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NAZIONE E STATO NELLA GIUSPUBBLICISTICA SICILIANA DEL PRIMO OTTOCENTO*

Nell’ambito della vasta letteratura che, anche di recente, seppure con approcci disciplinari diversi, ha preso in esame i termini-concetto di Sta- to e nazione, nonché il loro sviluppo storico e teorico1, si è sottolineato,

tra l’altro, il parallelismo con cui il processo di costruzione dello Stato si è spesso accompagnato al processo di costruzione della nazione2, condi-

* Relazione tenuta al seminario Costruire lo Stato, costruire la storia: politica e mo- derno tra ‘800 e ‘900 (Bologna, Dipartimento di discipline storiche, 15-16 giugno 2000).

1Sull’imponente sviluppo della riflessione teorica intorno ai temi ‘nazione’, ‘nazionali-

smo’ e ‘stato nazionale’, cfr. F. TUCCARI, La nazione, Roma-Bari 2000, p. 3 (alla cui Biblio-

grafia essenziale, pp. 143-147, si fa rinvio), il quale stima in oltre duemila, tra monografie, atti di convegno, volumi antologici e miscellanei, i libri dati alle stampe nel decennio 1990- 2000 che trattano in vario modo di questi argomenti. Sulla rinnovata attualità della questio- ne nazionale e sul nuovo approccio storiografico e politologico che è andato di recente svi- luppandosi intorno al concetto di nazione e ai suoi processi fondativi e identificativi, si ve- da L. SCUCCIMARRA, L’«oscillogramma della storia». Nazione e nazionalismo in una pro-

spettiva storico-concettuale, in «Storica», V, 1999, pp. 61-103.

2Cfr., tra gli altri, S. E. FINER, La formazione dello stato e della nazione in Europa: la funzione del «militare», in C. TILLY(ed), La formazione degli stati nazionali nell’Europa occidentale (1975), Bologna 1984, pp. 79-152, secondo il quale i due processi di costruzio- ne dello Stato e della nazione si accompagnano, pur restando tra loro concettualmente di- stinti. «Nelle fasi iniziali – aggiunge in proposito G. POGGI, Lo Stato. Natura, sviluppo, prospettive, Bologna 1992, p. 44 – il primo processo normalmente precede l’altro; in segui- to, nella fase “nazionalista”, si afferma spesso che è la pre-esistenza di una determinata na- zione a legittimare la faticosa e spesso sanguinosa impresa di dare a quella nazione uno sta- to tutto suo. Ma per lo più i due processi sono paralleli». Anche P. P. PORTINARO, Stato, Bo-

logna 1999, pp. 124 ss., prende in esame il processo di State-building e quello di Nation- building, ponendone in connessione le origini, ma sottolineando quanto sia «difficile stabi- lire una priorità dell’uno sull’altra». Sul punto si vedano anche H. SCHULZE, Aquile e leoni.

Stato e nazione in Europa, Roma-Bari 1994; TUCCARI, La nazione, cit., p. 87 e passim. Se- condo N. MATTEUCCI, voce Stato, in Enciclopedia del Novecento, XII, Roma 1984, ora in IDEM, Lo Stato moderno. Lessico e percorsi, Bologna 1997 (da cui si cita), pp. 55-56, «Nel-

zionando sia i ritmi di formazione («in linea di massima assai più lenti là dove lo stato accentrato moderno stentò ad affermarsi»3) che la com-

plessa morfologia delle identità nazionali.

Un legame forte quello tra Stato e nazione, che, sull’onda di un’idea di sovranità emancipatasi dal modello medievale, nella seconda metà del Settecento superava lo schema assolutistico (‘sovranità-re-nazione’) e, traendo alimento dal pensiero neo-giusnaturalistico, si rinsaldava nella dimensione secolarizzata e razionalista del contratto. Il corpo sociale non ritrovava più l’elemento unificante di identificazione politica nel monarca, titolare di un potere originario e assoluto, che raffigurava la nazione, ma esso stesso – comunità di individui liberi e uguali – si costi- tuiva in una nazione, titolare della sovranità4. Si valorizzava così l’idea

di ‘nazione-popolo sovrano’, e quindi di Stato nazionale, capace di su- perare alla radice il dualismo ‘società - Stato’.

