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UNA VISIONE DARWINISTICA DELLA VITA

II.3 Una nuova materia

Gli anni Sessanta rappresentano per Parise il momento di riflessione e di cambiamento. Per evitare di estinguersi come certi pesci deve abbandonare i libri giovanili e passare a una nuova narrativa. In una lettera a Giovanni Comisso del 12 giugno 1965 scrive:

L’arte dello scrittore, come tutte le arti, oggi, non è più richiesta in nessun senso: nemmeno dai pochi. È cioè qualcosa di inutile non dico alla società, ma perfino ai cuori dei pochi. Ciò che è utile oggi sono soltanto gli oggetti, una miriade, un caleidoscopio di oggetti toccabili e azionabili meccanicamente: tra di essi la parola, l’ineffabile strumento che ci ha dato la natura, è simile a una farfalla tra gli ingranaggi di una macchina elettronica. Essa vola comunque, ma l’occhio

138 Ivi, p. 1120. 139 Ivi, p. 1178. 140 Ivi, p. 1173.

87 dell’operatore meccanografico non si posa sulla farfalletta ma sulle cifre. Non posso tornare a Treviso, cosa farei? La realtà impoetica che ho sotto gli occhi è l’unica realtà vera, e non mi resta che rappresentare l’assenza di poesia da questa realtà141.

Nel 1962 nascono Arsenico e Descrizione di una farfalla, due esperimenti di scrittura che cercano di indagare i rapporti tra l’uomo e la realtà e tra questa e la parola. Parise ha da sempre dato grande importanza alla parola e alla comunicazione in generale, tanto che soprattutto le opere della maturità contengono dialoghi molto accesi e accompagnati da una forte gestualità. Nel 1965 scrive un racconto intitolato La

parola142, dove il protagonista è un marito separato, un tale M., che telefona alla moglie nella speranza che questa abbia il desiderio di rivederlo. Purtroppo lei non mostra l’entusiasmo tanto agognato dal marito e il dialogo tra i due precipita in una serie di incomprensioni e menzogne. L’uomo giunge alla conclusione che, per comunicare, la parola non sia necessaria e che anzi questa abbia la colpa di essere «la maggiore nemica proprio di quell’amore e di quei sentimenti»143 che lo legano alla moglie. Meglio allora esprimere i sentimenti con il silenzio «proprio come fanno gli animali che non sanno parlare»144.

Questo racconto sull’uso della parola preannuncia la grande novità dei Sillabari. Nel corso di questa tesi sono stati analizzati alcuni testi tratti dalle due raccolte, il

Sillabario n. 1 e il Sillabario n. 2, ma non è mai stato detto nulla riguardo alla loro

natura. Utilizzando una prosa narrativa breve, Parise riscopre i sentimenti fondamentali

141 G. PARISE, Lettere a Giovanni Comisso di Goffredo Parise, a cura di Luigi Urettini, Lugo, Edizioni Il Bradipo, 1995, p. 47.

142 È importante precisare come anche questo testo sia probabilmente ispirato a un evento reale della vita di Parise. In una lettera all’amica Gianna Polizzi dei primi mesi del 1965 scrive: «Ho parlato con Mariola al telefono a Milano, è molto triste e la voce le trema quando parla con me» (G. PARISE, «Mia cara

Gianna, / la tua lettera non è affatto sconclusionata, ma intelligentissima e soprattutto dolorosa», Roma,

4 febbraio 1965. È conservata presso l’Archivio Parise di Ponte di Piave, documento C. 33c).

143 G. PARISE, La parola, in «L’illustrazione del medico», ottobre 1968, ora in ID., Opere, vol. I, cit., p. 1355. Una versione precedente del racconto La parola era stata pubblicata nell’aprile 1965 in «Bellezza» con titolo Il tranello delle parole (si veda M. PORTELLO, Notizie sui testi, in G. PARISE, Opere, vol. I, cit., p. 1617).

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della vita di ogni persona, come l’amore, l’affetto, la tenerezza e la bontà. I contenuti e la forma sono elementari e “ricalcano” i libri per bambini che si limitano sempre all’essenzialità. Queste sono le parole con cui lo scrittore esprime la ragione della scelta di scrivere i Sillabari:

Un giorno, nella piazza sotto casa, su una panchina, vedo un bambino con un sillabario. Sbircio e leggo: l’erba è verde. Mi parve una frase molto bella e poetica nella sua semplicità ma anche nella sua logica. C’era la vita in quell’erba è verde, l’essenzialità della vita e anche della poesia. […] poiché vedevo intorno a me molti adulti ridotti a bambini, pensai che avevano scordato che l’erba è verde, che i sentimenti dell’uomo sono eterni e che le ideologie passano. Gli uomini d’oggi secondo me hanno più bisogno di sentimenti che di ideologie. Ecco la ragione intima del sillabario145.

