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CAPITOLO II – EROGAZIONE DI “NUOVA FINANZA” NELL’AMBITO DELLE

2.1. La Nuova Finanza

Il perno su cui poggiava la legge fallimentare del 1942 era la tutela dei creditori. La preservazione del patrimonio dell’impresa non risultava essere la finalità principale delle procedure di amministrazione e di concordato preventivo bensì erano strumenti meramente intrapresi con il fine ultimo del soddisfacimento dei creditori. Le finalità di tali procedure infatti non producevano risultati positivi per la riorganizzazione dell’impresa o del suo rilancio nel mercato bensì costituivano dei passaggi che

inevitabilmente portavano al fallimento, attestando gravi perdite per i creditori.63

Gli operatori erano sfavorevoli alle procedure giudiziali, in quanto le ritenevano non soddisfacenti, i creditori ma soprattutto le banche, consideravano queste procedure di risanamento piuttosto costose, sia in termini di adempimenti burocratici sia in termini di tempo, anche nei casi di convenienza del fallimento il valore di realizzo finale era piuttosto esiguo. Conseguentemente si intraprendevano procedure negoziali tra banca e debitore con il fine ultimo di ristrutturare il debito e recuperare l’attività aziendale. Di fatto, nella prassi era sempre più di diffusa la scelta seguita dalle controparti, di ricorrere a soluzioni alternative per sanare in modo rapido e autonomo situazioni di crisi piuttosto complesse. C’è stato quindi uno “scollamento” tra il diritto concorsuale e le iniziative di tipo “privatistico” che uscivano al di fuori dei controlli e dalle regolamentazioni, si prediligevano perciò, meccanismi negoziali meno rigidi e privi di vincoli.

Si svilupparono casistiche diversificate in materia di accordi stragiudiziali: dalle semplici ristrutturazioni del debito fino alla nascita di meccanismi più articolati come la costituzione di organismi rappresentativi dei creditori con funzioni di supervisione e monitoraggio della gestione dell’impresa e con poteri decisionali sulle operazioni societarie più importanti, in grado perfino di cambiare il management se non lo ritenessero adeguato alla realizzazione del piano di risanamento. Pertanto le soluzioni stragiudiziali, non solo rispondevano agli interessi del ceto creditorio ma erano capaci di soddisfare le esigenze delle imprese debitrici, così da rendere il ruolo dell’imprenditore

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Boccuzzi G., Crisi d’impresa e attività bancaria: analisi del rapporto tra diritto fallimentare disciplina

32 non più marginale ma altresì risultare parte attiva e collaborativa; inoltre attraverso l’accordo le banche permettevano all’impresa di ottenere la dilazione nei termini di pagamento e l’erogazione di nuova finanza utile al rilancio dell’azienda.

La flessibilità operativa delle soluzioni stragiudiziali fece registrare ottime performance e ciò dipendeva dal fatto che esse non fossero vincolate ad un modello

standard e ad un sistema di regole chiuso e predefinito64.

Ciononostante gli aspetti positivi sopraccitati ponevano dei rischi e delle limitazioni alle soluzioni stragiudiziali dovute dall’assenza di regole trasparenti note in anticipo e dagli obblighi non espressi puntualmente.

In primis, non c’era nessuna conferma circa la realizzazione del piano di ristrutturazione: da un lato non c’erano vincoli espressi e dall’altro una pluralità di interessi all’interno del ceto creditorio faceva aumentare il rischio che il piano negoziato, nonostante sotto il profilo industriale e finanziario fosse valido, venisse compromesso a causa del comportamento dei singoli creditori. In secundis gli accordi stragiudiziali avevano il limite di non dare protezione alle controparti aderenti al piano, soprattutto quando lo stato di crisi era tale da condurre l’impresa al fallimento. Le conseguenze e i rischi quindi si riversavano proprio su quei soggetti che maggiormente credevano nel recupero dell’impresa.

A tutto ciò si sommava la mancanza di qualsiasi forma di tutela per la nuova finanza erogata in virtù del piano di risanamento, oltre a tutti i problemi gestionali e organizzativi che le banche si accollavano essendo responsabili del controllo o

addirittura dell’amministrazione dell’impresa in crisi.65

In questo scenario, il sistema bancario italiano intervenne esplicitamente e nel 2000 l’ABI – Associazione Bancaria Italiana - emanò un vero e proprio codice di autodisciplina sancendo il codice di comportamento delle banche e delle imprese. Al proprio interno venivano stabiliti dei principi volti a favorite la collaborazione tra banca e impresa in crisi. Il codice rappresentò la procedura che le banche dovevano adottare in vista delle riorganizzazione dell’impresa a seguito dell’accordo di ristrutturazione del

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Mazzei R., Spisni M., Valutazioni operative e scelte finanziarie nella definizione dei piani di

riorganizzazione dell’impresa, in Banche e risanamento dell’imprese, Egea, Milano 1995.

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debito66. In un quadro di collaborazione con l’imprenditore, la banca avrebbe potuto

concedere moratorie, erogare nuova finanza e scambiare informazioni per consentire di minimizzare il costo della crisi. Attraverso la sottoscrizione di un protocollo di intesa le banche si impegnavano ad accettare e rispettare il codice di comportamento, in esso venivano stabiliti i tempi, le modalità e gli obiettivi dell’azione di consultazione dell’imprenditore per la formulazione dei piani. Il codice era utile ad individuare in modo precoce le avvisaglie della crisi, le banche dunque erano in grado di attivare interventi correttivi al palesarsi delle prime manifestazioni. La procedura girava attorno al concetto che la banca era autorizzata ad aprire il processo di concertazione, d’altro canto l’impresa era consapevole di poter incontrare la collaborazione delle banche per raggiungere una soluzione concordata.

