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nel 1953 Attori transalpini tra l’Unione e nazione

Dopo la capitolazione dell’Italia, avvenuta l’8 settembre 1943, aumenta- rono da parte tedesche le voci che chiedevano di riportare in Germania le biblioteche dei quattro istituti tedeschi, quello archeologico, quello storico e quelli storico-artistici a Roma e Firenze1. Sulla base di un «ordine del Führer» il trasporto al di là delle Alpi ebbe inizio nel dicembre 1943. I quat- tro istituti, tra cui l’Istituto Storico Germanico di Roma, chiusero le porte. Invano il cardinale Giovanni Mercati, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, accennò ai rischi del trasporto. Oltre 2.000 casse servivano per i libri dell’Istituto Archeologico, quelli dell’Istituto Storico ne riempi- vano 539. I dettagli sui viaggi ferroviari verso Nord, e la sorte delle singole biblioteche non interessano in questa sede, e neppure le diverse tappe nelle miniere di sale austriache di Bad Aussee, o i depositi a Pommersfelden e Offenbach, dove trovarono posto i libri storici2.

Dai documenti americani risulta che già prima della capitolazione tede- sca si chiedevano informazioni sulle biblioteche, e si rifletteva sul loro destino3. Nel 1946 si iniziò poi a ricondurle in Italia. Il grosso della biblio- teca dell’Istituto Storico Germanico trovò, nel 1947, una sistemazione prov- visoria nella Biblioteca Apostolica Vaticana4. Fino al termine del ritrasferi- mento e riordinamento dei fondi passarono altri anni, anche perché ne dovevano essere separati i libri dell’Istituto Storico Austriaco di Roma. Con grande sollievo si constatò che il trasporto verso la Germania e il ritorno in Italia erano andati bene. Anche riguardo alla biblioteca storica il numero dei libri persi o danneggiati si conteneva «in limiti sopportabili»5.

Va sottolineato che tali operazioni, non poco rischiose, vennero effet- tuate negli ultimi mesi di guerra e nell’immediato dopoguerra, quando già si

1 Si tratta, accanto all’Istituto Storico Germanico, fondato nel 1888, dell’Istituto

Archeologico Germanico, nato da un’istituzione internazionale che era stata creata nel 1829, della Bibliotheca Hertziana aperta nel 1913, a Roma, nonché dell’Istituto di Storia dell’Arte eretto nel 1897 a Firenze.

2 GOLDBRUNNER, Casa Tarpea, pp. 62sgg.; GRAFINGER, Beziehungen, pp. 127-137. 3 ESCH, Die deutschen Institutsbibliotheken, pp. 74sgg.

4 GRAFINGER, Beziehungen.

contendevano le scarse risorse, con grande dispendio di forze e di mezzi. Sia la parte tedesca che quella alleata segnalavano in tale maniera di tenere in alta considerazione le biblioteche in questione. I trasporti ferroviari verso Nord, e poi verso Sud, denotano un alto grado di sensibilità nei vincitori e vinti riguardo a quelle che si ritenevano le basi indispensabili della ricerca storico-culturale. Il trasferimento delle biblioteche in Germania sta in un certo modo per il ripiegamento della storiografia tedesca, indubbiamente rivolta a salvare in prima linea i preziosi fondi, mentre durante il regime i vertici nazionalsocialisti, ma anche non pochi studiosi tedeschi, si erano adoperati per strumentalizzare gli istituti all’estero come piattaforme di una politica egemonica in campo culturale e scientifico. Il ritorno delle bibliote- che in Italia simboleggia a sua volta l’alto rango rivestito da esse nel mondo scientifico del paese6, e al contempo la ferma volontà di reinserire questi strumenti di ricerca nel contesto scientifico italiano e internazionale. In seguito saranno trattati in sostanza tre complessi tematici:

1. Possibili opzioni a Roma. Con il ritorno delle biblioteche in Italia niente era ancora deciso sulla loro sorte. Saranno delineate brevemente le opzioni e le decisioni discusse negli anni dopo il 1946, e sarà messo al centro dell’interesse l’Istituto Storico Germanico. Da una prospettiva ro - mana, e sulla base del panorama internazionale che la caratterizza, s’in- tende dunque dare un modesto contributo al tema del reinserimento nella comunità degli storici.