Per poter scrivere questi racconti Parise deve depurare la parola:

scrivere con parole molto semplici ed elementari; essere sinceri; scrivere solo quando si ama molto non soltanto le cose che si scrivono ma, soprattutto, coloro che leggeranno; non usare mai “paroloni”. La parola «strumentalizzato» e altre del genere (ce ne sono moltissime), meglio lasciarle ai politici […]: il lettore sente subito che chi scrive vuole fare il furbo, vuol fare il professore […]; scrivere cose che il lettore vorrebbe aver scritto lui; scrivere cose che toccano i sentimenti degli uomini ma in maniera che non siano troppo sentimentali146.

Quelle che riempiono i racconti dei Sillabari sono quindi parole svuotate di tutti i significati predeterminati e convenzionali del linguaggio quotidiano e dotate di una vita e di un fascino nuovi.

Ancora una volta mettendo insieme la propria esperienza autobiografica, il breve matrimonio tra lo scrittore e Mariola, con la biologia evolutiva, nel 1962 Parise inizia a scrivere Descrizione di una farfalla147, che a oggi rimane un frammento mai concluso

145 F. SALA, Sillabario dei sentimenti, in «Il Gazzettino», Venezia, 31 ottobre 1972, p. 3. È una recensione-intervista a Parise, consultabile presso l’Archivio Parise di Ponte di Piave, documento A. 601. 146 C. ALTAROCCA, Parise, cit., p. 10.

147 In realtà la datazione resta incerta. Nella Prefazione alla prima edizione l’autore dichiara di aver iniziato a scrivere l’abbozzo nella primavera del 1959 o del 1960, invece nella seconda edizione del 1986 Parise sostiene che l’inizio della prima stesura risale alla primavera del 1962. La prima edizione viene pubblicata su «L’Approdo Letterario» nel dicembre 1967 (nuova serie, XXIII, 79-80, pp. 84-95), mentre nel giugno del 1986 viene riproposto, in una versione ridotta, in «La Tartaruga» (2, pp. 9-19). Ora si trova in G. PARISE, Opere, vol. II, cit., pp. 517-534.

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perché a un certo punto l’ispirazione viene a mancare148. Parise nella Prefazione alla prima edizione scrive che «queste poche pagine sono l’inizio, il primo abbozzo di un romanzo o dell’idea di un romanzo sul matrimonio»149; e nella lettera all’editore Valentino Bompiani del 28 luglio 1963 Parise dichiara che il nuovo libro «è in linea di massima un diario coniugale, scritto con occhi di un naturalista»150. Questo frammento infatti mette insieme due componenti molto importanti che ritorneranno quasi sempre, in modo più o meno marcato, nelle opere dagli anni Sessanta in poi. Si tratta da un lato della tendenza di Parise a rappresentare la donna come un essere vivente in cui convivono la natura e la convenzione, e dall’altro della volontà di studiare e descrivere i rapporti tra uomo e donna come avrebbe fatto Darwin, indagando come un naturalista. Natura e convenzione sembrano due categorie che difficilmente possono trovare sede in uno stesso individuo, invece nella donna questa convivenza risulta possibile. Così l’esperienza della vita privata dello scrittore e certe considerazioni che matura leggendo Darwin lo portano alla creazione di figure femminili e di certe coppie uomo-donna in cui si riscontra una componente di misoginia dell’autore.

Descrizione di una farfalla si apre con le parole del protagonista maschile che

dichiara di aver sposato Silvia spinto da un desiderio violento di lei e dalla gelosia che ha provato mentre la fidanzata si trovava in villeggiatura. La prima immagine del futuro marito di Silvia mette in luce la capacità della donna di legare a sé l’uomo. Qualche riga dopo il protagonista ripercorre gli anni del fidanzamento descrivendoli come «un

148 Nella lettera a Valentino Bompiani del 28 luglio 1963 Parise scrive: «Ma titolo, libro, tutto dipendono dalla mia voglia di lavorare. […] Ma, ancora, non so niente. Perché non so niente? Perché, caro Bompiani, purtroppo io credo nell’ispirazione. E questa ispirazione va e viene, non ha quello slancio, quell’impetuosità, quella forza che, come già le dissi mi portò a scrivere un romanzo in un massimo di tre mesi» (G. PARISE, «Caro Bompiani, / ricevo la sua lettera del 23 luglio e la ringrazio […]», Roma, 28 luglio 1963, lettera conservata presso l’Archivio Parise di Ponte di Piave, documento C. 7).

149 La Prefazione a Descrizione di una farfalla si trova nella prima edizione pubblicata, come riportato nella nota precedente, su «L’Approdo Letterario». Questa citazione è ripresa dalle Notizie sui testi, a cura di Mauro Portello in G. PARISE, Opere, vol. II, cit., p. 1645.

