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Nuovi target terapeutici nel PDAC: la lattato deidrogenasi

La lattato deidrogenasi (LDH) è un enzima appartenente alla famiglia delle ossidoriduttasi, presente in quasi tutti i tessuti animali, nei microrganismi, nei lieviti e nelle piante, che catalizza in modo reversibile la reazione di ossidoriduzione tra piruvato e lattato utilizzando come cofattore la nicotinammide adenin-dinucleotide (NADH) [Jacobs et al, 2013; Lemire et al, 2008]. Nell’uomo LDH si trova sottoforma di molecola tetramerica composta da quattro catene polipeptidiche di due tipi, chiamate A o M (da “muscle”, muscolo) e B o H (da “heart”, cuore), le quali si combinano tra loro in cinque modi differenti, dando origine a cinque diversi isoenzimi: LDH-A (M4) e LDH-B (H4) nella forma omotetramerica, LDH-2 (M1H3), LDH-3 (M2H2) e LDH-4 (M3H1), nella forma eterotetramerica. Queste cinque isoforme, benché possiedano una struttura molto simile, presentano differenze sostanziali a livello di distribuzione, cinetica enzimatica e regolazione. La LDH-A e la LDH-4, sono maggiormente espresse in tessuti che possono essere soggetti a condizioni di anaerobiosi, come i muscoli scheletrici, il fegato e i tessuti neoplastici; la LDH-B e la LDH-2, sono distribuite

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principalmente in tessuti con un elevato metabolismo aerobico, come il cuore, la milza, i reni e il cervello; la LDH-3, con caratteristiche intermedie fra le altre isoforme, si ritrova soprattutto nei tessuti linfatici o in alcuni tessuti tumorali maligni [Brooks et al, 1999; Granchi et al, 2011 a, b, c]. In base al tipo di isoforma, cambia anche la distribuzione all’interno della cellula: nel cuore, ad esempio, la LDH-B è concentrata all’interno del mitocondrio; nel muscolo la LDH-A è presente in ugual misura sia nella matrice mitocondriale che nel citoplasma, mentre nel fegato la stessa LDH-A è più abbondante all’interno del mitocondrio. Queste differenze sembrano dovute alla diversa affinità che le isoforme hanno nei confronti del substrato. Le isoforme composte prevalentemente da subunità M hanno un’affinità maggiore per il piruvato e tendono perciò a catalizzare la riduzione del piruvato in lattato nel citosol della cellula, mentre le isoforme costituite per la maggior parte da monomeri H sono più efficienti nell’ossidare il lattato, trasportato nello spazio intermembrana mitocondriale, a piruvato, il quale entra poi nel mitocondrio e partecipa al ciclo di Krebs [Bittar et al, 1996; Le et al, 2010]. Ciò conferma la teoria di Kaplan secondo cui LDH-A è favorito soprattutto in tessuti con un basso livello di ossigenazione [Kaplan et al, 1960]. Studi successivi hanno ulteriormente dimostrato che l’isoforma LDH-A dell’enzima è associata alla sopravvivenza delle cellule tumorali in condizioni di ipossia ed è sovra-espressa in molti tipi di cancro metastatico [Goldman et al, 1964; Koukourakis et al, 2005] tra cui il carcinoma pancreatico duttale (Figura 18) [Haas et al, 2013]. Se infatti le normali cellule del dotto pancreatico non richiedano l’attività di tale enzima nelle condizioni fisiologiche in cui si trovano, le cellule divenute neoplastiche contano invece elevati livelli di LDH-A, il quale permette di ottenere una grande quantità di lattato e un continuo rinnovamento del processo a scopo energetico; le condizioni di scarsa ossigenazione in cui si trova il tessuto tumorale infatti, non solo favoriscono la sovra-espressione dell’enzima sia a livello di proteine che di mRNA, ma incrementano anche la sua attività [Metallo et al, 2011]. Per questo motivo LDH-A è stato ritenuto un interessante bersaglio per combattere l’insorgenza e la

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crescita del tumore tramite una modulazione del metabolismo energetico tumorale.

Figura 18: espressione di LDH-A nel tessuto pancreatico normale e neoplastico. A:

espressione membranosa. B: espressione nucleare e citoplasmatica. C: forte espressione in cisti pancreatiche e mite espressione nel tessuto pancreatico normale circostante. D: espressione nucleare nel cancro pancreatico. E: notevole espressione nelle PanIN, neoplasie intraepiteliali pancreatiche precorritrici del PDAC. F: espressione negativa nel normale tessuto del pancreas [Mohammad et al, 2016].

