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La necessità di un «mondo regolato»: il cibo spazzatura, la salute dei consumatori, il ruolo

«La “mano invisibile” del mercato, guidata dal pugno di ferro delle multinazionali del fast-food, delle bibite zuccherate e degli alimenti ultra- processati, favorisce la diffusione dell’obesità. Se i governi non si affrettano ad adottare misure di controllo riguardo alla produzione e al consumo di questi alimenti nocivi la guerra all’obesità non può essere vinta.»45

Così esordisce Roberto De Vogli (professore associato dell’Università di California) in un articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” che aveva come argomento principale quello di svelare i rapporti tra il cibo e l’economia. L’articolo riassumeva lo studio condotto dall’ Università di California e pubblicato dalla WHO46sul bollettino ufficiale

dell’organizzazione internazionale, nel 2014.

De Vogli ha affermato che, nonostante i tentativi di porre rimedio al problema dell’obesità dilagante, non si è ancora rintracciata una soluzione realmente efficace, in grado di guarire la società dall’epidemia dell’obesità.

Il problema di questa impossibilità è da rinvenire, secondo De Vogli, nel fatto che spesso si intende l’obesità come sola e pura scelta individuale. Non si considera, invece, che questa sia il frutto di determinate scelte e cambiamenti economici e politici.

45 De Vogli (2014). Disponibile su: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/17/cibo-ed-economia-the- american-job-la-liberalizzazione-dellobesita/880093/. Consultato 20 ottobre 2016.

46 De Vogli, Kouvonen, Gimeno (2014).

Lo studio è stato condotto su 25 Paesi ad alto tasso di sviluppo, quali: Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Israele, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Ungheria.

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Secondo il presente studio, la deregolamentazione sarebbe una delle principali cause della diffusione dell’obesità e, quindi, delle malattie ad essa connesse. Infatti, la mancata volontà di porre restrizioni al mercato, comporta, anche se strano a credersi, la formazione di oligopoli alimentari: nel mercato si affermano poche e grandi aziende, spesso famose a livello globale, le quali costringono i piccoli produttori ad uscire dal mercato. In questo modo, esse rimangono “sole” e “indisturbate” a decidere quelle che saranno le abitudini alimentari dei consumatori e, attraverso le attività di marketing, spesso fanno sì che i consumatori scelgano di consumare in maniera assidua proprio quei prodotti che esse stesse producono: insomma, la mano invisibile non sarebbe poi così tanto invisibile, ad uno sguardo più attento.

Lo studio pubblicato dalla WHO e condotto dall’ Università di California aveva, come si è capito, l’obiettivo di individuare una qualche connessione tra la deregolamentazione del mercato e il fenomeno dell’obesità, dimostrando che negli Stati in cui le regole di mercato non subiscono restrizioni, il BMI della popolazione è nettamente superiore e tende a superare le soglie massime stabilite.47

Lo studio è stato condotto dal 1999 al 2008 su 25 Paesi a sviluppo sostenuto e, dopo aver dimostrato una connessione tra l’alto valore del BMI e la presenza di Fast Food in alcuni Paesi, si è cimentato nella ricerca di cause di origine economica e politica. Gli autori hanno infatti affermato che in quei Paesi che hanno adottato politiche economiche di stampo liberale il fenomeno dell’obesità è nettamente più diffuso.

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Al contrario, gli Stati che vantano politiche di mercato più stringenti e tendono a proteggere, per esempio, i piccoli agricoltori, possono vantare uno stato di salute dei cittadini più elevato rispetto a quelli che tendono a liberalizzare troppo.

Un caso è quello della Svizzera, dove il governo tende a proteggere i piccoli produttori e ad incentivarli: qui, affermano i professori dell’Università di California, si sono registrati incrementi del fenomeno obesità più marginali e, scrive De Vogli, «Certamente, non è frutto del caso

se in un paese come la Svizzera, la maggior parte degli agricoltori sono piccoli produttori. Il 60 % del loro reddito è coperto da sovvenzioni governative.»48

Gli autori affermano, infine, che le proprie analisi dovrebbero sì essere interpretate con cautela, ma che sarebbe comunque opportuno ricercare una soluzione reale al problema dell’obesità non solo nelle scelte educative, ma anche in quelle governative. Il problema principale è dato dalla presenza di oligopoli troppo forti, favoriti dalla contemporanea presenza di governi a volte eccessivamente deboli e, finché non si riuscirà a creare un equilibrio tra i due mondi, la situazione non potrà vivere risvolti positivi.