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bagaglio di banalità»151 che era trionfato nel matrimonio. Quello che per l’uomo è solo una convenzione borghese, un cumulo di banalità, per ogni donna, e per Silvia in particolare che lo amava, era «il più bel regalo che potesse avere dalla vita»152, «una vittoria e questo sentimento, antico e oscuro, scintillava nei suoi occhi»153. Per cercare una via di fuga dalla realtà matrimoniale, il marito, crea intorno a questa «una cornice di naturalezza artificiale, come per ritornare bambino»154 e cerca di «trasformare la realtà fantasticamente, creando intorno ad essa qualche cosa di irreale»155. Tuttavia, appena entra nella stanza dell’albergo per consumare la prima notte di nozze, si accorge che quello non era un gioco, ma un rito al quale per un attimo vede partecipare anche parenti, amici e la madre di Silvia, «tutti assiepati intorno al letto»156. I giorni si sarebbero ripetuti tutti uguali, avrebbero dormito per sempre nello stesso letto, si sarebbero svegliati e addormenti per sempre insieme. Il protagonista si chiede allora dove trovassero sede «il bello e il poetico»157 nell’unione tra uomo e donna, quelli che lui, con emozione, ricordava scolpiti nell’immagine coniugale del sarcofago degli sposi etruschi. Giunge alla conclusione che forse quei volti dolci, sereni, contemplativi e quei corpi abbandonati l’uno all’altra, erano tali solo perché morti («O in vita essi non contemplavano un bel niente e solo la morte ha permesso a quell’ignoto artista di creare in quei volti una contemplazione altrimenti inesistente?»158).

Per quanto riguarda la madre di Silvia, vale la pena soffermarsi per un attimo sulla sua descrizione. Questa donna, la cui presenza è percepita dal protagonista maschile come assolutamente negativa, è «la rappresentante e concessionaria esclusiva per il

151 G. PARISE, Descrizione di una farfalla, in ID., Opere, vol. II, cit., p. 517. 152 Ibidem. 153 Ivi, p. 518. 154 Ibidem. 155 Ibidem. 156 Ibidem. 157 Ivi, p. 523. 158 Ibidem.

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mondo intero della volgarità femminile»159: fuma come una turca stringendo la sigaretta tra le labbra cariche di rossetto, ha un volto dalla struttura squadrata che assomiglia più a quello di un uomo che di una donna, i capelli descritti come setolosi, duri e grossi ricordano una scopa, la sua voce non ha nulla della grazia femminile e, per finire, ha una gobba che la porta a curvarsi in avanti talmente tanto da far pensare a lei come ad una donna «protesa istologicamente verso un futuro fatto di denaro, di cazzo e di cose»160. Questa è una delle numerose figure femminili che Parise descrive con tratti tutti negativi per metterne in luce l’assoluta volgarità, senza lasciar spazio ad alcun elemento positivo.

A un certo punto il protagonista si rende conto, dopo tre anni di fidanzamento e il matrimonio, di non conoscere affatto Silvia. Parise fa assumere al marito i panni del naturalista darwiniano.

Sono ben lontano […] dal conoscerla anche solo un poco, ma un po’ come fa il naturalista osservando pazientemente, giorno per giorno, la vita delle piante e degli insetti così ho deciso di fare io con mia moglie. Voglio vedere fino a che punto arriverò; mi sono intestardito di conoscerla se non interamente almeno quanto basta per prevedere gli atti più elementari della sua vita161.

Il marito incomincia a osservare la moglie. Quando al risveglio prepara il caffè, dimentica sempre la macchinetta sul fuoco e, puntualmente, l’odore del caffè bruciato arriva alla camera da letto; il marito prova e riprova a dirle di prestare maggiore attenzione, ma il fatto del caffè continua a ripetersi ogni volta. Altre due cose che Silvia proprio non riesce a fare nonostante i continui ammonimenti del marito sono chiudere le porte dietro di sé e imparare a non sbatterle qualora per caso le avesse chiuse. Il marito comprende che quelle abitudini sono le sue e non quelle di Silvia; lei resiste a tutto quello che turba le sue abitudini personali e i propri gusti, gusti che però l’uomo fatica a

159 Ivi, p. 519.

160 Ibidem. 161 Ivi, p. 526.

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comprendere quali siano. La moglie è infatti incapace di scegliere tra un bagno verde e uno rosa, così come non riesce a preferire un cibo a un altro (bistecca, carne o pesce?) e finisce per compiere delle scelte anonime senza un apparente criterio. Il marito alla fine dice di essere irritato e allo stesso tempo incuriosito dal «modo di essere, semplice e diretto, verso la vita e la realtà»162 della moglie. La donna che emerge da queste righe è senza abitudini, imprevedibile, misteriosa, istintuale e chiusa. Nel loro rapporto «non c’è niente di quieto, di tranquillo, di convenzionale o di “classico”»163 e i dialoghi che si leggono lo mettono in risalto evidenziando che la comunicazione all’interno del matrimonio non funziona, perché Silvia non è capace di ascoltare l’uomo e comprendere il significato delle sue parole.