2. I «Deutsch-Römer» oppure gli «ex romani». Una seconda prospettiva considera quegli attori tedeschi che ben presto iniziarono a impegnarsi per la salvaguardia delle biblioteche e la riconsegna degli istituti alla Germania. Sarà messo in evidenza un gruppo di rappresentanti della storiografia tedesca attivi in Germania e a Roma.

3. La scienza apolitica e la libertà della scienza. La riapertura degli isti- tuti di Roma e Firenze nel 1953 fu tra l’altro resa possibile dal fatto che Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer erano convenuti di concedere a queste istituzioni la «gestione autonoma». In seguito andava dato un conte- nuto a questa formula. Essa si ricollegava alle idee su una scienza apolitica e sulla libertà della scienza, condivise non solo dagli storici tedeschi, ma anche dagli storici di altre nazioni. Nella cornice particolare della storia del dopoguerra tedesco-occidentale, tali idee rimandano inoltre ad aspetti spe- cifici che caratterizzano i processi formativi della cultura scientifica nei primi tempi della Repubblica federale; la genesi e l’inquadramento compa- rato di essa vanno ancora approfonditi.

Possibili opzioni a Roma

In seguito saranno abbozzati sia il processo, ormai ampiamente studiato, che riportò le biblioteche scientifiche tedesche sotto il tetto della giovane Repubblica federale di Germania, giungendo fino alla riapertura dell’Istituto Storico Germanico di Roma nel 1953, sia le più importanti opzioni discusse in quel periodo7. Si tratta di una prospettiva concentrata su Roma, anche se va comunque tenuto conto che gli attori romani erano inseriti in complessi contesti d’azione e nessi decisionali da cui dipendevano in situazioni impor- tanti. Il processo, iniziato nel 1946, può essere suddiviso in due fasi. Durante la prima, che giunse fino al 1948/49, vennero discusse due alternative: asse- gnare la proprietà delle biblioteche ex tedesche al governo italiano o istitu- zionalizzarle sotto la responsabilità internazionale. Pensare seriamente a ripristinare la gestione tedesca in quel momento non era possibile già per il solo motivo che in Germania non esisteva nessuna istituzione da poter far- sene carico. In questo contesto rivestivano un ruolo particolare le società scientifiche disciplinari, ben presto rifondate, e un’organizzazione come i Monumenta. Esiliati per anni a Pommersfelden, in Franconia, questi ultimi trovarono un nuovo campo d’azione a Monaco, prendendo anche le redini dell’Istituto Storico Germanico8. A partire dal 1948/49 il ritorno delle biblio- teche in mani tedesche assunse forme sempre più concrete.

Già il 5 maggio 1945 gli archeologi di diverse nazionalità si erano riuniti a Roma, su suggerimento dell’Allied Control Commission, nell’Associa- zione Internazionale di Archeologia Classica (AIAC)9. La perdita della biblioteca specializzata dell’Istituto Archeologico Germanico, unica al mondo, era vivamente sentita, e si desiderava che essa fosse di nuovo dispo- nibile a Roma il prima possibile. Il primo febbraio 1946 nove direttori d’i- stituto di sette nazioni costituirono l’Unione degli Istituti di Archeologia, Storia e Storia dell’Arte a Roma. L’obiettivo preminente dell’organismo era quello di salvaguardare il futuro delle biblioteche tedesche.

Il passaggio in mani italiane, sul quale insistevano in quel momento e negli anni successivi diversi diplomatici e studiosi italiani come una tra le opzioni possibili, naufragò non ultimo per l’opposizione manifestata dagli alleati, e soprattutto dagli americani. Gli argomenti di natura giuridica, addotti dagli italiani per rivendicare il possesso delle biblioteche, non con-

7 Cfr. per quel che segue BILLIG, Libelli; GUARDUCCI, Per la storia dell’Istituto

Archeologico Germanico; VIAN(a cura di), Speculum mundi; BILLIG, NYLANDER, VIAN

(a cura di), Nobile munus; HUBERT, Das Kunsthistorische Institut in Florenz, pp. 79sgg.