In entrambi i casi, tuttavia, la nazione era lo Stato, si organizzava su basi giuridiche unitarie, si dava una struttura amministrativo-burocratica che era espressione della volontà di chi era sovrano – il re o il popolo – e costituiva il momento di unità e il luogo di una comune appartenenza5.

negando che la nazione moderna sia stata il risultato di una spontanea evoluzione sociale, precisa i termini del rapporto nazione-Stato individuando nello Stato il momento genetico della nazione: «[la nazione] è stata piuttosto una creazione dello Stato, dello Stato territo- riale, che voleva unificare la popolazione entro i propri confini. In altri termini, non è il po- polo-nazione a creare lo Stato, ma è lo Stato burocratico, questo arsenale di potere, a creare la nazione». Sulla riflessione storiografica a proposito delle ‘origini’ dello Stato moderno e sui diversi paradigmi che hanno orientato la ricerca non solo storica, ma anche teorico-po- litica e teorico-giuridica, si veda, per tutti, M. FIORAVANTI, voce Stato (storia), in Enciclo- pedia del diritto, XLIII, Milano 1990, pp. 708-758, e l’ampia e ragionata bibliografia che la completa.

3TUCCARI, La nazione, cit., p. 87.

4Nel momento in cui il diffondersi di una cultura politica secolarizzata esigeva forme

di legittimazione del potere nuove rispetto al ‘diritto divino del re’ ed elementi di coesione sociale che sostituissero l’ormai insufficiente «comando esterno del sovrano», al bisogno di «coesione interna» si rispondeva «creando emozionali identità collettive». Cfr. MATTEUCCI,

Lo Stato moderno, cit., pp. 55 ss., il quale, a proposito dell’idea di nazione emersa in Fran- cia negli anni rivoluzionari, osserva: «Era necessario far riscoprire alle masse un nuovo sa- cro, di cui lo Stato burocratico amministrativo era sprovvisto, perché a cementarlo c’era soltanto il re e il freddo dovere d’ufficio in obbedienza alla legge ... è la nazione – o meglio la nazione-popolo – a esprimersi, tramite la riconquistata sovranità, attraverso la personali- tà dello Stato, che le dà unità e capacità di agire: protagonisti della storia non sono più i re, ma le nazioni, o meglio lo Stato nazionale».

5Cfr. P. C

OSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, 4. L’età dei totalitarismi e

«Le Nazioni ovvero Stati sono corpi politici, Società d’uomini uniti insieme, affin di procurare con forze riunite la loro salvezza, e il loro vantaggio»6. Al giusnaturalista Emmerich de Vattel (1714-1767) nazione

e Stato erano apparsi sostanziali sinonimi, termini pressoché intercam- biabili, cui veniva attribuito un significato che sembrava risolvere a fa- vore di una comune caratterizzazione politica le ambiguità e promiscuità insite nei due vocaboli.

La nazione – definita da Vattel «persona morale», dotata di una vo- lontà propria, distinta da quella dei suoi componenti ma che delle volon- tà di costoro era la risultante7, capace di assumere obbligazioni e di esse-

re titolare di diritti – si identificava con lo Stato, lo connotava quale ag- gregato politico-sociale legato da uno scopo comune (quello di procura- re agli uomini uniti in società «la loro salvezza, e il loro vantaggio») e organizzato al fine di conseguirlo8.

