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TemPI DI cRISI,
“pIccolo è
beLLO” nOn
baSTa PIù
Francesco Gastaldi
74 75 Forse uno dei pochi luoghi che riesce a riprodurre quella stratificazione funzionale che era propria della città storica, a dimostrare la possibilità di un effettivo superamento della logica dello zoning.
Da un punto di vista operativo ed economico la strut- tura della proprietà è naturalmente un elemento de- terminante per definire le condizioni e le modalità dell’intervento. Schematizzando, possono essere con- siderate due situazioni estreme, dalle quali derivano al- trettante linee di tendenza, che si ripropongono come modello di riferimento nella varietà dei casi reali. Nel caso di un comparto frazionato in molte pro- prietà, è fattore determinate di successo la presenza di un attore in grado di assurgere a regista, istruire un processo di concertazione, dirigere un’operazione complessa. Regista può essere un ente pubblico come un operatore privato; nei casi di aree più grandi, la fisionomia più opportuna è quella di un’agenzia mi- sta, che coordini le diverse iniziative e tuteli le varie posizioni potendo operare con sufficiente autonomia e velocità di decisione; per dimensioni più contenute un soggetto privato può preventivamente acquistare aree e volumi esistenti gestendo la delocalizzazione delle attività in nuovi insediamenti periferici.
A questo proposito va considerato che il punto de- bole più facilmente riscontrabile nelle operazioni di trasformazione di aree è quello della loro durata tem- porale (oltre all’individuazione delle funzioni da inse- diare). Nonostante le riforme legislative introdotte a livello statale e regionale, i tempi di approvazione per- mangono lunghi; una volta terminato l’iter della stru- mentazione urbanistica, non ci sono ancora garanzie sul fattore tempo: un qualsiasi problema (bonifica più impegnativa del previsto, errate valutazioni finanzia- rie) può rallentare o bloccare l’intera iniziativa. I tempi di realizzazione sono inoltre strettamente connessi ai tempi di impiego dei finanziamenti (na- zionali, europei, ecc.); in un quadro di risorse sempre più scarse, ciò ha portato ad una maggiore concretiz- avvii alla conclusione: il periodo che si apre dovrà
comportare un potenziamento che passi attraverso adeguate misure di politiche pubbliche.
A partire dai primi anni Novanta, e più recentemen- te con la crisi economica degli ultimi anni, le imprese che hanno incrementato le proprie attività, quando non hanno scelto la strada di trasferire la produzio- ne all’estero, si sono spesso spostate all’interno di nuove aree industriali (talvolta anche in altre aree città o altri territori) di più recente realizzazione, in lotti di maggiori dimensioni, meglio serviti dal pun- to di vista logistico. Per il loro carattere estensivo i paesaggi della piccola e media impresa ci pongono importanti questioni in termini progettuali.
Si tratta di parti di territorio nelle quali si mescolano funzioni e processi produttivi, residenza e servizi. Stato e lamentano la mancanza di riforme strutturali.
Nelle aree del nord-est che sono state soggette al processo di interna- zionalizzazione, il sistema economico ha dimostrato un certo grado di flessibilità nell’adattarsi ai cambiamenti della domanda di lavoro, ma il futuro permane incerto.
Nessuno avrebbe potuto immaginare che l’area traino del dinamismo economico del Paese, soprattutto nell’export e nei prodotti del made
in Italy, potesse avviarsi verso una spirale di crescente debolezza. La
coscienza di aver sviluppato forme di successo dal punto di vista im- prenditoriale ha fatto sì che si sia creata una sorta di presunzione di essere indenni da problemi, che ha generato isolamento e incapacità nel cogliere segnali di cambiamento provenienti dal mercato.
Il “piccolo è bello” non basta più. La sfida principale si gioca sul fronte dell’internazionalizzazione: da un lato, le aziende sono chiamate a pro- iettarsi sempre con maggior decisione sui mercati internazionali, sce- gliendo strategie di prodotto coerenti con lo sviluppo della domanda mondiale; dall’altro associazioni, enti ed istituzioni sono chiamati ad un grande sforzo per accompagnare queste imprese nel loro tragitto offrendo loro agevolazioni e servizi finanziari, di marketing, logistici, ecc. Le nuove sfide imposte dalla globalizzazione dei mercati induco- no a ritenere che la lunga fase spontaneistica della vita dei distretti si
76 77 di concertazione e negoziazione, non solo tra i pro- prietari delle aree e gli imprenditori privati, ma anche da parte degli attori sociali e dei soggetti della rappre- sentanza (associazioni di categoria, imprenditoriali e sindacati). A livello delle comunità locali, si fa strada una sempre più generalizzata domanda di qualità am- bientale e sviluppo sostenibile, anche nell’accezione di sostenibilità sociale e politica (partecipazione e condi- visione delle scelte).