Ora ESCH, Die deutschen Institutsbibliotheken.

8 STAMM-KUHLMANN, Deutsche Forschung, pp. 891sgg.

vinsero importanti organi decisionali degli alleati. Pesavano inoltre, proba- bilmente, i dubbi (espressi ad esempio dall’insigne storico dell’arte ameri- cano, Bernard Berenson, che risiedeva a Firenze) relativi alla capacità ita- liana di garantire una gestione efficace delle biblioteche10. Lo stesso governo italiano accennò ripetutamente al fatto di disporre solo di limitate risorse finanziarie11. Non tutti i diplomatici e studiosi italiani, però, appoggiavano una soluzione italiana. Negli ambienti vaticani, infine, essa non trovò – almeno per quanto risulta fino ad oggi – nessun autorevole fautore.

Il 18 febbraio 1946 l’Allied Control Commission decise di affidare il controllo delle biblioteche tedesche a Roma provvisoriamente all’Unione. Fino al 1948/49 vennero discusse diverse varianti dell’internazionalizza- zione. Si parlò in questo contesto, tuttavia, sempre e solo dei fondi librari tedeschi. I tempi non erano evidentemente maturi per soluzioni che con- templavano una più ampia organizzazione internazionale delle biblioteche, e ancora meno per programmi e progetti di ricerca internazionali. All’U- nione mancavano i soldi per la gestione delle biblioteche tedesche, mentre svanivano le speranze di ottenere notevoli sovvenzioni da parte dell’UNE- SCO. Il cosiddetto piano Morey, discusso nel 1948, prevedeva alla fine un fondo di un miliardo di lire per la manutenzione e il funzionamento delle biblioteche, che si pensava di realizzare con la vendita di beni tedeschi in Italia. La proprietà sarebbe dovuta passare allo Stato italiano, dal quale ci si aspettava anche la messa a disposizione di fabbricati adeguati. Era previ- sto che le biblioteche fossero amministrate dall’Unione per 99 anni.

A partire dal 1948 alcuni politici e studiosi tedeschi caldeggiavano in modo sempre più forte il ritorno delle istituzioni in mani tedesche12. Tra loro e i rappresentanti degli interessi tedeschi a Roma si sviluppò un’in- tensa cooperazione. Ben presto alcuni tedeschi residenti a Roma tentarono di influenzare il corso degli avvenimenti in modo tale da tener aperta l’op- zione per un successivo ritorno delle biblioteche nell’amministrazione tede- sca; si confidava in un rallentamento dei processi decisionali, sperando di trovare successivamente delle condizioni più favorevoli13. È vero che dopo il 1945 i rappresentanti della Chiesa luterana a Roma14 assunsero ufficial- mente una posizione neutrale, ma furono a stretto contatto con alcuni stu- diosi come Ludwig Curtius e Friedrich Wilhelm Deichmann, residenti a

10 ESCH, Die deutschen Institutsbibliotheken, pp. 89sg.; FRÖHLICH, Das Deutsche

Archäologische Institut, p. 165.

