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Considerazioni generali

L’analisi della comunità microfitoplanctonica nel corso del presente studio ha evidenziato variazioni nella biodiversità, sia in termini di numero di taxa sia in termini di composizione floristica.

Risulta evidente come dall’inizio del data set fino al 2001, il numero di taxa rilevati si mantenga abbastanza costante dal minimo del 1999 al massimo del 1996 mentre si osserva un netto incremento dal 2002 al 2004; nel 2005 la ricchezza specifica è nuovamente diminuita verso valori tipici del periodo 1986-2001.

Purtroppo le relazioni tra biodiversità ed ecosistema pur essendo molto studiate non sono comunque ancora ben note in ambiente acquatico, e diversi autori sono giunti a conclusioni contrastanti. Jeppesen et al. (2000) in uno studio effettuato nei laghi danesi hanno trovato una correlazione positiva tra la ricchezza specifica e le concentrazioni di fosforo totale, ipotizzando che un aumento della biodiversità possa essere legato ad un aumento della disponibilità di nutrienti mentre altri autori asseriscono che alti valori di biodiversità in un sistema acquatico sono raggiunti quando molte risorse sono limitanti (Interlandi & Kilhal, 2001 e citazioni ivi comprese)

In questo studio appare evidente come il microfitoplancton, in termini di ricchezza specifica, non subisca cambiamenti rilevanti sebbene la comunità vada incontro a importanti modificazioni (vedi paragrafo precedente) condizionati soprattutto da una variazione dello stato trofico del sistema (Fonda Umani et al., 2004; Paoli et al., 2006).

Se per quel che riguarda le variazioni interannuali della comunità microfitoplanctonica, è quindi possibile trarre conclusioni che ben si adattano al quadro generale di cambiamenti ambientali in corso nel golfo di Trieste, non si possono fare le stesse considerazioni sulla biodiversità (qui intesa come ricchezza specifica). Infatti, è molto probabile che il metodo adottato per la maggior parte dei conteggi effettuati abbia sicuramente permesso di evidenziare la struttura portante della comunità microfitoplanctonica della quota campionata, ma di certo non è sufficiente a dare buone indicazioni per la stima della biodiversità. Infatti, ampliando il campo di osservazione è stato possibile rilevare un maggior numero di taxa, in particolare quelli che probabilmente non sono stati osservati a causa della loro rarità o della loro presenza sporadica nella comunità.

Nuove segnalazioni

Considerando invece le nuova segnalazione intercorse durante i 20 anni, il fatto che quasi il 40% di questi taxa sia stato segnalato una sola volta indica con molta probabilità che sono o così rari e sporadici da non permetterne una costante iscrizione alle liste floristiche o sono di difficile determinazione. Quindi i taxa in esame sono probabilmente sempre presenti nella comunità ma la loro osservazione risulta saltuaria a causa della loro rarità o difficoltà di determinazione.

Questi problemi legati alla componente microfitoplanctonica sono già stati discussi da altri autori (Wyatt & Carlton, 2002) che hanno sintetizzato il problema delle nuove segnalazioni di microalghe in tre punti focali (come già discusso nell’introduzione):

- specie fitoplanctoniche introdotte in tempi remoti e ad oggi considerate autoctone; - molte comunità microfitoplanctoniche difficili da invadere;

- molte invasioni fitoplanctoniche recenti semplicemente trascurate sia perchè generalmente considerate cosmopolite sia per la difficoltà nella determinazione tassonomica

Pochi sono i dati inerenti la distribuzione delle specie microfitoplanctoniche (Smayda, 2007), che per la maggior parte sono definite come “cosmopolite” e per le quali non esistono pubblicazioni che ne descrivano la biogeografia. Solo in alcuni casi le specie possono essere distinte come tipiche di specifiche zone del pianeta: tropicali, temperate, artiche e antartiche (Tomas, 1997). Generalmente, è dato per certo che i microrganismi non hanno una loro biogeografia e hanno anzi una distribuzione globale, tanto da non poterli definire come “invasori” di un dato ambiente (Drake et al., 2007)

Per il mare Adriatico, per esempio, è stata reperita un’unica lista floristica disponibile in letteratura, stilata da Viličić et al. nel 2002. Altre liste disponibili sono alquanto frammentarie e sicuramente non complete, considerati i pochi taxa in esse ascritti (Voltolina, 1969, 1970,1971 a e b; Fonda Umani et al., 1989 e citazioni ivi comprese).

