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Ni nabian jidian

Nel documento Taipei e il cinema (pagine 70-73)

Tsai Ming-liang

4.5 Ni nabian jidian

Questa pellicola trae ispirazione dal recente lutto per la morte del padre del regista e del padre del suo attore feticcio Lee Kang-sheng, andatosene poco prima delle riprese del film precedente (Neri, 2004). Si tratta, infatti, di un film sul cordoglio ma ancor più sull’eredità

dei padri e dei maestri, visti come padri spirituali. Anche dopo la loro scomparsa, essi rimangono come presenze fantasma, insinuandosi nelle vite dei vivi.

Per molti aspetti la storia sembra ripartire da dove si era interrotto Heliu, riportando sulla scena la stessa famiglia. Ni nabian jidian si apre con il padre del protagonista, incastrato tra due stanze comunicanti, incorniciato tra le loro porte come da migliore tradizione del cinema taiwanese (così aveva ripreso Hou Hsiao-hsien suo padre in Tong nian wan shi).

Nella scena successiva, senza nessuna spiegazione, lo spettatore assiste alla cerimonia di deposizione dell’urna funeraria in un cimitero

L’immagine del volto del padre torna in continuazione all’interno del film, la sua foto, infatti, viene tenuta in casa accanto al santino di un altro “padre”, Chiang Kai-shek, il defunto Presidente della Repubblica di Cina, il cui viso sorridente è ritratto all’interno di un piccolo piattino souvenir. Due genitori ingombranti che lasciano delle eredità pesanti che rendono difficile l’indipendenza dal padre-padrone (Ceresa, 2009: 291).

Xiao Kang vende orologi a un banchetto che allestisce sul passaggio pedonale sopraelevato affacciato su un cantiere ridosso alla stazione e sempre affollato di gente in transito14. Una mattina gli fa visita una ragazza che sta per partire per la Francia, in cerca di un orologio con il doppio quadrante che possa indicare entrambi i fusi orari.

L’unico che corrisponde a tale caratteristica è quello che Xiao Kang porta al polso. La ragazza cerca di convincerlo a venderglielo, ma lui è titubante perché essendoci stato da poco un lutto in famiglia porterebbe male darlo a uno sconosciuto. Dopo molta insistenza, è infatti costretta prima a chiamarlo al telefono per rassicurarlo che lei non crede in questo tipo di superstizione essendo cristiana, poi a tornare a fargli visita sulla sopraelevata pedonale; alla fine riesce a far acconsentire Xiao Kang a cederle il suo orologio.

Arrivata a Parigi, la ragazza si aggira per la città senza apparente meta. Xiao Kang, invece, viene colto da un’improvvisa ossessione per la ragazza e comincia una sorta di personale percorso di riavvicinamento.

Per prima cosa regola sull’ora di Parigi tutti gli orologi del suo commercio ambulante e tutti quelli che gli capitano sotto mano (correndo avventure sempre più spericolate e divertenti, a un certo punto tenterà di cambiare anche quello che si trova sulla facciata di un grande magazzino), poi va a comprare dei film ambientati nella capitale francese e si rinchiude in casa a guardare, la videocassetta de Les quatre cents coups (I quattrocento colpi, François Truffaut, 1959) stringendo a sé un cuscino e bevendo vino francese.

14 È questo il ponte che verrà di lì a poco demolito e al quale Tsai si ispira per il cortometraggio che gira subito dopo Ni nabian jidian di cui si parlerà in seguito.

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Nella scena successiva, lo spettatore, dunque, viene convinto che questi avvenimenti stiano accadendo sincronicamente, la ragazza, nel giardino di un cimitero, incontra l’attore de I quattrocento colpi, Jean-Pierre Léaud. Questo, seduto sulla sua stessa panchina, le viene incontro con un inaspettato aiuto: dal momento che lei è indaffarata a cercare un numero di telefono perso nella borsa, lui semplicemente scrive il suo numero su foglio di carta e glielo porge.