11 FRÖHLICH, Das Deutsche Archäologische Institut, pp. 158sg. 12 Si veda più avanti in proposito.

13 Cfr. supra, p. 122.

Roma. Per la sistemazione della biblioteca dell’Istituto Archeologico venne offerta già all’inzio del 1946 la casa parrocchiale della Chiesa protestante, e dunque proprio quel luogo dove i libri si erano trovati prima. Il piano di portarli al centrale Palazzo Vidoni non si realizzò anche per il fatto che il governo italiano non era propenso a mettere a disposizione l’edificio15. Con il trasferimento della biblioteca dell’Istituto Storico Germanico nel Vati- cano, entravano in gioco anche i rappresentanti di quest’ultimo, tra cui alcuni autorevoli studiosi che erano ben disposti verso la scienza storica tedesca16. Wolfgang Hagemann e Margarete Ehlers, che già avevano lavo- rato presso l’Istituto Storico Germanico, si riattivarono, riordinarono i suoi fondi librari depositati in Vaticano, e divennero importanti portavoci e interlocutori in loco. A prescindere da queste e altre iniziative, tedesche in senso lato oppure a favore dei tedeschi, la cui efficacia (anche incisiva) non va sottovalutata, saranno stati, in fin dei conti, i cambiamenti avvenuti a livello internaziona le a essere determinanti per un riorientamento profondo e decisivo. Nel maggio 1949 influenti rappresentanti tedeschi erano al cor- rente che la parte americana avrebbe abbandonato l’idea dell’internaziona- lizzazione, prevista dal piano Morey. Ben presto anche i membri dell’U- nione dovettero constatare (alcuni con amarezza) che nel frattempo il governo statunitense aveva cambiato idea e non accettava più l’accordo già pronto per essere firmato. Sullo sfondo del contrasto tra Est e Ovest, che si stava inasprendo, sia i tedeschi che gli americani puntavano ora «sul cam- mino verso la statalità, imboccato dalla Germania in misura sempre più concreta», e sulla sua integrazione nel mondo occidentale17.

Nella giovane Repubblica federale si era ben disposti a investire note- voli risorse a Roma. Spesso si operava nell’ombra, come evidenziato in altra sede, perché si volevano evitare critiche e contromisure pubbliche18. Non solo si finanziavano i portavoci residenti a Roma, ma si offrivano anche borse di studio a giovani storici per le loro ricerche da svolgere nella città eterna. Si sostenevano degli studi in biblioteche e archivi, da cui trae- vano profitto anche alcuni studiosi che durante il regime nazionalsocialista si erano rifugiati negli Stati Uniti. I fondi della biblioteca dell’Istituto Sto- rico Germanico venivano completati attraverso iniziative mirate. Un «conto in dollari», gestito fiduciariamente dalla Biblioteca Vaticana, costituiva un mezzo ben accetto per raggiungere tale scopo e per effettuare altri acquisti. A partire dall’ottobre 1951 si prendeva in affitto, e si allestiva, un ufficio a

15 FRÖHLICH, Das deutsche Archäologische Institut, p. 160. 16 GRAFINGER, Beziehungen.

17 Cfr. supra, pp. 119sgg.; FRÖHLICH, Das deutsche Archäologische Institut, p. 167. 18 Cfr. supra, pp. 125sgg.

Roma. Pertanto gli storici tedeschi disponevano nella città eterna di un proto-istituto già due anni prima dell’apertura ufficiale dell’Istituto Storico Germanico in Corso Vittorio Emanuele, vale a dire in una fase in cui ancora nulla era deciso sulla definitiva restituzione delle istituzioni tede- sche. Da parte italiana si continuava a nutrire forti dubbi sul loro completo ritorno in mani tedesche, riproponendo di nuovo una soluzione italiana. Nel 1953, infine, riaprirono i battenti l’Istituto Storico Germanico e gli altri isti- tuti scientifici tedeschi in Italia. Con la sua politica di riconciliazione e di comprensione verso i vicini, il governo Adenauer aveva conseguito un importante successo nell’Europa meridionale. In questo contesto si rag- giunsero, del resto, miglioramenti non solo nel settore politico ed econo- mico, ma anche in ambito scientifico e culturale19.

