio” (Intervista n.7). La necessità di cercare di soddisfare e occuparsi anche dei bisogni dei genitori e di considerare anche quale sia la cosa migliore per loro è stata riportata da quattro infermieri. Un infermiere racconta chiaramente come sia sempre necessario in ogni caso supportare i genitori: “non si può lasciare, diciamo, la famiglia così alle loro scelte, perché a volte possono essere sbagliate” (Intervista n.7).

Sempre in relazione a questo tipo di occasioni tre infermieri riportano come nonostante non aderiscano alle decisioni prese, continuino a curare il bambino poiché quello è il loro lavoro, il loro ruolo. La strategia adoperata è in questo caso quella di concentrarsi unicamente sul proprio compito, sulla cura e l’assistenza del bambino. Anche la relativizzazione, la consapevolezza che la propria opinione, il proprio punto di vista è appunto personale, e non una verità assoluta, è un’attitudine che ad alcuni infermieri permette di vivere all’interno di circostanze di disaccordo.

Cinque infermieri identificano il distanziamento dal reparto o da una situazione specifica come fondamentale per svolgere il proprio lavoro. Questo distanziamento può assumere diverse forme: abbandonare il reparto, prendersi una pausa, non curare più uno specifico bambino, uscire dalla situazione, andare in vacanza, non avere contatti con l’ospedale nei giorni liberi, separare la vita privata da quella lavorativa. Un infermiere riferisce proprio di avere due vite, quella al lavoro e quella privata, un altro riferisce come sia necessario anche dimenticare: “si deve anche un po’ dimenticare per liberare il cervello” (Intervista n.2).

Per fronteggiare la morte, le malattie incurabili dei bambini così piccoli, o la loro impossibilità di vivere a lungo, è emerso da quattro infermieri come ci sia una sorta di accettazione, la consapevolezza che siano avvenimenti possibili, che fanno parte dell’esistenza umana, seppur dolorosi che vanno accettati. Un infermiere riporta come sia necessario per svolgere questo lavoro avere appunto una filosofia particolare, lui per esempio crede nel destino, se un bambino doveva morire morirà.

Tre infermieri riportano come sia importante avere delle valvole di sfoga al difuori dall’ospedale per distrarsi dalla situazione che si vivono sul posto di lavoro: famiglia, amici, vita sociale e hobby. Due infermieri riporto come gli sia di beneficio anche piangere, valvola di sfogo che per mette poi di andare avanti.

Tutti gli infermieri hanno riportato che il lavoro nei reparti di cure intensive e intermedie sia costellato da aspetti anche positivi, questi vengono bilanciati con le situazioni faticose e aiutano nel fronteggiare le difficoltà: “certe persone vedono solo la malattia, la cosa più terribile, ma è importante sapere che i bambini guariscono” (Intervista n.1) Un infermiere riporta come gli risulti utile la ricerca di informazioni da libri e colleghi sulla malattia, i possibili esiti e outcome.

Anche la propria esperienza lavorativa viene citata da diversi infermieri come elemento importante, che aiuta a vivere e affrontare al meglio le situazioni toccanti o problematiche. Viene riportato da diversi infermieri con diversi anni di esperienza come all’inizio della loro carriera nei reparti di cure neonatali era molto più difficile gestire ed elaborare situazioni dolorose come, per esempio, la morte dei bambini. Un infermiere

fa riferimento anche al grande aiuto tratto dal confronto con colleghi con maggiore esperienza.

6.4L’ÉQUIPE

È emerso unanimemente il ruolo cruciare dell’équipe di lavoro per la buona riuscita dell’assistenza al paziente e alla sua famiglia. Il lavoro in questi reparti è stato identificato da tutti come imprescindibilmente un lavoro di squadra, si funziona con team non distintamente. “Non posso lavorare senza confrontarmi con qualcun altro” (Intervista n.6). La fiducia nei propri colleghi, potersi affidare, l’aiuto e il sostegno reciproco, il sentimento di comprensione e tolleranza, il confronto, il conforto, la collaborazione, l’organizzazione e la condivisione sono gli elementi che sono emersi come fondamentali per gli infermieri. Un infermiere riporta come si possa vedere dal lavoro svolto se il team funziona bene oppure no. Da quanto emerge da tutte le interviste il team svolge un ruolo cruciare non unicamente per poter fornire cure di buona qualità ma è anche fonte di sostegno personale per l’infermiere. A questo proposito, un infermiere riporta di aver abbandonato il suo reparto precedente a causa appunto della sua impossibilità di lavorare bene con quell’équipe.

7.DISCUSSIONE

Nel seguente capitolo si cercherà di confrontare e mettere in relazione i risultati ottenuti dall’analisi delle interviste svolte con quanto emerso dalla ricerca in letteratura, mettendo in luce i principali punti in comuni e le differenze.

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