LA COESIONE EUROPEA E LA MARGINALITÀ LOCALE
4. La nozione di “divario” e i connessi profili di “marginalità” dei territori
La ricognizione proposta in merito alla politica regionale e di coesione dell’UE e al QSN tende a individuare le strategie assunte a livello comunitario e nazionale al fine di colmare i divari di sviluppo esistenti all’interno dell’UE e a risolvere le conseguenti condizioni di marginalità che caratterizzano alcuni territori.
Tale problematica risulta di particolare rilievo in ambito italiano, soprattutto in considerazione della sostanziale frammentazione amministrativa che contraddistingue il territorio nazionale, costituito, come è noto, da 21 regioni, 108 province e un totale di 8.101 comuni, di cui 1.963 con meno di mille residenti.
Risulta evidente, in tale contesto, che l’individuazione di indicatori idonei a rilevare le condizioni di marginalità e l’analisi delle principali cause che determinano situazioni di divario, risultano fattori necessari al fine di elaborare strategie di intervento volte a risolvere i ritardi di sviluppo che connotano alcuni territori.
Prima di procedere all’analisi di un caso specifico, appare opportuno soffermarsi brevemente sul concetto di “marginalità”.
Le aree marginali si distinguono per alcuni tratti comuni che riguardano essenzialmente la scarsezza di legami con i territori vicini, l’isolamento culturale, le condizioni naturali difficoltose, la carenza di infrastrutture e un divario socio-economico rispetto alle medie regionali o nazionali.
Se si assume, che «la marginalità in un sistema territoriale locale si verifica nel momento in cui questo non riesce a raggiungere livelli di sviluppo comparabili con quelli del più ampio contesto territoriale a cui appartiene»106, si può affermare che tale condizione può essere determinata tanto da fattori contingenti o esogeni, quanto dall’incapacità endogena del sistema e dei suoi attori locali di realizzare efficaci e duraturi processi di sviluppo.
Da un lato, dunque, la marginalità può essere determinata ad esempio dall’assenza o carenza sul territorio di un “patrimonio” utilizzabile in un processo di sviluppo locale, di natura materiale (patrimonio naturale, storico e artistico, piuttosto che infrastrutture o servizi) o immateriale (know how o beni relazionali) da assumere come “prese” in progetti di sviluppo locale107; dall’altro lato, la stessa può dipendere dall’incapacità
106
A. CRESCIMANNO, F. FERLAINO., F. S. ROTA, Classificazione della marginalità dei piccoli comuni del Piemonte, IRES, Torino, 2008, p. 12.
107
G. DEMATTEIS, Per una geografia della territorialità attiva e dei valori territoriali, in P. BONORA (ed), SLoT Quaderno 1, Baskerville, Bologna, 2001, pp. 11-30.
74 degli operatori territoriali di sfruttare le risorse materiali e immateriali pure presenti per generare processi di crescita e di sviluppo.
A tale riguardo, ad esempio, si è rilevato108 come la casistica dello sfruttamento del valore aggiunto territoriale veda situazioni negative nel caso in cui il territorio sia considerato semplice supporto passivo di operazioni etero - dirette (ossia prive di legami con le reti dei soggetti locali e con il capitale territoriale locale) o invece situazioni pienamente positive nel caso in cui i valori prodotti dalla rete dei soggetti locali e dalle sue interazioni con reti sovra locali attinga a tutta la gamma delle potenzialità offerte da un capitale territoriale materiale e immateriale specifico.
Spesso, inoltre, le aree marginali corrispondono a zone poco integrate all’interno del sistema di riferimento, a regioni periferiche o di frontiera, a regioni povere con risorse limitate.
La varietà di cause e di fattori che contribuiscono (singolarmente o in concorrenza tra loro) a determinare condizioni di marginalità spingono a riflettere sul fatto che indicatori di svantaggio riferibili ad esempio al prodotto interno lordo (PIL), al tasso di disoccupazione o al reddito pro-capite (tipici delle analisi condotte a livello comunitario in fase di programmazione dei Fondi strutturali), devono essere ricondotti a fattori non solo di natura “quantitativa”, ma anche di natura “qualitativa” poiché entrambi contribuiscono sostanzialmente a determinare condizioni di marginalità.
Gli indicatori quantitativi che indicano debolezza territoriale in termini di marginalità socio-economica sono quelli sostanzialmente utilizzati nella stesura dei Rapporti di coesione europei, e riguardano essenzialmente i profili demografici ed economici che caratterizzano un territorio.