Recenti studi hanno infatti rivelato che la riduzione dell’isoforma enzimatica ad opera di shRNA stimola la fosforilazione ossidativa mitocondriale, provoca una diminuzione della proliferazione cellulare e migliora la chemio-sensibilità [Zhou et al, 2010; Metallo et al, 2011; Zhou et al, 2011]. Questa scoperta ha suggerito che l’inibizione dell’LDH-A potesse essere una nuova e promettente strategia antitumorale; inoltre il fatto che una mancanza ereditaria di LDH-A non provochi

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alcun sintomo nell’uomo in condizioni ordinarie, ha confermato che l’inibizione enzimatica è una strategia sicura e non tossica [Kanno et al, 1988] che non influisce minimamente sul bilancio energetico dei tessuti normali [Manerba et al, 2012]. Un noto inibitore di LDH è l’ossamato (Figura 19), il quale compete con il piruvato per il legame al sito attivo dell’enzima [Papacostantinou e Colowick, 1961]. Impedendo la conversione del piruvato a lattato, l’ossamato provoca un innalzamento del pH cellulare e un passaggio dell’ambiente tumorale da condizioni di acidosi a condizioni sempre più basiche, sfavorevoli alla sopravvivenza delle cellule cancerose. Inoltre questo blocco enzimatico dirige i processi metabolici tumorali verso la respirazione mitocondriale portando ad un aumento della produzione di radicali liberi dell’ossigeno, i quali provocano danni ai mitocondri e stress ossidativo in tutta la cellula [Fantin et al, 2006]; a questo punto le richieste energetiche delle cellule diventano sempre più alte e non riuscendo ad adattarsi in modo efficiente ai disordini metabolici, vanno incontro a morte [Jin et al, 2007].

O

OH

O H2N

Figura 19: struttura molecolare dell’acido ossamico.

1.3.1 I trasportatori del glucosio e GLUT-1

Per essere metabolizzato ed esplicare così la propria funzione di fonte di energia, il glucosio deve essere assorbito all’interno della cellula [Hatanaka, 1974]; tuttavia la sua natura idrofila non gli permette di attraversare la membrana plasmatica senza

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l’aiuto di specifiche proteine trasportatrici. Sono due le famiglie di carriers che rivestono questo ruolo: i GLUT, proteine di trasporto facilitato del glucosio, e i SGLT, cotrasportatori del simporto attivo sodio-glucosio [Thorens e Mueckler, 2010; Joost e Thorens, 2001; Uldry e Thorens, 2004]. Le cellule tumorali, al fine di raggiungere un tasso glicolitico 30 volte maggiore del normale, attuano una sovra- espressione dei trasportatori di membrana del glucosio richiamando cosi grandi quantità dello zucchero all’interno della cellula. Questa osservazione può essere confermata perché si trova alla base della diagnostica tramite tomografia ad emissione di positroni con fluoro-deossiglucosio (FDG-PET): al 2-deossiglucosio (2DG), un analogo non metabolizzabile del glucosio, viene legato il radioisotopo fluoro-18, in grado di emettere positroni rilevabili dalla PET; una volta iniettata per via intravenosa nel paziente, questa molecola va a concentrarsi preferenzialmente nel tessuto tumorale, permettendone cosi l’individuazione. A livello molecolare, FDG entra nelle cellule attraverso trasportatori del glucosio e li viene fosforilato da specifiche esochinasi che lo trasformano in FDG-6fosfato, il quale non potendo essere ulteriormente metabolizzato da nessuna via metabolica, si accumula all’interno della cellula. Così, quanti più trasportatori del glucosio e di enzimi esochinasici riescono ad esprimere le cellule tumorali, tanto più alti saranno i livelli di FDG che possono assorbire; inoltre alte concentrazioni intracellulari di glucosio, rilevabili mediante FDG-PET, sono spesso associate ad un tumore più agressivo ed avanzato [Riedl et al, 2007]. I trasportatori che normalmente le cellule neoplastiche sovra-esprimono sono i GLUT, una famiglia di proteine trans- membranali composta da 13 membri, i quali permettono la diffusione facilitata del glucosio facendolo entrare all’interno della cellula in modo passivo, senza consumo di energia e secondo gradiente di concentrazione [Macheda et al, 2005; Cornford et al, 1994]. I GLUT, nonostante vengano espressi in molti tessuti differenti ed esibiscano diversa specificità per i substrati, mostrano un alto grado di omologia e condividono caratteristiche comuni, tanto da poter essere dividisi in tre classi, le quali differiscono l’una dall’altra per la posizione del loop della porzione