I «Deutsch-Römer» e gli «ex romani»

Nel suo saggio Deutsche und Italiener in der Nachkriegszeit20, Christof Dipper mette in dubbio la concezione, sostenuta di frequente, secondo cui l’anno 1945 costituisce una cesura. Secondo l’autore si sottolineano, nell’ot- tica dell’«ora zero» tanto spesso evocata, troppo le fratture, mentre s’igno- rano le continuità. Al di là dei contatti ufficiali e politico-istituzionali, egli propone una prospettiva «dal basso». Al contempo distingue tre livelli all’interno della storia dei rapporti italo-tedeschi, attribuendo a ognuno di essi una specifica velocità di sviluppo: nel settore privato, economico e scientifico i contatti furono ripresi rapidamente, mentre i rapporti politici si istituzionalizzarono a partire dal 1949/50, e a scoppio ritardato si stabilizza- rono i contatti culturali a livello ufficiale. La riapertura dei quattro istituti scientifici tedeschi, avvenuta a Roma e Firenze nel 1953, si rivela anche in questa prospettiva una tappa fondamentale.

Prima di affrontare, dall’angolo visuale romano, la questione della for- mazione di una rete transnazionale nel dopoguerra, saranno necessarie alcune osservazioni sul periodo fino al 1945. A Roma esistevano già prima e durante la guerra delle reti di cooperazione scientifica internazionale, rese poi istituzionalmente più stabili nel 1946 con la costituzione dell’Unione di cui in un primo momento i tedeschi non facevano parte. Già prima della guerra si avvertiva una crescente suscettibilità nazionalistica all’interno di questi istituti di ricerca romani, ma senza che si interrompessero i contatti tra loro.

19 Un’interessante analogia, anche se diversa per tanti aspetti, è costituita dai rap-

porti franco-tedeschi; cfr. DEFRANCE, Adenauer und die deutsch-französischen Kulturbe-

ziehungen; PFEIL, Das Deutsche Historische Institut Paris, p. 306.

Riconsiderando i suoi soggiorni romani nella seconda metà degli anni Venti del XX secolo, Hubert Jedin si ricorda, ad esempio, come il «massic- cio nazionalismo degli altri, soprattutto quello degli italiani e francesi …, avesse de stato – ridestato» in lui la «propria coscienza nazionale. Mi aveva ferito che durante un’udienza papale un banchiere tedesco fosse stato costretto a togliersi dal frac la croce di ferro, perché si trattava di un’onori- ficenza bellica, mentre nella Biblioteca Vaticana il mons. Tisserant portava nell’occhiello della sottana il nastrino della Legione d’onore». Anche se, prose gue Hubert Jedin, «con la École française si rimaneva decisamente freddi, […] coltivavamo nell’insieme buoni rapporti con i borsisti degli altri istituti scientifici a Roma»21. Il libero docente di Breslavia e «non ariano» Jedin fuggì verso la fine degli anni Trenta dalla Germania, ritornando a Roma, dove trovò accoglienza nel Campo Santo; in questo modo ebbe salva la vita. Mentre poteva lavorare presso l’Istituto Storico Germanico «senza essere infastidito e senza subire umiliazioni»22, altri istituti tedeschi e i loro rappresentanti lo evitavano. In retrospettiva egli scrive sugli anni trascorsi a Roma dopo il 1933: «La presa di distanza forzata dagli istituti tedeschi a Roma (escluso quello Storico) e dalla locale comunità tedesca ebbe per conseguenza che i miei rapporti con gli italiani e gli appartenenti ad altre nazioni diventavano più stretti di prima»23. Le istituzioni scientifiche romane, gli istituti di ricerca e le biblioteche, i musei e gli archivi, le uni- versità italiane e pontificie, e in prima linea la biblioteca e l’archivio del Vaticano, si presentavano dunque di nuovo come luoghi della comunica- zione scientifica internazionale24. Diversi storici tedeschi conobbero Alcide De Gasperi nella Biblioteca Vaticana, dove lavorava come segretario25. Oltre a Jedin e De Gasperi, trovarono rifugio nelle istituzioni vaticane e del Campo Santo altre persone che dovevano temere per la propria vita26. Quando Ludwig Curtius, che era stato allontanato dal posto di direttore dell’Istituto Archeologico Germanico e messo a riposo forzatamente nel 1937, compì settant’anni il 13 dicembre 1944, cioè pochi mesi prima che finisse la guerra e l’Italia fosse liberata, il direttore dell’Istituto Svedese,

21 JEDIN, Lebensbericht, p. 70. Per gli anni Venti cfr. pure JEDIN, Was nicht in den

Akten steht.