Alcuni studi sulla marginalità delle aree periferiche109, pur basandosi su indicatori quantitativi classici (demografia, economia), evidenziano la necessità di realizzare analisi più complesse, in considerazione della eterogeneità delle condizioni di marginalità e della conseguente necessità di integrare i criteri meramente quantitativi di indagine con indicatori di natura qualitativa, relativi alla varietà delle attività economiche, all’adeguatezza del sistema dei servizi, alle infrastrutture locali (di
108
R. DISPENZA, Il territorio come criterio di valutazione: il valore aggiunto territoriale delle politiche di sviluppo locale, Tesi di Dottorato in Pianificazione Territoriale e Sviluppo Locale, Dipartimento Interateneo Territorio, Politecnico e Università di Torino, 2005.
109
CENTRO REGIONALE E RICERCHE ECONOMICO E SOCIALI (CRESA), La montagna italiana tra marginalità e sviluppo, l’Aquila, 2005; IRES Piemonte, Rapporto sulla marginalità socio-economica delle Comunità Montane Piemontesi,Torino, 2005.
75 trasporto, sanitarie, ecc.), operando ad un livello di maggiore disaggregazione territoriale.
Il livello culturale di una popolazione, così come l’accessibilità, la presenza di infrastrutture, la qualità dei servizi erogati ai cittadini e alle imprese costituiscono fattori molto utili per individuare condizioni di marginalità che determinano un “depotenziamento strutturale della capacità di relazione di un determinato sistema locale, prodotta dall’incrocio di diversi effetti recessivi110”, identificando una situazione di disagio che colpisce i territori e ne compromette la competitività attuale nonché i futuri processi di sviluppo.
Da tali considerazioni si evince la rilevanza assunta dall’individuazione di indicatori idonei a rilevare i diversi (e complessi) fattori della marginalità, elementi necessari a sviluppare un’analisi corretta e, dunque, rappresentativa dei territori oggetto di indagine. In riferimento alla marginalità socio-economica dei piccoli Comuni (che rappresentano la dimensione territoriale che più interessa in questa sede), un’utile metodologia di rilevamento è rappresentata dal sistema di indicatori elaborati dall’IRES – Istituto di Ricerche Economiche e Sociali della Regione Piemonte che, nell’ambito dei numerosi studi condotti sulla marginalità delle autonomie locali minori della Regione111, ha individuato quattro “dimensioni chiave di sviluppo”, ciascuna delle quali viene analizzata attraverso appositi indicatori in grado di misurare le dinamiche di marginalità in atto.
In particolare, la prima dimensione è relativa alla “componente demografica”, individuata sulla base di tre indicatori: il livello di crescita demografica, l’incidenza di popolazione anziana (ultrasessantacinquenni), l’indice di dispersione della popolazione. La seconda dimensione riguarda la “componente di reddito o benessere economico” che considera i tre indicatori del reddito imponibile, del gettito ICI e dall’ammontare dei rifiuti solidi urbani prodotti. La terza dimensione concerne la componente “dotazione di servizi” che considera quali indicatori i servizi alle famiglie, la presenza di esercizi alberghieri e l’incidenza delle abitazioni di non residenti (seconde case) sul totale del patrimonio immobiliare urbano. L’ultima dimensione considera la componente “tessuto produttivo” misurata sulla base delle attività manifatturiere e commerciali presenti sul territorio e sul gettito IRAP procapite versato.
110
P. BURAN, Le misure della marginalità. I fattori del disagio territoriale delle aree montane piemontesi, S. AIMONE, F. FERLAINO, M.C. MIGLIORE (a cura di), Working Peper n. 121, Ires Piemonte, Torino, 1998. 111
A tale riguardo, si veda: A. CRESCIMANNO, F. FERLAINO., F. S. ROTA, Classificazione della marginalità dei piccoli comuni del Piemonte, IRES, Torino, 2008, p. 14.
76 In riferimento ai profili di marginalità strutturale, invece, sono considerati rilevanti i fattori di “perifericità” del territorio considerato che dipendono da aspetti fisici e morfologici (è il caso, ad esempio, di aree montane o insulari), dal grado di “accessibilità” e dal livello di “infrastrutturazione”.
Tali indicatori, unitamente a quelli della marginalità socio-economica, elaborati in una logica integrata e sistemica e non singolarmente considerati, permettono di analizzare gli ambiti territoriali oggetto di indagine, individuandone i livelli di sviluppo e l’eventuale marginalità.
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CAPITOLO III
IL SALERNITANO NELL’OTTICA DEL SUPERAMENTO DEI DIVARI