In sostanza, gli autori ritengono, sostenuti dalla pubblicazione della WHO, che finché l’ideologia dominante sarà quella del mercato autoregolato, non potranno essere individuate soluzioni valide al problema della cattiva alimentazione.

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E’ stato, dunque, chiarito, con l’ausilio di questo importante studio condotto dall’ Università di California e ampiamente sostenuto dalla WHO, che un ruolo fondamentale nel decidere gli stili alimentari dei cittadini è quello dei governi, che dovrebbero imporre il proprio pugno di ferro alle grandi multinazionali.

Si può rimettere la responsabilità di questa grande diffusione di obesità ai soli governi? Sicuramente no. Bisogna sempre considerare che alla fine i decisori di ultima istanza sono i singoli individui, o almeno così pensiamo che sia e dovrebbe essere.

Va anche detto, tuttavia, che il ruolo del governo e, in generale, della figura dello Stato, riveste un’incredibile importanza in questo campo. Nonostante questo, però, a volte gli Stati sono schiacciati dalle volontà di meccanismi più grandi o, semplicemente, a volte non ritengono che il loro obiettivo ultimo sia quello prima nominato. Riteniamo, tuttavia, che lo Stato abbia in generale un valido ruolo non solo politico, ma anche economico, le cui sfaccettature non devono mai essere sottovalutate.

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A tal proposito, Stiglitz (1992, pp. 37-38) riconosceva allo Stato una natura economica e riteneva che questo fosse spesso preferibile alle altre organizzazioni economiche per due peculiari motivi:

1. L’appartenenza allo Stato è di natura universale;

2. Lo Stato ha un potere coercitivo unico, sconosciuto a qualsiasi altro tipo di organizzazione internazionale.

Successivamente, l’autore si sofferma su un particolare quesito; si chiede, cioè, quali possano essere i vantaggi e gli svantaggi che uno Stato guadagna dalle caratteristiche sopra citate. In seguito, afferma: «ci sono

molti esempi di come il governo usi i suoi poteri di coercizione economica. Il più importante è il potere di tassare (…) Lo Stato usa i suoi poteri per imporre determinati comportamenti (…) Lo Stato concede monopoli.»

Così, dopo aver constato che alcuni governi tendono ad usare eccessivamente il proprio potere coercitivo e che, qualora i cittadini prendano coscienza del fatto che qualche gruppo di interesse abbia comprato i politici del proprio governo, l’istituzione statale possa perdere credibilità, riconosce ancora una volta il ruolo economico fondamentale ricoperto dallo Stato, necessario per far sì che il sistema funzioni al meglio senza incepparsi.

Per questo, afferma: «I governi (…) si prodigano in sforzi per persuadere i

cittadini dell’equità delle politiche di tassazione. E’ questo vincolo che può spiegare alcuni aspetti peculiari (dal punto di vista degli economisti) delle politiche economiche: ad esempio, quelle politiche agricole che non sono solo inefficienti, ma che beneficiano in modo sproporzionato i contadini più ricchi».

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Di conseguenza, possiamo comprendere come l’intervento dello Stato, in materia di cibo spazzatura, sia non solo fondamentale, ma potrebbe forse essere anche l’unica soluzione opportuna ed efficiente per bloccare la diffusione dell’obesità: lo Stato potrebbe decisamente intervenire, anche in questo caso attraverso metodi monetari, quali per esempio quello della tassazione.

Il problema pare essere sempre lo stesso. L’obesità è ancora considerata più come una decisione personale che come una conseguenza di scelte economiche e politiche.

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2. Behavioral Economics e strumenti di intervento dello Stato: la