Il concetto volontaristico di ‘nazione sovrana’ avrebbe oltrepassato il perimetro tracciato dal giusnaturalismo di metà Settecento e, nella Fran- cia rivoluzionaria, avrebbe consolidato la connessione genetica e simbo- lica con lo Stato. Di contro, in una visione etnico-antropologica e/o sto-

6Così Vattel, divulgatore del sistema ‘scientifico’ di diritto naturale e del modulo sog-

gettivistico elaborato da Wolff (e da lui applicato ai rapporti tra Stati), dava inizio al suo trattato Il diritto delle genti ovvero Principii della Legge Naturale, applicati alla condotta e agli affari delle Nazioni e de’ Sovrani. Opera scritta nell’idioma francese dal Sig. Di Vat- tel, e recata nell’italiano da Lodovico Antonio Loschi, 3 v., Lione 1781-1783, I, p. 1. Sul- l’opera di Vattel, posta a fondamento del moderno diritto internazionale, cfr. per tutti G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna. I. Assolutismo e codificazione del diritto,

Bologna 1976, pp. 151-153, e S. MANNONI, Potenza e ragione. La scienza del diritto inter- nazionale nella crisi dell’equilibrio europeo (1870-1914), Milano 1999, in part. pp. 14-16.

7Vattel precisava che la volontà della nazione «non è che il risultato delle volontà ri-

unite de’ Cittadini» (VATTEL, Il diritto delle genti, cit., p. 3).

8Del resto, da una simile identificazione muoveva, più in generale, il pensiero giusna-

turalista europeo a cavaliere tra il Sei e il Settecento, e in particolare il maestro di Vattel, Christian Wolff, che definiva la nazione «uno Stato Sovrano, una Società politica indepen- dente», che non riconosce, nelle relazioni con le altre nazioni, che il «Diritto ... stabilito dalla Natura» (così si legge nella Prefazione al trattato Institutiones juris naturae et gen- tium..., Halae 1750). Un elemento, questo dell’indipendenza, ripreso dal Vattel, il quale ri- conosceva il «Diritto di figurare immediatamente» nella universale «Società delle Nazioni» a quella nazione che potesse dirsi «veramente Sovrana e independente, cioè che si governi da se medesima colla sua propria autorità e colle sue Leggi». Sovranità era pertanto il dirit- to di autogovernarsi per mezzo di propri organi e di una propria legislazione, e in ragione di ciò di essere «riguardato siccome uno Stato independente» (VATTEL, Il diritto delle genti, cit., pp. 21-22): un’altra via attraverso cui nazione e Stato, arricchiti della sovranità, si in- contravano e si qualificavano a vicenda.

rico-culturale, in conflitto con lo Stato o in sua assenza, si affermava un diverso modello di rappresentazione dell’identità del corpo sociale, che affidava la nascita di una coscienza nazionale a uno strumentario identi- ficativo di tipo culturale. Un modello «fondato sulla storia e la filologia, “sui monumenti e i cimiteri”»9, ben noto anche alla cultura giuspolitica

francese di antico regime.

In Francia, infatti, prima di pervenire alla «nazione dei cittadini» af- fermatasi durante la Rivoluzione del 1789 e assunta ad elemento propul- sivo di integrazione e unità politica, il discorso nazionale era stato luogo ideale di rappresentazione dei conflitti, in particolare di quelli religiosi, tanto che all’interno dello scontro tra cattolici e protestanti, il meglio della pubblicistica ugonotta avrebbe formulato la tesi delle due ‘nazioni francesi’, l’una di origine germanica, l’altra, contrapposta, riportabile agli invasori romani e identificata nella monarchia, usurpatrice delle an- tiche libertà germaniche10. Un leit motiv riproposto nelle prime decadi

del Settecento dal c.d. liberalismo nobiliare francese che, come reazione all’assolutismo di Luigi XIV, teorizzava un dualismo propenso a radica- lizzare lo scontro piuttosto che a superarlo11.

9Così TUCCARI, La nazione, cit., pp. 88-89, che ripropone un’espressione di H. KOHN, L’idea del nazionalismo nel suo sviluppo storico (1944), Firenze 1956. Irrinunciabile, in materia, il rinvio a F. CHABOD, L’idea di nazione (1961), a cura di A. Saitta ed E. Sestan, Roma-Bari 199810.