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extracellulare: le proteine di classe I e II possiedono questo sito di legame tra il primo e secondo dominio trans-membrana, mentre quelle di classe III tra il nono e il decimo (Figura 20) [Joost e Thorens, 2001].

Legenda

Figura 20: modelli dimensionali della struttura dei GLUT di classe I e II, a sinistra, e

dei GLUT di classe III, a destra.

I trasportatori di classe I, che includono GLUT-1, GLUT-2, GLUT-3 e GLUT-4, sono stati i primi ad essere studiati e meglio caratterizzati; la classe II comprende invece GLUT-5, GLUT-7, GLUT-9 e GLUT-11, i quali sono accomunati dalla stessa abilità di trasportare il fruttosio; i restanti trasportatori, GLUT-6, GLUT-8, GLUT-10, GLUT-12

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e GLUT-13, appartengono infine alla classe III, l’ultima ad essere stata scoperta e di cui si conosce ancora poco.

Tra tutti questi carriers, degno di nota è il GLUT1: esso è il responsabile della diffusione basale di glucosio, per il quale possiede alta affinità, ed è normalmente espresso in tutti i tessuti dell’organismo [Uldry et al, 2002]. Recenti ricerche hanno documentato alti livelli di espressione di tale proteina in vari tessuti tumorali, tra cui quello pancreatico (Figura 21), suggerendo così un suo importante coinvolgimento nel massiccio assorbimento cellulare di glucosio tipico del cancro [Ganapathy et al, 2009; Macheda et al, 2005; Godoy et al, 2006].

Tessuto pancreatico normale Tessuto pancreatico tumorale

Figura 21: colorazione immunoistochimica di GLUT-1. L’immagine in basso a destra

mostra una sovra-espressione del trasportatore rispetto alle condizioni fisiologiche visibili nell’immagini in basso a sinistra [Lu et al, 2016].

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La marcata presenza di GLUT1 nelle cellule neoplastiche pancreatiche sembra derivare anche da un altro meccanismo adattativo: le condizioni altamente ipossiche in cui si trova il tumore del pancreas, attivano HIF-1α, fattore che regola la trascrizione genica e promuove l’espressione di quei geni che possiedano nei propri promotori elementi di risposta all’ipossia, tra cui proprio GLUT1 [Semenza, 2003; Obache et al, 2004]. Per di più, un’incrementata espressione di GLUT1 ha dimostrato, sia in vitro che in vivo, di essere associata ad una crescita della massa tumorale, allo sviluppo di metastasi linfonodali e ad una maggiore invasività del carcinoma pancreatico [Ito et al, 2004] ed è stata etichettata come segnale di prognosi infausta e scarsa sopravvivenza (Figura 22) [Sung et al, 2010], confermando che la sovra-espressione del suddetto trasportatore risulta direttamente proporzionale alle avverse caratteristiche clinico-patologiche dei pazienti [Kai et al, 2016].

Figura 22: curve di sopravvivenza di Kaplan-Meier che confrontano l’espressione di

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che mostrano una maggiore espressione di GLUT-1 è significativamente più breve di quello dei pazienti con minor espressione del trasportatore (P = 0,001) [Lu et al, 2016].

Ciò rende questa proteina trans-membrana un ottimo bersaglio di attacco per la terapia del tumore: inibendo la sua funzione si limita l’entrata del glucosio e il suo metabolismo, provocando un abbattimento del potenziale proliferativo delle cellule tumorali maligne [Macheda et al, 2005]. Questa teoria è stata maturata recentemente in seguito all’evidenza che lo stress metabolico derivante dall’inibizione della captazione di glucosio, porta all’attivazione della chinasi LKB1- AMP (AMPK), una sorta di sensore energetico che supervisiona il ciclo metabolico cellulare modulando vari punti di controllo e in condizione di disordine energetico e genomico, risponde portando ad un blocco della crescita cellulare e dell’angiogenesi, e all’induzione dell’apoptosi [Sanli et al, 2010; Storozhuk et al, 2012; Storozhuk et al, 2013]; numerose indagini di laboratorio hanno infatti mostrato che AMPK attiva il fattore di trascrizione P53, soppressore dei tumori [Hardie e Ashford, 2014]. Questa nuova stretegia terapeutica si sta sviluppando in ambiente clinico e ha permesso di ottenere risultati usando come inibitore di GLUT1 il flavonoide apigenina (Figura 23), il quale, diminuendo l’espressione del trasportatore sia a livello proteico che a livello di mRNA, ha dimostrato di bloccare la proliferazione delle cellule tumorali pancreatiche [Melstrom et al, 2008].