Tutte queste motivazioni inducono a pensare che le nuove segnalazioni registrate nel corso di questo lavoro non possano essere chiamate “nuove introduzioni” in quanto la loro origine alloctona dovrebbe essere comprovata con tecniche di biologia molecolare per valutare la somiglianza tra popolazioni locali e popolazioni di altre zone, come è stato fatto nel caso di alcune Dinophyceae introdotte lungo le coste Australiane (Bolch & de Salas, 2007).

Anche le variazioni nel numero di nuove segnalazioni per anno sono molto probabilmente imputabili al miglioramento delle tecniche riconoscitive piuttosto che ad un vero e proprio cambiamento nella comunità stessa.

Si può comunque ipotizzare che gli incrementi graduali registrati nelle nuove segnalazioni per anno, soprattutto a carico delle Bacillariophyceae, avvenuti tra il 1990 e il 1996 e tra il 1997 e il 2001 (in entrambe i periodi il metodo di conteggio è stato lo stesso) possano essere

una sorta di risposta della comunità microfitoplanctonica ad una qualche modificazione dell’ambiente circostante. A supporto di tale ipotesi, si evidenzia come alcune delle specie segnalate per la prima volta in quei periodi, siano poi divenute piuttosto frequenti negli anni seguenti (vedi allegato I), ad esempio:Leptocylindrus mediterraneus (1990), Lauderia annulata (1991) (che negli anni seguenti è stata anche responsabile di alcuni bloom), Eucampia cornuta (1992), Leptocylindrus minimus (1996), Chaetoceros anastomosans (1998) (che ha prodotto un bloom nell’agosto del 2003), Hemiaulus sinensis (2001).

Per quanto concerne invece le specie segnalate, anche alcune di esse si sono ben integrate nella comunità autoctona ed oramai vengono osservate abbastanza frequentemente nelle analisi routinarie di monitoraggio, ad esempio Achantoica quattrospina, Anoplosolenia brasiliensis, Meringosphaera mediterranea, Ophiaster hydroideus e Rhabdosphaera

clavigera. Di queste solo Ophiaster hydroideus non è presente nella check list di Viličić et al.

(2002). Invece Meringosphaera mediterranea è segnalata come specie rilevata da Revelante (1985) e mai più osservata nella parte settentrionale del mare Adriatico orientale.

Alcune specie, recentemente segnalate, sono state oggetto di studio da parte di altri ricercatori; in particolare, alcune di quelle rilevate tra il 2003 e il 2005, sono specie molto particolari e nessuna di queste è stata segnalata da Viličić et al. (2002).

Le due Dinophyceae osservate nel 2003 (Virgilio et al., 2005) , Centrodinium sp., osservata soltanto nella parte meridionale dell’Adriatico (Viličić et al., 2002), e Ceratoperidinium cfr. yeye, già segnalata nella parte sud occidentale del Mediterraneo e lungo le coste libanesi ( Gòmez, 2003; Gòmez & Abboud-Abi Saab, 2003) sono descritte come specie tipiche di acque temperato-calde (Gòmez & Abboud-Abi Saab, 2003). Nei successivi due anni non sono più ricomparse. Si può ipotizzare che le due specie siano comparse in concomitanza ad un anno particolarmente caldo e poco piovoso quale è stato il 2003.

Pseudo-nitszchia multistriata (Bacillariophyceae) è una specie che è stata segnalata in tempi recenti anche in altre zone nel mare Tirreno meridionale (Orsini et al., 2002) ed in Giappone e Nuova Zelanda (Rhodes et al., 2000 e citazioni ivi comprese), la sua distribuzione biogeografica pertanto non è assolutamente omogenea, e si può ipotizzare una sua recente introduzione in Mediterraneo. La specie è generalmente associata ad acque con salinità non inferiore a 20 (Thessen et al., 2005).

Dinophysis norvegica è invece una specie che può provocare fenomeni di fioritura, come già osservato in diverse zone (Dodge, 1977; Subba Rao & Pan, 1993); quella riportata nel presente lavoro è la prima segnalazione di questa specie nel mare Adriatico.

Da quanto fin qui discusso appare evidente che esista una reale necessità di approfondire il tema dell’introduzione delle specie microalgali in ambiente marino costiero, approntando protocolli utili a definire al meglio la comunità, intesa come struttura composta da molte diverse forme (specie) che si alternano e che si adattano alle continue modificazione del

4. PARTE SECONDA:

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