zazione dei progetti di trasformazione urbana in termini operativi e finanziari; del resto, l’ottenimento di finanziamenti pubblici è sempre più raramente ottenibile in mancanza di progetti immediatamente can- tierabili e quando non vi sia la garanzia di un gestore affidabile. Il problema delle infrastrutture va attentamente considerato nelle ope- razioni di trasformazione o riuso a fini produttivi: se è vero in generale che una buona dotazione di infrastrutture è precondizione importante dei processi di sviluppo delle economie locali, in particolare il costo e la qualità del trasporto condizionano in modo determinante il sistema di produzione e distribuzione delle merci.
In sede di progettazione degli interventi di riuso e riconversione, oc- correrà tener conto degli aspetti legati alle piattaforme logistiche e alle reti infrastrutturali, per migliorare la funzionalità e favorire l’insedia- mento di determinate tipologie aziendali. Saranno privilegiate le aree che sorgono in prossimità di nodi (stradali, ferroviari, autostradali) che permettono collegamenti agevoli con le reti sovralocali e internazio- nali. La funzione logistica è dunque primaria in un processo di riquali- ficazione produttiva di parti di città.
Le stesse aree industriali inutilizzate possono rappresentare importanti occasioni per il potenziamento e l’ammodernamento della dotazione infrastrutturale di parti di città o di territorio o possono permettere
l’insediarsi di funzioni (magazzini, distripark, centri intermodali, interporti) che possono avere effetti considerevoli in termini di problematicità o di svi- luppo del territorio.
Il problema di stabilire tipo e quantità dei servizi pubblici si pone sotto molti aspetti: con riguardo non solo al soddisfacimento dei parametri urbani- stici e all’opportunità delle localizzazioni, ma anche alla disponibilità di risorse finanziare che ne garan- tiscano la completa esecuzione e alla ricerca del giu- sto equilibrio fra utilizzi pubblici e privati, affinché l’uso troppo intensivo dell’area non pregiudichi la qualità finale del risultato o l’eccessivo costo delle cessioni non determini sbilanci finanziari insosteni- bili da parte dell’operatore.
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ILLUSTRaZIOnI
Fotografie di Ylenia Bistrot e Andrea Stefani
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(1) L’intervento completo di Roberto Zuccato si può trovare al link: www.linkiesta. it/roberto-zuccato-imprendi- tori-veneti.
81 L’idea di partenza di questo articolo risale ad almeno una dozzina di anni fa, nel periodo tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del XXI secolo. Avrebbe do- vuto intitolarsi Piccoli Bilbao crescono. Perché un titolo simile, evidentemente preso dal libro di Louisa Alcott e nemmeno troppo originale? Nasceva da due motivi senza relazione alcuna: l’apertura del museo Guggen- heim di Frank Gehry a Bilbao e la fortunata stagione economica che vivevano in quel periodo le aziende del nord-est italiano.
Primo motivo. Nel 1997 veniva inaugurato il museo Guggenheim di Bilbao, terza sede dopo New York e Venezia. Un’opera che aiutò a risollevare l’econo- mia di un territorio fino a quel momento depresso, destinata a far parlare di sé come poche altre. Carat- terizzata dalla – oggi ben nota – volumetria scultorea tipica dei lavori di Gehry e rivestita da un innovativo e inconfondibile sistema di lastre in titanio.
Secondo motivo. Tra gli anni Novanta e l’inizio del XXI secolo l’economia italiana, se paragonata a quella attuale, era abbastanza in salute e il PIL, pur non es- sendo ai livelli degli anni Ottanta (né tantomeno de- gli anni Sessanta), presentava comunque anno dopo anno il segno “+”. A questo va aggiunto che la sva- lutazione della lira avvenuta nel 1992 ebbe come con- seguenza un forte aumento delle esportazioni di beni, di cui beneficiarono in particolar modo proprio molte industrie manifatturiere del nord-est, essenzialmente basate sull’export (1).
È in tale periodo che molti imprenditori decidono di ampliare le loro aziende con nuove sedi direzionali e impianti di produzione più avanzati. Per diversi moti- vi: in alcuni casi, per la crescita del volume d’affari e le conseguenti nuove assunzioni, o per l’installazione di nuove linee produttive e nuovi spazi per la logisti- ca. In altri, per la voglia di mostrare la propria buona salute economica, costruendo edifici “da copertina”, sia all’esterno che all’interno, grazie all’utilizzo di open
space evoluti, qualitativamente e funzionalmente lonta-