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Figura 23: struttura molecolare dell’apigenina.

Recentemente anche la curcumina, principale polifenolo della curcuma, si è rivelata un inibitore non competitvo di GLUT1 e ha dimostrato di bloccare il trasportatore in modo immediato, reversibile e dose dipendente, ridecendo la velocità massima di assorbimento del 2DG (Figura 24) [Plaisier et al, 2011; Salie et al, 2012]. Gli stessi risultati sono stati visti successivamente anche con la caffeina [Sage et al, 2015].

Figura 24: effetto dose dipendente della curcumina. L’assorbimento di 2DG è stato

misurato alle concentrazioni di curcumina che variano da 25 a 200 mM [Gunnink et al, 2016].

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Numerose altre piccole molecole inibitrici di GLUT1 sono state descritte in letteratura, tra cui resveratrolo, naringenina, l’amminoacido fenilalanina, tiazolidindione, floretina, pirazolo pirimidine e salicilchetossime [Salas et al, 2013; Martin et al, 2003; Wang et al, 2012; Siebeneicher et al, 2016; Granchi et al, 2015].

1.3.2 Le Sirtuine e SIRT-1

Le sirtuine sono una famiglia di enzimi appartenenti agli istoni deacetilasi di classe III, che hanno la funzione di deacetilare le lisine proteiche in modo NAD (nicotinammide adenin-dinucleotide) dipendente. Furono identificate per la prima volta nel lievito Saccharomyces Cerevisiae a partire dalla scoperta della proteina Sir2 (silent information regulator) come fattore partecipante alla riparazione dei punti di rottura della doppia elica di DNA [Tsukamoto et al, 1997]; complessi di Sir2 furono successivamente trovati accumulati nelle regioni telomeriche dei cromosomi dove contribuivano alla creazione dell’eterocromatina silente e al mantenimento dei telomeri [Mills et al, 1999]. Queste attività, associate alla restrizione calorica da esse indotta, si dimostrarono essenziali per la stabilità genomica e l’estensione del periodo di vita del microrganismo. Per assodare le scoperte fatte, Sir2 è stato esportato in ceppi privi del gene [Li net al, 2000] e negli organismi eucarioti le funzioni di controllo dell’integrità genica esplicate dagli ortologhi del Sir2 si sono rivelate uguali a quelle svolte nel lievito; inoltre in Caenorhabditis elegans e in Drosophila, l’aumento del dosaggio dell’ortologo Sirt2.1 e la sua sovra-espressione, ha prolungato la vita degli organismi, mentre la diminuzione della sua espressione ha portato alla situazione opposta, ovvero al blocco dell’effetto di allungamento di vita indotto dalla restrizione calorica [Tissenbaum e Guarente, 2001; Rogina e Helfand, 2004]. Successivi studi biochimici hanno poi dimostrato che Sir2 è una deacetilasi NAD-dipendente che regola l’acetilazione degli istoni della cromatina e questa connessione tra metabolismo e invecchiamento ha suscitato grande interesse per questa classe di enzimi [Imai et