10Il riferimento è a François Hotman (1524-1590), il quale, alla ricerca di un ordine

che, pur includendo il sovrano, ponesse gli individui al riparo dalla minaccia – reale o pre- sunta – che costui rappresentava per i calvinisti francesi, ricorreva a strategie argomentative incentrate sulla tradizione e sulla continuità. Una continuità ininterrotta, che dava vita alla tradizione legittimante (poco importa se del tutto ‘costruita’ al pari di un qualunque altro argomento razionale) e conferiva inoppugnabile legittimità al teorema dei ‘monarcomachi’ diretto a sganciare la sovranità dalla monarchia e per ricondurla al popolo e all’assemblea degli ordini cetuali. Cfr. F. HOTMAN, Franco-Gallia (1573), a cura di R. E. Giesey e J. H. Salmon, Cambridge 1972; sull’opera e il suo autore cfr., tra gli altri, D. R. KELLEY, Fran-

çois Hotman. A Revolutionary’s Ordeal, Princeton 1973; Q. SKINNER, Le origini del pensie- ro politico moderno (1978), Bologna 1989, pp. 167 ss.; CHABOD, L’idea di nazione, cit., p. 39; M. FIORAVANTI, Costituzione, Bologna 1999, pp. 53 ss.; in sintesi, C. GALLI(ed), Ma-

nuale di storia del pensiero politico, Bologna 2001, p. 164; P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa. 2. L’età delle Rivoluzioni (1789-1848), Roma-Bari 2000, pp. 81- 83. Sul punto in questione, si vedano M. FOUCAULT, Difendere la società. Dalla guerra del- le razze al razzismo di stato, Firenze 1990, p. 93; PORTINARO, Stato, cit., pp. 124-125.

11Dopo circa un secolo e mezzo, sempre in Francia, in aperto contrasto con l’assoluti-

smo regio, la tesi delle ‘due nazioni’ tornava a misurare, sul piano della legittimazione stori- ca, il fondamento e i limiti del potere monarchico. Con l’Histoire de l’ancien gouvernement de la France (1727), Henri de Boulainvilliers (1658-1722) sistematizzava la tesi nobiliare e anti-assolutistica, già sostenuta da Fénelon (1651-1715): la difesa delle libertà e dei privilegi

In questo caso, ancora una volta, la nazione prima d’essere entità poli- tica, Stato, era fatto spirituale, «individualità storica»12, o meglio consape-

volezza di tale individualità, in antitesi con l’universalismo cosmopolita di matrice illuministica13. Essa era tradizione, continuità con un passato ricco

di valori etici, ma soprattutto di autonomia, di leggi, di istituzioni.

La storia della nazione era così storia del diritto pubblico e dei suoi istituti e assumeva, per questa via, un ruolo fondante, quello di elemento essenziale per definire l’identità della nazione e al contempo per difen- derne la libertà politica, la sua sovranità mediante un processo di autole- gittimazione che in essa, nella storia quale carattere inconfondibile della nazione, trovava le sue radici immemorabili.

All’interno di una ricerca tuttora in corso sui caratteri del costituzio- nalismo siciliano del 1848 e le sue radici di primo-Ottocento, si sono vo- lute prendere in esame – in assonanza con la storiografia che, di recente

rivendicati dai Parlamenti trovava fondamento nell’antica tradizione di libertà e di nobiltà dei Franchi, conquistatori dei Galli romanizzati; su queste basi si formulava, in opposizione alla ‘nazione dinastica’, l’idea della ‘nazione aristocratica’, la sola in grado di rappresentare legittimamente gli interessi della «nazione». Una tesi, quella nobiliare, di cui in seguito si approprieranno i Parlamenti, arrivando a sostenere che la ‘costituzione storica’ francese, se- condo la tradizione franca, postulava il rapporto re-popolo in termini contrattuali e che il po- polo era ‘storicamente’ rappresentato dai Parlamenti. Con le stesse armi teorico-argomenta- tive, la tesi di Boulainvilliers sarebbe stata duramente contraddetta dall’Histoire de l’établis- sement de la monarchie française (1734) di d’Argenson, che sosteneva la legittimità della monarchia assoluta francese fondandola sulla diretta discendenza dai re franchi e sulla con- tinuità tra l’imperium di Roma e quello di Luigi XIV, nonché dall’abate Du Bois, autore di un’Histoire critique de l’établissement de la monarchie française dans les Gaules (1734) in cui si negava l’origine germanica della monarchia francese, scorgendone piuttosto gli ante- cedenti ‘civili’ nei celti romanizzati, di seguito convertiti al cristianesimo. Sulla thèse nobi- liaire elaborata dal Boulainvilliers cfr., tra gli altri, P. ALATRI, Parlamenti e lotta politica nel- la Francia del Settecento, Bari 1977, part. pp. 68 ss.; D. VENTURINO, Le ragioni della tradi-