22 JEDIN, Lebensbericht, p. 77.

23 Ibid. p. 81. Cfr. pure VOIGT, Rifugio precario, in particolare vol. 1, p. 279, 435 e

passim; vol. 2, p. 572.

24 L’archivio e la biblioteca del Vaticano rimanevano però chiusi durante l’occupa-

zione tedesca di Roma.

25 HOBERG, Lebenserinnerung, p. 7. Su De Gasperi: CONZE, CORNI, POMBENI(a cura

di), Alcide De Gasperi.

Erik Sjöqvist, organizzò nella Roma già libera un ricevimento in suo onore, «al quale partecipavano circa 120 persone appartenenti a 16 nazioni»27. Curtius può essere considerato un esponente straordinario di quegli studiosi tedeschi il cui radicamento nel cristianesimo ed entusiasmo scientifico per l’antichità e il Rinascimento italiano li rendeva immuni del tutto, o almeno parzialmente, al culto germanico e alla follia razzista dell’ideologia nazio- nalsocialista. Come segretario generale dell’Unione, l’archeologo Sjöqvist avrebbe svolto ne gli anni postbellici un ruolo importante nelle discussioni circa gli istituti tedeschi.

Al di là di una prospettiva istituzionale, sappiamo ancora troppo poco – e mi limito qui al solo campo della storiografia in Germania e in Italia – su quando e come siano stati avviati i contatti tra gli scienziati dei due paesi, offrendo agli studiosi tedeschi la possibilità, ad esempio attraverso inviti, di essere riaccolti nella scientific community. Diversi studiosi nel Vaticano erano ben presto interessati a tali rapporti, ad esempio il cardinale Gio- vanni Mercati28 il quale, come suo fratello Angelo, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, apprezzava il lavoro della scienza tedesca in particolare nel campo della filologia e storiografia29. Diversi storici cattolici tedeschi, appartenenti alla curia o al suo entourage, come Friedrich Kempf SJ30, Her- mann Hoberg31, Engelbert Kirschbaum SJ32e Hubert Jedin33, svolsero un ruolo importante in questo contesto. Jedin faceva parte del gruppo dei curatori, attivo già a partire dal 1945, della «Rivista di storia della chiesa in Italia» il cui primo volume uscì nel 1947. Nell’agosto 1946 egli divenne pro- fessore onorario per la storia della Chiesa presso l’università di Bonn, dove ebbe una cattedra ordinaria a partire dal 1948/49. Nel 1947 diversi storici della Chiesa tedeschi ripresero i loro studi presso il Campo San to: August Franzen, Erwin Iserloh, Eduard Stommel, Alfred Stuiber, e Bernhard Kötting34. «La Biblioteca Vaticana e l’Archivio Vaticano ricomin-

27 Ibid. p. 143. Su Curtius cfr. pure LÖWITH, Mein Leben in Deutschland, pp. 88sg. Il

filosofo ebreo soggiornò a Roma dal 1934 al 1936.

28 SCADUTOSJ, Giovanni Mercati, pp. 49-60. Sul ruolo del cardinale Mercati a pro-

posito dei trasporti delle biblioteche tedesche cfr. GRAFINGER, Beziehungen, pp. 128sgg.

29 JEDIN, Lebensbericht, pp. 158sgg.

30 PETERSOHN, Friedrich Kempf, pp. XV-XXII.

31 GATZ, Das Römische Institut der Görres-Gesellschaft, p. 186. Su Hoberg cfr. pu -

re HOLTMANN, Das Domkapitel zu Osnabrück, 212-215; METZLER, Hermann Hoberg, pp. 7sg.

32 Cfr. l’articolo di E. DASSMANN, Kirschbaum, in «Lexikon für Theologie und

Kirche» 6 (1997), col. 105.

33 Cfr. ad esempio JEDIN, Lebensbericht, pp. 164sgg. Sull’opera di Jedin cfr. CONZE-