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al, 2000]. Nei mammiferi sono presenti sette diverse isoforme di sirtuine (da SIRT1 a SIRT7) le quali hanno una grandezza che varia da 40 a 100 kDa e condividono il dominio catalitico di circa 300 amminoacidi e il dominio di legame al NAD, i quali rimangono conservati, mentre possiedono diverse estensioni delle catene N- terminale e C-terminale; anche la localizzazione all’interno della cellula dipende dall’isoforma enzimatica: SIRT1, SIRT6, SIRT7 si trovano maggiormente nel nucleo, SIRT2 nel citoplasma e SIRT3, SIRT4 e SIRT5 sono invece sirtuine mitocondriali [Saunders e Verdin, 2007]. Le sirtuine possiedono una doppia attività: quella di deacetilazione proteica [Vaziri et al, 2001] e quella mono-ADP-ribosiltransferasica, attraverso la quale la porzione di NAD+ contenente ADP-ribosio viene legata covalentemente ad una lisina acetilata con liberazione di nicotinammide; le isoforme 1, 2, 3 e 5 svolgono prevalentemente, ma non esclusivamente, la prima mansione, mentre le isoforme 4 e 6 funzionano maggiormente come ADP-ribosilasi [Frye, 1999]. Queste funzioni permettono alle sirtuine di regolare l’attività di molti substrati proteici ed essere coinvolte in molte vie biologiche tra cui trascrizione, stabilità genomica, metabolismo e sopravvivenza cellulare [Haigis et al, 2010]. SIRT1 è la sirtuina più studiata e partecipa al controllo metabolico dell’organismo attraverso vari meccanismi tessuto-specifici. Nelle cellule β del pancreas contribuisce al mantenimento dell’omeostasi del glucosio regolando positivamente la secrezione di insulina: SIRT1 sopprime l’attività della proteina UCP2 provocando un aumento dei livelli intracellulari di ATP e quindi una maggior secrezione di insulina in risposta al glucosio circolante [Moynihan et al, 2005; Bordone et al, 2006]; inoltre deacetilando le proteine FOXO protegge le cellule da un’eventuale iperglicemia indotta da stress ossidativo [Kitamura et al, 2005], mentre deacetilando il fattore di trascrizione NF-kB, le protegge dalla presenza di citochine tossiche [Lee et al, 2009]. Nel fegato, SIRT1 deacetila la proteina PGC-1α aumentando così l’espressione di geni coinvolti nella glicolisi e gluconeogenesi [Rodgers et al, 2005; Lerin et al, 2006] e promuovendo l’uscita di glucosio epatico durante uno stato di digiuno [Rodgers e Puigserver, 2007]. In aggiunta a questo,

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SIRT-1 promuove anche l’ossidazione degli acidi grassi modulando positivamente PPARα, in modo da favorire il consumo di energia e controbilanciare quell’accumulo lipidico verificatosi durante l’insulino-resistenza negli epatociti [Purushotham et al, 2009]. Nelle cellule muscolari, il compito di SIRT-1 è quello di deacetilare sia FOXO1 che PGC-1α, sviluppando la biogenesi mitocondriale e aumentando il metabolismo ossidativo [Gerhart-Hines et al, 2007]. Infine, negli adipociti, SIRT-1, reprimendo PPARγ, provoca l’inibizione della lipogenesi e contemporaneamente promuove la mobilitazione dei grassi, ottenendo come risultato finale un maggior utilizzo periferico dei depositi lipidici [Plicard et al, 2004]. Da ciò si evince che l’attivazione di questa isoforma enzimatica nell’uomo contribuisce a migliorare il metabolismo energetico generale.

Recentemente è stato scoperto un coinvolgimento di SIRT-1 nei tessuti tumorali e la proteina è stata classificata come fattore molecolare essenziale per la progressione del tumore stesso e lo sviluppo di precoci lesioni mucinose intraepiteliali; ma l’aspetto interessante di questi risultati è la doppia azione che la proteina svolge: a seconda del tipo di cancro e di substrato enzimatico, può fungere da promotore o soppressore e quindi, sia attivandola che inibendola, si può ottenere una diminuzione della resistenza cellulare a stress ossidativo e danno al DNA, un blocco delle cellule tumorali e un’induzione alla senescenza e all’apoptosi [Roth e Chen, 2014]. E’ stato inoltre proposto che SIRT-1 possa regolare la stabilità genomica in modo differente, a seconda che abbia a che fare con cellule normali o cellule neoplastiche; nelle prime promuove l’integrità genomica attivando la riparazione del DNA con alta fedeltà, sopprimendo in tal modo l’estensione e la progressione tumorale; nelle seconde invece lavora con affinità molto bassa per proteggere le cellule da un impatto deleterio che si verificherebbe nel caso di danno genomico; tuttavia la minima riparazione di un errore incline ad un eventuale danno al DNA, permette alle cellule cancerose di andare incontro a mutazioni e svilupparsi verso gradi di malignità superiori [Morris, 2013; Roth e Chen, 2013; Lin e Fang, 2013]. Un altro aspetto importante è