zione. Nobiltà e mondo moderno in Boulainvilliers (1658-1722), Torino1993; utili cenni an- che in CHABOD, L’idea di nazione, cit., pp. 40 e 46; PORTINARO, Stato, cit., p. 125; TUCCARI, La nazione, cit., p. 91; Manuale di storia, cit., pp. 231-233. La tesi di Boulainvilliers sul ‘di- ritto primordiale dei conquistatori’ e quella contrapposta del suo antagonista Du Bois sono anche esaminate, da posizioni tra loro distanti, da F. MEINECKE, Le origini dello storicismo

(1936), Firenze 19733, e da G. GARGALLO DICASTELLENTINI, Storia della storiografia mo- derna. IV. La teoria della conquista, Roma [1998].

12Nei celebri corsi universitari tenuti a Milano nell’a.a. 1943-44, quindi in tempi se-

gnati dall’esasperazione dei nazionalismi sfociati in razzismo, CHABOD, L’idea di nazione, cit., pp. 17-91, nel prendere in esame l’idea di nazione, esordiva affermando: «Dire senso di nazionalità, significa dire senso di individualità storica».

e dopo lunghi silenzi, ha studiato l’esperienza costituzionale del 181214

– talune posizioni della giuspubblicistica siciliana dell’Ottocento, e in particolare la peculiare idea di nazione e di Stato che venne ad affermar- si nell’isola tra fine Settecento e inizi del secolo successivo, connotando di sé l’intero periodo costituente.

1. Nazione e Stato nella dottrina giuridica siciliana

Nel 1744, nove anni dopo la restituzione della Sicilia ai Borbone, mentre nell’isola si profilava, durissimo, l’ennesimo scontro politico tra baronaggio e Corona, quest’ultima impegnata a progettare un piano di riforme e di razionalizzazione delle strutture politiche e giudiziarie, che il ceto feudale avrebbe considerato quasi un attentato al delicato equili- brio storico-istituzionale del Regnum Siciliae, perché lesivo di quel com- plesso di privilegi da secoli assunti a ‘prerogative e libertà della nazione siciliana’15, un avvocato di Troina, Carlo Di Napoli, pubblicava un’alle-

gazione processuale16dal pregnante significato politico, assurta a vera e

14Per un quadro aggiornato della storiografia sul costituzionalismo siciliano del 1812,

si veda infra, n. 61.

15Per un ampio e articolato profilo storico-politico del tempo, cfr., per tutti, G. GIAR-

RIZZO, La Sicilia dal Cinquecento all’Unità d’Italia, in V. D’ALESSANDRO, G. GIARRIZZO, La Sicilia dal Vespro all’Unità d’Italia, in Storia d’Italia diretta da G. Galasso, XVI, Tori- no 1989, pp. 395 ss.

16Cfr. C. DINAPOLI, Concordia tra’ dritti demaniali e baronali trattata in difesa del Si- gnor D. Pietro Gaetano Bologna, Strozzi e Ventimiglia principe del Cassaro … nella causa della pretesa riduzione al Demanio della terra di Sortino, edita a Palermo nel 1744, per i tipi di Angelo Felicella, ristampa anastatica a cura e con Introduzione di D. NOVARESEin Monumenta iuridica siciliensia, diretta da A. Romano (in corso di stampa). Sul Di Napoli e la sua opera più famosa, nel quadro dello scontro tra Corona e istituzioni rappresentative della ‘nazione siciliana’, si veda da ultimo il documentato e denso saggio di D. NOVARESE, introduttivo alla suddetta ristampa (che l’A. mi ha generosamente concesso di leggere in dattiloscritto). Ad esso e alla bibliografia ivi citata si fa interamente rinvio. Sulla vicenda e le posizioni del Di Napoli si vedano anche l’aspro giudizio ‘di parte’ di N. PALMIERI, Sag- gio storico e politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia infino al 1816 con un’appendi- ce sulla Rivoluzione del 1820 … con una introduzione e annotazioni di Anonimo (1847), con Introduzione di E. SCIACCA, Palermo 1972, pp. 71 s., nonché le interessanti osservazio-