L’epilogo però del codice non fu positivo, l’accordo sottoscritto dalle banche non vedette mai applicazione, ciò fu da imputare al fatto che i rischi e i limiti degli accordi stragiudiziali rimasero e gli strumenti di tutela normativi non erano adeguati a proteggere gli accordi instaurati tra banca e impresa.

In questo quadro emergeva sempre più netta l’idea che fosse necessario un intervento da parte dell’ordinamento; lo stesso doveva offrire nuovi strumenti, nuove opportunità per l’impresa per risollevarsi da situazioni di crisi, ma non solo, incoraggiare l’iniziativa dell’imprenditore attraverso adeguati incentivi, sensibilizzare quest’ultimo a denunciare le situazioni di difficoltà e attivare in modo tempestivo tutti quegli interventi per il superamento della crisi.

Fondamentale era la predisposizione di un adeguato sistema giuridico che avesse lo scopo di far funzionare efficacemente i meccanismi stragiudiziali di risanamento. Nel nostro ordinamento giuridico ha un peso fondamentale l’autonomia negoziale, era quindi essenziale che tale principio venisse applicato anche nell’ambito della risoluzione della crisi, nel presupposto della trasparenza, nella correttezza dei comportamenti, la legge infine doveva definire i profili sanzionatori a tutela delle azioni fraudolente. In questo contesto normativo il ruolo del giudice doveva senza dubbio essere ridisegnato. La sua figura non doveva per forza di cose colpire tutti i principali momenti decisionali della gestione delle procedure e delle modalità di definizione della

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ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA, Codice di comportamento Banche –Imprese in crisi, giugno 2000, Circolare ABI Serie Legale n. 9/2000. Maimeri F., Sistemazioni stragiudiziali delle crisi e codice di

34 crisi, ma bensì garantire la regolarità dei processi e arbitrare eventuali conflitti che scaturiscono dallo svolgimento della controversa situazione di crisi. La dottrina ha delineato un quadro normativo organico, osservato le prassi negoziali consolidate tra banche e imprese in crisi con lo scopo di assicurare un adeguata tutela non esclusivamente agli atti e ai contratti ma bensì regolando i comportamenti delle controparti interessate a raggiungere gli obiettivi di risanamento.

La riforma della legge fallimentare ha consolidato la lunga esperienza degli accordi stragiudiziali sorti tra le banche e le imprese negli ultimi decenni. L’intervento ha avuto il fine ultimo di eliminare le rigidità e le inefficienze del precedente impianto fallimentare, ha ridisegnato un nuovo rapporto basato sul dialogo e sulla negoziazione tra impresa e banca, con la riforma si è voluto dare dignità agli accordi stragiudiziali, facendo emergere come obiettivo comune il risanamento e la valorizzazione dell’impresa. Sono stati inseriti nuovi e più strutturati istituti, che riconducono nuovamente al principio dell’autonomia negoziale nella risoluzione concordata della crisi. Anche l’istituto del fallimento ha sbiadito gli originari caratteri sanzionatori, per mutare in un mezzo capace di valorizzare le componenti vive dell’impresa, creare nuove forme di concordato e realizzare operazioni innovative.

Il ruolo degli istituti bancari nella gestione della crisi d’impresa è mutato con il nuovo ordinamento, sono aumentati gli strumenti da utilizzare per il risanamento e per la ristrutturazione aziendale, sono stati calibrati a seconda delle situazioni di gravità e rimodulati per i diversi contesti istituzionali, organizzativi e operativi dell’imprese. L’impianto normativo della riforma si fa spazio tra le fragili strutture finanziarie dell’imprese del nostro territorio e il sistema bancario che eroga nuova finanza; da qui la necessità di avere una normativa adeguata a realizzare un confronto costruttivo tra le controparti, in un ottica di tutela degli interessi degli agli stakeholders.

Il ruolo guida delle trattative con l’impresa è detenuto dalle banche come creditori principali di quest’ultimo, esse con l’imprenditore perfezionano i piani di risanamento, le ristrutturazioni e offrono se necessaria l’assistenza finanziaria utile per trovare una soluzione alla crisi. La disciplina delle crisi di impresa emersa dalla riforma, pone alle banche la veste di attore principale, dandogli maggiori responsabilità per il corretto ed efficace funzionamento dei nuovi istituti di risanamento e attenuando di molto l’effetto sanzionatorio che caratterizzava il precedente regime fallimentare.

35 L’aspetto innovativo della riforma consiste nell’aver introdotto nuovi strumenti di risoluzione stragiudiziale ispirati alle esperienze maturate dal sistema bancario nella progettazione e realizzazione dei piani interbancari di ristrutturazione del debito. Ispirati alla valorizzazione dell’autonomia privata nella negoziazione del piano di risanamento sono anche l’accordo di ristrutturazione dei debiti, caratterizzato da limitati momenti di controllo giudiziario, e il concordato preventivo, nel quale il controllo giudiziario è più

intenso.67

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