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emerso da ricerche condotte negli ultimi anni dalle quali si evince che le risposte adattative al danno genetico indotto dai farmaci chemioterapici, potrebbero aiutare il tumore a resistere ad un tale stress genetico e ad andare incontro ad una chemioresistenza sfruttando fattori nucleari, proteine dello shock termico o altre vie cellulari [Kohno et al, 2005; Liontos et al, 2010; Tiligada, 2006; Luo et al, 2005]. Anche SIRT-1, regolando l’invecchiamento cellulare e lo stress ossidativo attraverso una inibizione della senescenza e dell’apoptosi, è coinvolta in questi meccanismi [Hori et al, 2013; Wang et al, 2005; Back et al, 2011; Kahyo et al, 2008]. Un elevato numero di proteine sono state identificate come substrato di SIRT-1, tra cui P53, NF-kB e i fattori di trascrizione appartenenti alla famiglia FOXO [Langley et al, 2002; Mouchiround et al, 2013; Brunet et al, 2004; Kauppinen et al, 2013]. Il ruolo onco-soppressore della sirtuina in esame deriva dalla sua implicazione in vari meccanismi molecolari: migliora la stabilità genomica regolando la cromatina e la riparazione genetica [Wang et al, 2008; Roth e Chen, 2013]; sopprime la trascrizione dei geni oncogeni attraverso la deacetilazione degli istoni [Morris, 2013]; inattiva alcuni fattori di trascrizione promotori della cancerogenesi tra cui NF-Kb, sul quale agisce mediante una deacetilazione della subunità RelA/p65, a livello della lisina 310 e aumenta l’apoptosi indotta dal fattore di necrosi tumorale TNFα [Yeung et al, 2004]. La partecipazione di SIRT-1 al controllo e al mantenimento genetico spiega anche il ruolo totalmente opposto che la proteina riveste come promotrice tumorale, supportato anche dall’attività di inibizione della morte cellulare mediata da agenti oncosoppressori che si sono dimostrati suoi bersagli molecolari [Lin e Fang, 2013]. SIRT-1 è infatti in grado di promuovere la sopravvivenza cellulare deacetilando la proteina soppressore tumorale P53 sulla lisina 382 e inattivandola [Luo et al, 2001]. Nei tumori, le mutazioni della P53 che portano alla perdita della sua funzione sono le alterazioni genetiche più frequenti ed eterogenee che possano verificarsi [Hernandez- Boussard et al, 1999]. In seguito a danni al DNA, P53 si converte nella sua forma attiva acetilata che le permette di aumentare la propria attività trascrizionale,

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potenziare il legame sito-specifico con il DNA e impedire che i residui di lisina subiscano un attacco da parte della ubiquitina, la quale degraderebbe la proteina stessa [Barlev et al, 2001; Tange et al, 2008]. Studi sperimentali condotti in vivo su ratti deficitari della proteina SIRT-1 hanno mostrato una iperacetilazione di P53 e un aumento dell’apoptosi indotta da radiazioni ionizzanti [Cheng et al, 2003] dimostrando che un’eventuale inibizione farmacologica della sirtuina favorirebbe un accumulo dell’oncosoppressore P53 nella sua forma attiva acetilata e promuoverebbe la morte delle cellule tumorali [Vaziri et al, 2001]; studi in vitro hanno invece mostrato che una riduzione di SIRT-1 mediata da molecole di si-RNA riduce la resistenza ai farmaci e induce un blocco della crescita delle cellule epiteliali tumorali [Ford et al, 2005]. Un altro target di SIRT-1 è la famiglia dei fattori trascrizionali FOXO, importanti soppressori tumorali che modulano l’espressione di geni coinvolti nel controllo del ciclo cellulare, nell’apoptosi e nella riparazione genetica. SIRT-1 esercita la propria funzione deacetilando questi substrati proteici ma la regolazione che innesca risulta complessa: alcune isoforme di FOXO vengono inibite e degradate portando alla morte delle cellule neoplastiche, altre isoforme, al contrario, vengono attivate potenziando la propria attività trascrizionale [Yang et al, 2005; Wang et al, 2012; Daitoku et al, 2004; Choi et al, 2013].

Un’elevata espressione di SIRT-1 è stata trovata nelle cellule dell’adenocarcinoma

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