ni di G. GIARRIZZO, Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca, in «Rivista Storica Italiana» (= RSI), LXXIX, 1979, pp. 580 ss., e IDEM, La Sicilia dal Cinquecento, cit., pp. 408-412. Cfr. pure E. SCIACCA, Il modello costituzionale inglese nel pensiero poli-

tico in Sicilia tra Sette ed Ottocento, in A. ROMANO(ed), Il modello costituzionale inglese e la sua recezione nell’area mediterranea tra la fine del 700 e la prima metà dell’800. Atti del seminario internazionale di studi in memoria di Francisco Tomás y Valiente (Messina, 14-16 novembre 1996), Milano 1998, pp. 375-390.

propria «apologia di un sistema»17.

Si trattava di una memoria a favore dei diritti vantati dal principe di Cassaro sul feudo di Sortino, conteso dal Regio fisco. In essa il Di Na- poli ricorreva alla storia della conquista normanna della Sicilia per esporre una tesi volta a porre limiti al potere monarchico, ad esclusivo vantaggio dell’aristocrazia feudale.

Il ‘fondamento storico’ costruito dal Di Napoli si poneva nel solco di una tradizione peraltro ben radicata nella pubblicistica francese: pensia- mo a François Hotman18, che nella storia della conquista germanica del-

la Gallia aveva attinto elementi per dimostrare che l’assolutismo della monarchia francese non faceva che usurpare l’originaria libertà dei ger- mani, tutti liberi e uguali all’atto della conquista19, ma ricordiamo anche

i frequenti riferimenti di Seyssel o dello stesso Bodin al concetto di lois

fondamentales come limite originario al potere regio20, nonché il c.d. li-

beralismo nobiliare antimonarchico di Saint-Simon, di Fénelon e del conte di Boulainvilliers, quest’ultimo autore di un’opera nota a Napoli come, probabilmente, anche nella Sicilia del tempo21.

17L’espressione è di D. NOVARESE, Introduzione alla rist. anast. di C. DINAPOLI, Con- cordia tra’ dritti demaniali e baronali, Palermo 1744 (in corso di stampa).

18Si veda supra, n. 10.

19Cfr. CHABOD, L’idea di nazione, cit., p. 39, che a proposito di Hotman e della sua Franco Gallia (1573) osservava come il giurista ugonotto si fosse rifatto «alla storia della conquista germanica della Gallia, per dimostrare che i conquistatori erano tutti liberi e uguali, che il loro capo non era se non un primus inter pares e che quindi il potere assoluto che la monarchia s’era costituito in Francia, era una usurpazione della primitiva libertà dei germani, a cui occorreva porre rimedio».

20Cfr. A. LEMAIRE, Les lois fondamentales de la Monarchie française d’après les théo- riciens de l’Ancien Régime, Paris 1907, e F. TOMÁS YVALIENTE, Génesis de la Constitución de 1812. I. De muchas leyes fundamentales a una sola Constitución, in «Anuario de Histo- ria del Derecho Español», LXV, 1995, pp. 26 ss., che recuperano nelle opere di Claude de Seyssel (1450-1520) e di Jean Bodin (1530-1596) se non proprio l’espressione, una ‘preoc- cupazione di fondo’ che permette un collegamento con il concetto di ‘legge fondamentale’ quale limite al potere regio.

21Cfr. SCIACCA, Il modello costituzionale, cit., p. 378. In particolare, sulla ‘tesi nobilia-

re’ e l’Histoire de l’ancien gouvernement del Boulainvilliers, si veda supra, n. 11. A propo-

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