La madre di Xiao Kang nel frattempo si è convinta che il fantasma del marito abiti ancora nella loro casa (uno dei segni che più la inquieta è il fatto che l’orologio segni improvvisamente un’ora sbagliata, anche se probabilmente è stato il figlio a spostarlo sul fuso francese) e fa di tutto per regolare i suoi ritmi a quelli del defunto: cucina a tarda notte, copre le finestre con dei pesanti tendaggi per non far entrare la luce che potrebbe disturbare il fantasma e riempie di piccoli bocconcini prelibati la ciotola del marito rimasta sul tavolo. È evidente come il concetto di tempo in questo film sia la chiave portante delle storie che si intrecciano: la madre che vive secondo i tempi dei morti, la ragazza che perde il suo tempo a Parigi (l’episodio più significativo è quello del suo incontro con una donna hongkonghese con cui passa la notte e con cui tenta un timido approccio erotico che finisce per tramutarsi in una situazione imbarazzante dalla quale fugge all’alba), e Xiao Kang che, ancora più letteralmente, si fa rubare il tempo quando, dopo aver avuto un rapporto con una prostituta, questa si porta via di nascosto la sua valigia con tutti gli orologi del suo commercio ambulante.

Ancora in un rapporto di sincronicità, mentre la madre si masturba pensando al marito di cui tiene sempre vicino a sé la foto, Xiao Kang si assopisce nella sua macchina dopo aver fatto sesso con la ladra del tempo. A Parigi intanto la ragazza si addormenta nei giardini delle Tuileries, mentre dei bambini si divertono a buttare la sua valigia in una fontana.

Xiao Kang torna a casa e prima di stendersi a letto, guarda a lungo la foto del padre. Questo compare alle Tuileries dove mette in salvo il bagaglio della fanciulla che continua a dormire senza accorgersi di niente. Il film si chiude con l’immagine del padre di Xiao Kang che, dopo essersi acceso una sigaretta guardando dritto verso la telecamera, si allontana in direzione della ruota panoramica, gigantesco quadrante d’orologio che cammina in senso antiorario.

Il film è l’elaborazione di un lutto sostenuto dal pensiero che il passato comunque non scompare mai. Il fantasma del padre scompare dal tempo di Taipei per riapparire in quello di Parigi, mentre lo spettro della Nouvelle vague francese compare nel cinema di Tsai

attraverso gli spezzoni de I quattrocento colpi e con la presenza di Jean-Pierre Léaud, sviluppando tra i due un interessantissimo dialogo fatto di prestiti stilistici e tematici che riesce a mantenersi sempre molto personale senza mai essere plagio (Neri, 2004).

Si tratta anche di un film sull’incomunicabilità, altro tema importante per il regista: Xiao Kang e la ragazza sono chiaramente interessati l’uno all’altra, ma si incontrano brevemente per due volte senza riuscire a comunicarselo; quando poi a Parigi lei si ritrova a letto con la donna hongkonghese incontrata in un caffè, quest’ultima non ricambia le sue attenzioni e si gira piuttosto dall’altro lato, lasciandola nella sua solitudine. È in quel letto che perderà il suo orologio dal doppio quadrante acquistato a Taipei. Anche la madre di Xiao Kang, che continua a preparare i pasti per il marito assente, si ritrova a vivere in un’altra solitudine. La Parigi che porta sullo schermo Tsai Ming-liang non è diversa dalla Taipei che ha mostrato nella sua intera filmografia: un territorio di transito dominato da scale, ascensori, stanze d’albergo, stazioni della metropolitana; uno spazio dove vivono persone all’eterna ricerca d’amore ma incapaci di comunicare. La vera differenza sta nel fatto che Parigi è percepita come città immutabile, perché fissata all’interno delle immagini cinematografiche di un’epoca passata, mentre Taipei muta costantemente, tanto che la sua architettura diventa il fantasma di se stessa, come il ponte sul quale Xiao Kang vendeva orologi e che scompare o la sala cinematografica dove passa i suoi pomeriggi che è in via di demolizione in un film successivo di Tsai (Ceresa, 2009).

Nel documento Taipei e il cinema (pagine 70-73)